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Recuperare la profondità e il raccoglimento per riacquistare un giusto rapporto con la vita

di Francesco Lamendola - 31/01/2009

 


Scriveva il teologo e scrittore Alphonse Gratry (Lilla, 1805 - Montreux, 1872; fiero oppositore del dogma della infallibilità papale presso il Concilio Vaticano I) nella sua commemorazione del sacerdote Henry Perreyve (in: Gratry, «La sete e la sorgente», Torino, Società Editrice Internazionale, 1937, pp. 516-18):

«…Noi manchiamo di vecchi e di saggi; e questo perché manchiamo tutti, sempre di più, di profondità e di raccoglimento. La velocità .del mondo s'accelera, il movimento in tutte le forme, morali, intellettuali e fisiche, si moltiplica in proporzioni folli; e sotto questa superficiale accelerazione di velocità, credo di sentire in ogni cosa il rilassamento dell'impulso centrale. Si gira di più, si avanza di meno.
Indugiamoci un momento a considerare questo male che ha costato la vita al giovane amico nostro [cioè Perreyve, stroncato dall'eccesso di lavoro fisico e psicologici)]. Questo male è come un vizio universale delle cose: difficoltà per tutto ciò che vive di ritemprarsi nella sua sorgente, di raccogliersi nel fondo suo, di ricollegarsi al centro assoluto della vita. È il "degenerare tamen" che Virgilio, a proposito del grano di frumento, applica alla natura tutta. È ciò che, trattandosi dell'anima, san Bernardo con intuizione profonda ha chiamato "svisceramento dell'anima", "evisceratio mentis". Sant'Agoistino parla del medesimo flagello quando dice: "L'uomo proietta nella vita esteriore tutto il fondo della sua anima", "proiecit intima sua in via sua". La vita si precipita, guadagna estensione, ma perde la sua sorgente. Ora, a che serve conquistare il mondo, se questa conquista esaurisce la vita? È questa l'universale debolezza delle creature, è la strada che tutto conduce alla morte. Guardate lo slancio presente dello spirito umano. Se il progresso dell'anima e della mente consiste, come assicura l'ultimo dei grandi osservatori dell'anima [ossia Maine de Biran], ne "risalire i gradi d'interiorità", nel ritornare, come dicono così bene i mistici, dall'esterno all'interno e dall'interno a ciò che è più alto, "ab exterioribus ad interiora, ad interioribus ad superiora", mai, in nessun tempo, l'anima e la mente umana sono state così violentemente proiettate nella dispersione dell'esterno, in ciò che costituisce forse quelle "tenebre esteriori" di cui parla il Vangelo. C'è, nell'anima immensa dell'uomo, il gran mondo centrale di cui nessuno si occupa più, dove nessuno entra più. Santuario dimenticato, sorgente perduta! Precisamente per questo, i più dispersi affermano oggi che tale mondo invisibile non è esistito mai. Anima e Dio, vita interiore, scienza dell'anima e di Dio, teologia, metafisica, tutto questo, dicono i dispersi, è pura illusione; e giungono a negare l'esistenza della loro sorgente.
C'erano un tempo dei monaci che mettevano in questo centro la loro vita intera e vi trovavano la letizia e la pace, vi trovavano tutte le energie, tutti i germi. Ma che cosa sono diventate le anime profonde, abitanti il mondo invisibile, immerse nel cielo e volte verso l'oriente delle cose? Chi crede oggi al raccoglimento, al ritiro, alla preghiera? Vita di raccoglimento, vita di preghiera, "de interna Christi conversatione": sono queste certamente le più solide, le più necessarie realtà, solide come ciò che non passa e necessarie come Dio; ma, in pratica non sappiamo vedervi se non parole prive di senso.  Ecco il grande pericolo del mondo contemporaneo e dello stato presente delle anime (…) L'anima, senza raccoglimento, diventa come un corpo senza sonno; l'anima dispersa, e sia pure per attività di zelo, ha fatto delle sue forze un uso che Dio non vuole: il suo lavoro efficace sarebbe stato decuplicato, se avesse raccolto il suo sforzo e non avesse spezzato la sua vita.»

