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Il carrello che pensa

di The Econoimist (a cura di) - 31/01/2009

 

Software per studiare le emozioni dei consumatori. Merci disposte in modo da invogliare agli acquisti. La scienza aiuta i supermercati a vendere di più

 

I SIETE MAI CHIESTI PERché i supermercati sembrano tutti uguali? La risposta è piuttosto inquietante. Non è mancanza di fantasia: le aziende che li gestiscono conoscono tutte le tecniche per convincere i clienti a fare acquisti. Grazie ai progressi della tecnologia, la mente del consumatore comincia a non avere più segreti.

Quando si entra in un supermercato, ci vuole un po' perché il cervello si predisponga agli acquisti. Per questo lo spazio subito dopo l'entrata è chiamato "zona di decompressione": anche se sono clienti abituali, le persone hanno bisogno di rallentare i ritmi e rendersi conto di cos'hanno intorno. Questo spazio è usato soprattutto per le promozioni: le confezioni di birra in offerta servono più che altro a suggerire l'idea del risparmio. Wal-Mart, la più grande catena di distribuzione del mondo, ha un "servizio di accoglienza" all'ingresso dei suoi grandi magazzini. Anche se non aumenta le vendite, sembra che questo benvenuto amichevole riduca i furti. Infatti è più difficile derubare chi è gentile con noi.

Nel supermercato Sainsbury's di Basingstoke, cittadina a sudovest di Londra, c'è la cosiddetta "zona di raffreddamento", uno spazio dove i clienti possono sfogliare riviste, guardare libri e dvd, lasciarsi tentare da acquisti estemporanei e rilassarsi. Se uno non ha tempo da perdere e preferisce tirare dritto, la prima cosa che incontra è il reparto  frutta e verdura. Dal punto di vista di chi sta facendo la spesa non ha molto senso. La frutta e la verdura dovrebbero essere comprate alla fine, perché sono prodotti facilmente deperibili. Ma qui entra in gioco la psicologia: scegliere cibi freschi e sani è un buon modo di cominciare e ci farà sentire meno in colpa dopo, quando metteremo nel carrello qualcosa di meno sano. I prodotti che compriamo ogni giorno, come il latte, sono messi in fondo al supermercato per aumentare le probabilità di tentare i clienti. Per lo stesso motivo alla fine si trovano anche i medicinali da banco.

Una lacuna da colmare

Ormai, però, i clienti hanno capito questi trucchi, così i supermercati hanno cominciato a usarne altri: per esempio, mettere le cose che si vendono di più a metà di una corsia, in modo che la gente la percorra tutta per trovarle. Lo scopo è aumentare il "tempo di permanenza" nel negozio. I gestori sanno quanti clienti entrano, ma questo numero non dice dove vanno e quanto tempo si fermano. Oggi, però, esiste uno strumento tecnologico in grado di colmare questa lacuna: il cellulare. La Path Intelligence, un'azienda britannica che collabora con il Massachusetts institute of technology, ha localizzato i telefoni dei clienti del Gunwharf Quays, un grande centro commerciale di Portsmouth : non ha intercettato le chiamate, ma ha rilevato la posizione degli apparecchi attraverso i segnali che trasmettono automaticamente alla rete. In questo modo ha scoperto che quando il tempo di permanenza aumentava dell'I per cento, gli acquisti salivano dell'1,3 per cento.

Alla fine del reparto frutta e verdura i clienti di Basingstoke trovano i banchi dei piatti pronti, la pescheria, la macelleria e la rosticceria. Poi c'è il reparto dei prodotti da forno, dove si cuociono impasti surgelati. Questi prodotti sono molto diffusi, perfino nei piccoli supermercati, anche se i panifici sono più efficienti. Il motivo è semplice: il profumo del pane fresco stuzzica l'appetito e spinge i consumatori a comprare anche altri prodotti, compresi i surgelati.

La maggior parte delle informazioni che bombardano i clienti è di tipo visivo: etichette, cartellini dei prezzi e pubblicità. Ma il profumo del pane dimostra che anche il senso dell'odorato può essere stimolato, spiega Simon Harrop, amministratore delegato di Brand Sense, un'agenzia specializzata nel marketing multisensoriale. Nel reparto detersivi  per esempio, Brand Sense suggerisce di diffondere un profumo di lenzuola lavate di fresco. Con le più avanzate tecnologie audio, inoltre, si potrebbe far sentire solo in quella zona il fruscio delle lenzuola quando vengono ripiegate. Aroma Company, una società fondata da Harrop, ha introdotto il profumo di cocco in tutte le agenzie di viaggi della catena britannica Thompson: dovrebbe ricordare ai clienti le vacanze, visto che molti oli abbronzanti odorano di cocco. L'Aroma Company, inoltre, ha abbinato il profumo di limone a una linea d'abbigliamento dell'azienda svedese Odeur. L'odore resta fino a tredici lavaggi.

