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C’è ormai una sola verità?

di Antonio Serena - 02/02/2009

Fonte: liberaopinione

 

Qualche anno fa, esattamente nel 2003 - ero allora parlamentare- venni richiesto dall’avvocato di Erich Priebke, incarcerato per i fatti delle Ardeatine del 1945, di spedire ai miei colleghi una cassetta che descriveva le molte anomalie di un processo farsa che aveva prima assolto e poi condannato  l’ex ufficiale tedesco. La richiesta mi era stata avanzata unicamente per risparmiare al collegio di difesa le spese per  il migliaio di plichi da spedire. Acconsentii, anche perché ritenevo e ritengo che, come anche previsto dalle leggi vigenti, non si possa mantenere in stato di detenzione un vecchio ormai centenario quali che possano essere le colpe addebitategli. E’ a tutti noto come finì quella storia. Con la mia espulsione da un partito dal quale avevo già dato le dimissioni e con le note reprimende di un distratto Gianfranco Fini  che  mi aveva candidato in A.N. pur a conoscenza delle mie precedenti interrogazioni per la grazia a Priebke per ovvii motivi umanitari. Il caso della cassetta venne creato ad arte dall’allora deputato postcomunista Fabio Mussi per intralciare il tentativo intrapreso da quel Fini proclamatosi poco tempo prima capo dei “fascisti del 2000”, al fine di riabilitarsi da un ormai scomodo passato ed intraprendere una vantaggiosa carriera politica alla corte di Israele. Un episodio grave e riduttivo delle funzioni di un parlamentare liberamente eletto, che ricordo oggi con gioia perché quell’episodio mi liberò da un vassallaggio partitico non più sopportabile, che avevo più volte infranto (in particolare in occasione del voto bipartisan sul vergognoso “Mandato di arresto europeo”, con un intervento che, per la sua attualità, allego in calce a quest’articolo) per i  motivi  che illustrai all’attuale Presidente della Camera nel corso di  un incontro, da me richiesto, a Palazzo Chigi.

Ripenso oggi a quell’episodio mentre leggo sui giornali i resoconti di  due fatti di diversa rilevanza accaduti quasi in contemporanea.

Il primo riguarda Don Floriano Abrahamowicz, sacerdote della Comunità cattolica tradizionalista lefebvriana  di Lanzago di Silea che conosco personalmente e stimo, anche se le nostre posizioni talvolta divergono. Come ormai noto, il sacerdote, con l’ingenuità propria delle persone perbene, avrebbe affermato: ”La verità è che si fanno sintesi fuorvianti di un ragionamento complesso. Nessuno nega l’Olocausto: io contesto che si voglia ridurlo a una questione tecnica, ovvero al discutere se e quanti milioni di persone sono state uccise nelle camere a gas. Magari sono state più di 6 milioni, ma anche se fosse stata una sola sarebbe un abominio. Piuttosto, la discussione si dovrebbe fare sul perché la Shoah ha una supremazia su altri genocidi: perché non c’è la stessa sensibilità per il milione e 200mila armeni sterminati dai turchi, o le centinaia di bambini uccisi a Gaza?”. E ancora: “Quando si parla di Olocausto l’emotività prevale sulla realtà storica, e per questo è un argomento che è meglio lasciare agli specialisti. Una volta che l’opinione pubblica sarà più serena, allora volentieri faremo delle tavole rotonde in cui si studierà con calma questo tremendo genocidio in tutti i suoi aspetti, ma non ora” (“Il Gazzettino” del 30/01/2009). Apriti cielo. Per quanto si sia affannato a precisare di non ritenersi né antisemita né negazionista, è stato investito da una serie di insulti e di scomuniche da parte di comunità ebraiche, partigiani, esponenti del PUDS (Partito Unico Destra-Sinistra) con in testa politici della statura (fisica) di Giancarlo Galan, invecchiato senza riuscire a partorire in Regione uno straccio di Statuto del Veneto, o del cattocomunista  Paolo Giaretta,  ambedue invisi più ai loro amici di partito che agli avversari. Addiruttura, per il sindaco leghista di Verona Tosi, il sacerdote, un amico di sempre che si tiravano dietro  in dibattiti e convegni  per benedire le assise padane, “Ha detto delle cose mostruose” e “va indagato per apologia di reato”. Che squallore…