Sono parole che andrebbero meditate a fondo; e, se a qualcuno non piacesse il riferimento a Cristo e alla fede cristiana, le interpreti pure in senso assolutamente aconfessionale. Non è questione di questa o quell'altra religione, ma di ricondurre l'anima umana alla propria sorgente, alla pace e alla vita dell'Essere, salvandola dalla confusione e dalla dispersione di una vita tutta proiettata verso le cose esteriori e verso le passioni disordinate.
Si rilegga quell'ultimo passaggio: «Ecco il grande pericolo del mondo contemporaneo e dello stato presente delle anime (…) L'anima, senza raccoglimento, diventa come un corpo senza sonno». E poi si pensi allo stile di vita proprio della modernità, ove né il tempo del lavoro, né quello del cosiddetto svago (un tempo sacro, propriamente parlando, sembra non esservi più) sono rivolti all'eccitamento artificiale dei sensi e all'ottundimento, si direbbe quasi deliberato, delle facoltà morali e, in genere, della spiritualità; al punto che gli esseri umani, sempre più, tendono a dimenticarsi di possedere, in se stessi, quel meraviglioso palazzo di cui abbiamo tante volte avuto occasione di parlare!
Ma noi moderni siamo capaci di fare anche di peggio: di somministrare alla nostra mente, in dosi continue e sempre più massicce, tutta una serie di veleni, il cui è effetto è una sorta di vera e propria allucinazione permanente, di vera e propria devastazione spirituale, sì da ridurci a degli autentici ossessi, nel senso etimologico della parola latina (participio di "obsideo", assediare, occupare): essere invasi, essere occupati da una forza estranea.
Ne abbiano già parlato, specificamente, nell'articolo «L'ecologia della mente come presupposto dell'equilibrio spirituale» (consultabile anch'esso sul sito di Arianna Editrice); così come di quelle forze minacciose, e in ultima istanza di natura non umana, che premono e si adoperano affinché tale stato di cose prosegua e si accentui e perché l'essere umano venga allontanato sempre di più dal proprio centro spirituale e dalla propria sorgente (cfr. F. Lamendola, «Esiste un progetto consapevole per strappare l'anima del mondo?», consultabile sui siti di Edicolaweb e di Arianna Editrice).
E questo avviene perché l'essere umano, quanto più viene scagliato fuori di se stesso e lontano dal proprio centro interiore e dalla propria sorgente spirituale, tanto più è facilmente manipolabile da quelle forze perverse il cui scopo è la distruzione delle grandi potenzialità positive che esso possiede, di cui è depositario privilegiato, e mediante le quali egli potrebbe conquistare la pace del cuore e della mente e costruire una società veramente armoniosa, a misura della sua dignità, bellezza e nobiltà.
È come se un maestro malvagio, invidioso delle grandi capacità dei suoi alunni, li volesse persuadere a rotolarsi sempre più in basso, nel fango e nella sporcizia, e a stordirsi con mille inutili rumori e con mille allettamenti disonesti, allo scopo di impedire la loro crescita spirituale e, in ultima analisi, la realizzazione della loro piena autonomia, della loro felicità, del loro destino trascendente.
Purtroppo ve ne sono tanti, oggi, di simili cattivi maestri: così tanti, che il loro numero è legione; ma tutti riconducibili, consapevolmente o no, a quell'unico, pauroso Maestro d'inganni che vive nell'invidia dell'uomo e nell'intento deliberato di abbassarlo e di provocarne la rovina, l'infelicità e la morte.
Perciò, bisogna stare in guardia contro tutti i cattivi maestri: essi, forse senza rendersene conto, non sono che i miseri e sciocchi servitori di una forza non umana il cui nome è Menzogna e il cui scopo dichiarato è il contrasto del progetto amorevole da cui è scaturita la creazione.