Forze del subconscio

Queste tecniche sono sempre più usate, perché oggi si conoscono meglio i motivi che spingono i consumatori a fare i loro acquisti. Nelle ricerche di mercato tutti dicono di scegliere in modo razionale in base a elementi come il prezzo, la qualità e la comodità. Ma è chiaro che entrano in gioco anche forze del subconscio legate

alle emozioni e ai ricordi. In passato gli scienziati pensavano che emozioni e razionalità si escludessero a vicenda. Oggi, invece, gli studi di Antonio Damasio, un professore di neuroscienze dell'University of Southern California, dimostrano il contrario. Per esempio, le persone che in seguito a un danno cerebrale hanno perso la capacità di provare o percepire emozioni hanno grandi difficoltà a prendere decisioni e non riescono a fare la spesa.

I ricercatori studiano questi meccanismi osservando direttamente il cervello. Una delle tecniche più usate è la risonanza magnetica funzionale, che permette di rilevare i cambiamenti del flusso sanguigno nelle varie zone del cervello. Queste variazioni corrispondono all'aumento o alla diminuzione dell'attività mentale. I ricercatori mostrano i prodotti di diverse marche alle persone e gli fanno delle domande. Poi confrontano le risposte con quello che è successo nel cervello dei volontari mentre le davano, osservando l'attività cognitiva e  quella emotiva. In sostanza, se la zona cerebrale associata al piacere si accende, significa che il prodotto avrà successo.

Sono informazioni molto preziose, se si considera che in media su dieci nuovi prodotti lanciati sul mercato, otto si rivelano un fallimento. Magari durante una ricerca di mercato molte persone dichiarano che li comprerebbero, ma evidentemente il loro subconscio non è d'accordo. "Stiamo per penetrare nel subconscio", spiega Eric Spangenberg, preside della facoltà di economia dell'università statale di Washington. "Sappiamo che è lì, che reagisce, e siamo sicuri che è importante". Per motivi commerciali, le aziende che commissionano questi studi non ne rivelano i risultati. Ma il professor Spangenberg è sicuro di una cosa: "Quello che penso di sapere, probabilmente loro lo sanno molto meglio di me".

I produttori e i distributori parlano di "momento della verità": non è un concetto filosofico, marattimo in cui le persone decidono cosa comprare e allungano la mano verso lo scaffale. Il supermercato di Basingstoke è un ottimo esempio dei metodi usati per spingere il cliente verso un'determinato prodotto. Nel reparto caffè solubili i prodotti delle grandi marche sono sistemati all'altezza degli occhi, mentre quelli economici sono più in basso, insieme ai prodotti venduti con il marchio del supermercato. Spesso la direzione manda ai gestori complicati piani sulla collocazione di ogni prodotto (Albertsons, una grande catena di supermercati statunitense, li chiama "planogrammi") e fa dei controlli a campione per essere sicura che le istruzioni siano seguite. Il motivo di tanta rigidità è che i grandi distributori chiedono una certa cifra per mettere i prodotti dei fornitori sui loro scaffali. E questa cifra varia in base alla collocazione.

L'esposizione dei prodotti è oggetto di grande dibattito non solo da parte di chi vuole venderli ma anche di chi cerca di manipolare i consumatori. Nonostante tutti i saggi scritti sulla giusta esposizione delle merci, ogni distributore ha le sue idee. Anche se molti pensano che la collocazione ideale sia all'altezza degli occhi, altri sostengono che un po' più in alto è ancora meglio. Altri ancora si fanno pagare di più per mettere i prodotti negli "espositori" alla fine delle corsie, perché li considerano più visibili. Secondo alcuni esperti, però, tutto dipende dalla direzione in cui procede il cliente. Ma anche su questo ci sono opinioni divergenti.

Di solito si pensa che il posto migliore in assoluto sia quello a destra a livello degli occhi perché, a parte i mancini, le persone tendono a volgere lo sguardo da quella parte. Alcuni supermercati riservano quello spazio ai loro prodotti "speciali". A volte, inoltre, classificano le merci in modo diverso: spesso, per esempio, il chapati (pane indiano) non è nel reparto del pane ma vicino ai piatti pronti indiani. Così, anche se alcuni fornitori pagano 50mila dollari all'anno a ogni supermercato per avere pochi metri di spazio su uno scaffale, alla fine i clienti non riescono a trovare quello che stanno cercando.

Analisi dei comportamenti

La tecnologia sta facilitando lo studio del comportamento dei clienti. Presto, forse, le videocamere di sicurezza dei supermercati non serviranno solo a evitare i furti. Rajeev Sharma, della Pennsylvania state university, ha fondato la VideoMining, un'azienda che ha sviluppato un software in grado di analizzare i filmati dei clienti mentre scelgono i prodotti. Il sistema segue il comportamento di migliaia di persone e calcola quante sono andate direttamente verso una marca, quante hanno esitato e quante ne hanno confrontate diverse. I consumatori analizzati vengono divisi per età, sesso ed etnia.

La VideoMining ha studiato un gruppo di persone che compravano birra in un negozio. In media ci mettevano due minuti, e la maggior parte si dirigeva verso una marca precisa. "Questo dimostra che avevano già deciso, che andavano in automatico", spiega il professor Sharma. Quindi i produttori di birra dovrebbero fare pubblicità all'esterno, non all'interno dei negozi. L'analisi è utile anche per capire se i soldi investiti in una nuova campagna pubblicitaria hanno dato qualche risultato. O per calcolare quanti compratori di birra possono essere convinti ad abbandonare la loro marca preferita.

Un altro studio condotto in un supermercato ha dimostrato che il 12 per cento delle persone passa circa 90 secondi a guardare i succhi di frutta, legge tutte le etichette ma non compra niente. I clienti sono interessati ai succhi di frutta come alternativa più sana alle bevande gassate, ma non sanno quale succo comprare. In questo settore, quindi, c'è un ampio spazio per la persuasione.

Anche ridurre la scelta può aumentare le vendite. Cassie Mogilner e i suoi colleghi dell'università di Stanford hanno scoperto che ai consumatori piace che i prodotti meno familiari siano divisi in categorie, anche se non significano niente. Nel corso di uno studio su diversi tipi di caffè le persone erano più soddisfatte quando potevano scegliere tra varie categorie, anche se la classificazione era solo A, B e C (o "tostatura leggera", "tostatura media" e "tostatura forte").

Nonostante le nuove tecnologie, uno dei metodi più efficaci per approfondire 'l'esperienza del cliente" resta comunque quello di parlare. Scott Bearse, un esperto di vendita al dettaglio della Deloitte consulting di Boston, ha diretto diversi progetti in cui a migliaia di persone è stato chiesto come si sentivano quando andavano a fare la spesa. Tutto è cominciato quando un'azienda si è lamentata di avere montagne di dati sulle persone che entravano nei suoi negozi e compravano qualcosa, mentre non sapeva quasi niente su quelle che se ne andavano senza aver fatto acquisti (la maggioranza). Il tasso di "fidelizzazione del cliente" varia in base al tipo di negozio: in alcuni grandi magazzini è del 20 per cento, ma in un negozio di alimentari può raggiungere il 100 per cento. E nello stesso supermercato può cambiare in base ai reparti. Alcuni, inoltre, affermano di uscire dai negozi a mani vuote non tanto per i prezzi troppo alti, spiega Bearse, ma perché "non riescono a decidere".

Capire cosa scoraggia i consumatori non è difficile, eppure i supermercati hanno ancora problemi con l'esaurimento delle scorte, con le lunghe file alle casse e con il servizio scadente. Far provare un prodotto ai clienti è uno dei modi migliori per convincerli a comprarlo, aggiunge Bearse. La Deloitte ha scoperto che nei grandi magazzini l'85 per cento delle persone che usano i camerini di prova finisce per fare un acquisto.

Spesso, inoltre, se il cliente è indeciso tra due cose, non comprerà niente. Akshay Rao, un professore di marketing dell'università del Minnesota, ha condotto uno studio sull'argomento, usando la risonanza magnetica funzionale. Secondo Rao, un terzo articolo "civetta", meno buono degli altri due, può rendere la scelta più facile e piacevole. Il professore è convinto che l'uso deliberato di alternative più scadenti funziona per vendere ogni genere di beni e servizi, dalle tv via cavo alle vacanze.

Un altro elemento che scoraggia è la mancanza di etichette con il prezzo, anche se questo problema si potrà risolvere presto con le etichette Rfid (Radio frequency identification), che contengono più informazioni dei codici a barre e possono essere lette anche a distanza. Da anni si dice che prima o poi saranno onnipresenti, e con l'attuale crollo dei prezzi il loro momento potrebbe finalmente essere arrivato. A quel punto le casse diventeranno inutili, perché tutto quello che i clienti metteranno nei carrelli sarà individuato automaticamente e addebitato sulle loro carte di credito. Gli strumenti per farlo ci sono già. Nella carta fedeltà del negozio si potrebbe inserire una Rfid che permetterebbe di identificare il cliente al suo arrivo. Un dispositivo collocato nel carrello controllerebbe quello che c'è dentro, confrontandolo con le abitudini di spesa del cliente e richiamando la sua attenzione con messaggi come: "Sei appena passato davanti al vino che compri di solito".