Ma è tempo che ciascuno di noi si ricordi della propria vera patria, che riscopra la via per rientrare nelle profondità di se stesso, ove regnano l'armonia, il silenzio e la pace.
Il silenzio e la pace esteriori possono essere un utile ausilio per il ritrovamento di quel silenzio e di quella pace dell'anima, cui l'essere umano è destinato fin dall'inizio, ma davanti al quale, traviato da cattivi suggeritori, sembra voler recalcitrare, sembra volersi sottrarre.
Non erano affatto dei poveri sciocchi o degli individui timidi o paurosi quei monaci medievali che - dissodando con il sudore della fronte le vaste campagne incolte o ricopiando con pazienza infinita i tesori della sapienza greca e romana - consacravano la loro vita terrena alla pace e al silenzio del chiostro.
Da Voltaire ad oggi, sembra che quella felice aspirazione non fosse altro che la fuga dal mondo di persone povere di spirito e di animo gretto.
Niente affatto: quei monaci e quelle monache erano dei piccoli ma grandi, grandissimi uomini e donne, che avevano compreso il segreto ineffabile della gioia interiore: distaccarsi da ogni forma di attaccamento terreno ed emanciparsi dalle sconfinate aspettative di piacere, per riscoprire la pienezza delle gioie che non passano, non invecchiano e non deludono, perché sempre si rinnovano, come una sporgente magica e inesauribile (cfr. anche il nostro precedente scritto: «Dobbiamo liberarci dall'aspettativa, figlia malata dell'idea di progresso», sempre consultabile sul sito di Arianna Editrice).
Quando Gratry scriveva che «mai, in nessun tempo, l'anima e la mente umana sono state così violentemente proiettate nella dispersione dell'esterno, in ciò che costituisce forse quelle "tenebre esteriori" di cui parla il Vangelo», circa centocinquant'anni fa, la situazione spirituale dell'uomo occidentale era infinitamente meno precaria e minacciata di quanto non lo sia oggi; eppure il grande teologo era, già allora, estremamente preoccupato.
E quanti passi abbiamo fatto, in questo secolo e mezzo, verso l'ulteriore allontanamento di noi da noi stessi!
Quante meschine strategie, quanti astuti espedienti non abbiamo inventato, contro la nostra pace e il nostro bene, per deviare dal retto cammino e per smarrirci nella selva di aspettative smisurate, fallaci e ingannevoli, dove mai l'anima potrà sperare riposo!
Quante voci di saggezza abbiamo ignorato, quanti giusti ammonimenti abbiamo disprezzato, quante possibilità di ritrovare la retta via abbiamo sprecato, perseverando nell'errore e spingendo, anzi, la nostra audacia masochista fino al punto di invertire tutti i valori e da chiamare felicità e progresso l'amara rincorsa di un impossibile sogno di benessere!

Eppure non è ancora troppo tardi: non è mai troppo tardi, neppure a un passo dal precipizio, finché l'anima conserva la capacità di distinguere il bene dal male e di ritrovare se stessa, volgendo le spalle ai falsi allettamenti di maestri sciocchi o perversi.
Nulla è veramente perduto, finché permane intatto il tempio centrale dell'anima, e sia pure dimenticato e abbandonato; e, insieme ad esso, la possibilità che noi torniamo in noi stessi e distogliamo i nostri passi dalla selva dantesca in cui ci stiamo smarrendo, per ascoltare, invece, il richiamo incessante della voce interiore - che è, poi, il richiamo della grande forza benevola soprannaturale, la Grazia.
Non siamo soli, infatti, nella diuturna battaglia per conservare e sviluppare il bene supremo del nostro palazzo interiore, mettendoci in armonia con noi stessi, con gli altri e con l'Essere dal quale discendiamo e al quale dobbiamo ogni cosa.
Ne abbiamo già parlato - nell'arco di questi ultimi anni - in diversi lavori, particolarmente negli articoli «Voltar le spalle alla Grazia: il peccato d'origine della modernità» e «L'amore di carità ispirato dalla Grazia è il fulcro della nostra vita soprannaturale» (entrambi consultabili, come gli altri, sul sito di Arianna Editrice).
La consapevolezza di non essere soli, abbandonati in balia del caso e dell'assurdo, è la grande sorgente di speranza che può darci la forza per attraversare i momenti più difficili, i passaggi più perigliosi. Ma, naturalmente, per maturare una tale consapevolezza dobbiamo riscoprire la capacità di relazionarci con l'Essere, che di quella forza benefica è la fonte inesauribile.
E, per poter fare ciò, dobbiamo riscoprire il valore insostituibile del silenzio, della profondità e del raccoglimento: ossia il grande, felice segreto della unità e della armonia intrinseca che sono proprie della vita dell'anima.