Sorrisi e smorfie

Con le nuove tecnologie sarà anche possibile leggere le emozioni dei clienti. Il software del professor Sharma è in grado di analizzare espressioni più difficili da simulare, come i sorrisi e le smorfie. Oggi gli scanner perla risonanza magnetica sono di dimensioni enormi (per spostarli serve una gru), ma in futuro potrebbero nascere dei dispositivi portatili. Secondo alcuni ricercatori, è possibile stabilire una correlazione tra le mappe mentali e i cambiamenti di attività elettrica del cervello, misurabili con un elettroencefalogramma. Alcune piccole macchine per l'elettroencefalogramma applicabili alla testa esistono già e sono usate soprattutto per i videogiochi. Ma l'idea di andare a fare la spesa indossando un cappello che ci fa la risonanza magnetica al cervello è ridicola, se non addirittura inquietante. Inutile dire cosa ne pensano le organizzazioni per la difesa della privacy, già preoccupate per l'aumento delle videocamere di sorveglianza.

L'Electronic frontier foundation di San Francisco, per esempio, criticale etichette Rfid, perché possono essere lette a distanza da chiunque abbia l'attrezzatura necessaria. In questo modo, spiega l'organizzazione, che si batte per le libertà civili nell'era digitale, le etichette Rfid possono essere usate per sapere non solo quello che le persone mettono nel carrello, ma anche cos'hanno in casa, violando la loro privacy.

Certo, i consumatori dovrebbero comunque "collaborare". In fondo sarebbe un po' come quando apriamo un account con un venditore online, sapendo che i nostri acquisti saranno usati per suggerirci altri prodotti. I consumatori accetteranno qualunque novità se saranno convinti che faciliterà le loro spese (magari con l'aggiunta di qualche sconto). Quando il professor Sharma chiede ai clienti cosa pensano delle videocamere usate per analizzare i loro acquisti, quasi tutti dicono che non ci sono problemi.

Ma se tutte queste tecniche di vendita venissero usate di nascosto, le cose cambierebbero: i venditori non dovrebbero temere le proteste dei difensori della privacy, ma quelle dei clienti, che non amano essere manipolati a loro insaputa.

E non sarebbe certo il primo esempio di rivolta. Nel 19571persuasori occulti, un saggio del giornalista americano Vance Packard, fece molto scalpore perché rivelò le tecniche psicologiche usate dai pubblicitari, a partire dai messaggi subliminali. E proprio per questo che Spangenberg ha cominciato a interessarsi all'argomento. Secondo lui, infatti, la scienza dello shopping ha dei limiti: "Non credo che potremo mai convincere qualcuno a comprare una macchina o un computer di cui non ha bisogno", spiega. "Però possiamo spingerlo a scegliere un particolare modello. E soprattutto senza che se ne renda conto". Ma se le persone si accorgessero che per condizionare le loro scelte i venditori usano queste tecniche psicologiche, "potrebbero ribellarsi e decidere di non comprare più niente".

Probabilmente è per questo che, uscendo dal supermercato, non sempre il carrello è pieno. Almeno le tentazioni alla cassa, come le riviste di gossip e i pacchetti di caramelle all'altezza degli occhi dei bambini, sono facili da vincere. Ma anche questo cambierà. Barry Salzman, amministratore delegato della Ycd Multimedia di New York, ha grandi progetti per la zona cassa. La sua azienda sta sperimentando schermi digitali che trasmettono pubblicità di prodotti legati a quelli che il consumatore sta comprando. Con il software per il riconoscimento dei volti, inoltre, i messaggi possono essere adattati all'età e al sesso. Negli Stati Uniti il suo sistema è già usato dalla catena di caffetterie Aroma. A chi sta comprando solo un cappuccino, per esempio, suggerisce di prendere anche un dolce al cioccolato.

Intanto, però, la fila per uscire da Sainsbury's si è bloccata: la ragazza alla cassa, che non ha l'età per vendere alcolici, non riesce ad attirare l'attenzione di un superiore per avere il permesso di battere il prezzo di una confezione di birre. La scienza dello shopping sarà pure molto sofisticata, ma la realtà pratica è ancora parecchio indietro.   bt