Noi non entriamo nel merito di quanto affermato in questi giorni da Don Abrahamowicz e in precedenza da Monsignor Richard Williamson. E neppure su quanto sostenuto da Sir Gerald Kaufman, membro del Parlamento britannico ed ebreo di origine polacca: “Mia nonna fu uccisa da un soldato tedesco mentre era a letto malata. Mia nonna non è morta per fornire ai soldati israeliani la scusa storica per ammazzare le nonne palestinesi a Gaza. L’attuale governo israeliano sfrutta cinicamente e senza limiti il senso di colpa dei gentili per l’olocausto onde giustificare i suoi omicidii in Palestina”(MP makes israeli troops nazi link, BBC, 16 gennaio 2009). Anche se numerosi scritti di ebrei non sionisti (interessante “L’industria dell’olocausto”, di Norman J. Finkelstein, Rizzoli, 2002) avanzano dubbi sulle cifre dell’olocausto ed alcuni episodi, come la rimozione della targa con i numeri dei morti che era stata posta all’entrata di Auschwitz (vedi “La Stampa” e “Repubblica” del 19/07/1990), hanno fatto nascere dubbi inquietanti. Quello che invece ci  interessa è che, per aver espresso le loro idee,  giuste o sbagliate sull’argomento,  molte persone hanno perso il posto di lavoro nelle università o in altri centri di ricerca scientifica e sono state incarcerate. Non solo. Poco tempo addietro (vedasi articolo online su Liberaopinione – Storia e Controstoria) l’avvocato Sylvia Stolz è stata arrestata durante l’espletamento del suo mandato professionale e tradotta nel carcere di Heidelberg per aver difeso uno scrittore revisionista: cose che non accadevano dai tempi dell’ Inquisizione.

 

Il secondo  episodio, accaduto a Vittorio Veneto e portato alla luce dal “Corriere della Sera” del 28 gennaio scorso, si riferisce alla decisione presa dal Consiglio Comunale di Vittorio Veneto (maggioranza leghista) che, seppellendo  le sentenze di sette o otto Tar, compreso quello veneto, e del Consiglio di Stato,  ha optato per il “non abbattimento” di un grosso insediamento abusivo inizialmente destinato ad impianti sportivi.  Ma non è questo il problema. In seguito a questa decisione, racconta Gian Antonio Stella, “durante un consiglio comunale, la signora Ada Stefan sbotta:  «Vergognatevi!». Non l’avesse mai detto! Un consigliere, indignato, la denuncia. E chi è? Mario Rosset, già segretario e consigliere della Lega. Cioè del partito guidato da quel Bossi che negli anni ha bollato Berlusconi come «un brutto mafioso che guadagna i soldi con l’eroina e la cocaina», i neri come «bingo bongo», le sinistre come «nazicomunisti» e papa Wojtyla come un «papa extracomunitario» alla guida di un Vaticano che «le camicie verdi affogheranno nel water della storia».

Quegli insulti, per lui e la magistratura, erano, evidentemente, «normali». Dire «vergognatevi!» no. Che vergogna…”

Adesso vi chiederete dov’è il nesso tra i tre episodi: quello, meno recente, della grazia al 96enne Priebke, l’altro delle dichiarazioni dei seguaci di Lefebvre sull’olocausto e quello della condanna della signora di Vittorio Veneto per “lesa maestà leghista”. Semplicissimo. Che oramai gli spazi per chi intenda dissentire dalla vulgata dominante sono sempre più ristretti e lo diverranno sempre più. Come aveva ben previsto George Orwell qualche anno fa, c’è ormai una sola verità, un unico vangelo al quale tutti debbono attenersi senza sgarrare, siano essi parlamentari liberamente eletti, preti o semplici cittadini. Zitti tutti e in riga: il Grande Fratello è già tra noi.

DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO ANTONIO SERENA SULLA PROPOSTA DI LEGGE N. 4246-D

(MANDATO DI ARRESTO EUROPEO) - RESOCONTO STENOGRAFICO CAMERA DEI DEPUTATI del 13/06/2002

Signor Presidente, Onorevoli Colleghi,negli ultimi mesi si è sollevato un forte vento di protesta contro la prospettiva gulag tracciata dal nuovo e terrificante modello legislativo europeo nato verso la fine del 2001 ed avente come punto cardine la criminalizzazione di qualsivoglia forma di pensiero politicamente non corretto.
L’articolo che contempla la punizione di opinioni o atti discriminanti le altrui diversità razziali, religiose, ideologiche, comportamentali ha provocato una vera e propria insurrezione anche in ambienti non sospetti. Ciò è facilmente comprensibile poiché uno dei baluardi delle Carte costituzionali europee è la tutela del libero pensiero. Il problema è che quando tali Costituzioni furono adottate non venne specificato che esistono due tipi di pensiero: uno giusto ed uno sbagliato. Ora pare ci pensi la Comunità europea a stabilire quale pensiero debba venire tutelato e quale condannato, quale opinione sia giusto avere e quale sia meglio dimenticare, quale ideale sia sano e quale sia non conforme, quindi malato. Molti sono i capitoli del cosiddetto mandato di cattura europeo che reputiamo anomali. La più sconvolgente di tali novità concerne la competenza per territorio. In base ad essa chiunque potrà essere estradato su richiesta dell’autorità giudiziaria di uno qualsiasi degli Stati membri anche per fatti commessi nel territorio dello Stato in cui è cittadino. L’aspetto aberrante è che si potrà venire estradati anche se l’azione giudicata illegale per quello Stato è perfettamente lecita per lo Stato di cui siamo cittadini. In pratica, il cittadino italiano può venire estradato da qualsiasi giudice o pubblico ministero di un qualsiasi paese dell’Unione per un fatto compiuto, o che si sostenga essere stato compiuto, in Italia anche se per il diritto nazionale tale atto non costituisca reato, anzi venga considerato espressione di un diritto costituzionalmente garantito. Ne consegue la paradossale possibilità che una persona venga tratta in arresto in forza di un mandato europeo per un reato caduto in prescrizione in base alle leggi dello Stato di cui è cittadino ed in cui lo ha commesso o che venga contemporaneamente processato in più Stati per lo stesso fatto ed estradato a tal titolo verso uno di essi. Ciò anche ove si tratti, per tenerci alla nostra linea esemplificativa, di un reato commesso in Italia da un cittadino italiano e per il quale sia in corso o si sia già svolto un processo davanti all’autorità giudiziaria italiana. Da qui si deduce chiaramente che saremo tenuti a conoscere non solo la

nostra legge, ma anche l’ignota legge, scritta nell’ignota lingua di qualche lontano Stato facente parte dell’Unione europea. Inoltre, la proposta di decisione quadro non prevede alcuna riserva o limite riguardo ai reati politici. La garanzia costituzionale quindi risulta abrogata. Anzi, proprio i reati di opinione, e quindi in senso lato politici, sono uno dei principali, per non dire il principale obiettivo della decisione quadro comunitaria. Si considerino poi le condizioni di una persona prelevata dalla sua città o dalla sua terra, trasportata a forza in un paese straniero dove non ha alcun riferimento parentale, amicale o professionale, del quale il più delle volte ignora persino la lingua e dove a sua volta risulta essere a tutti sconosciuta. Si aggiungano anche le difficoltà di questo sventurato nel preparare una difesa di fronte ad atti processuali redatti in una lingua che non conosce e con l’assistenza, se potrà averla, di legali con i quali quanto meno risulterà difficile comprendersi. Il tutto sotto la minaccia di ulteriori trasferimenti verso altre ignote destinazioni e sotto il peso di altri, del pari ignoti, capi d’accusa. I1 suo processo, in un paese che lo ignora e si disinteressa totalmente di lui, si celebrerà nel silenzio e nell’ombra, senza controllo alcuno da parte della pubblica opinione. Risulterà inoltre difficilissimo, per chi non ha dovizia di mezzi, avvalersi della possibilità di impugnazione offerta dal sistema penale dello Stato emittente.
Chi ben rifletta su queste angosciose circostanze non potrà non convenire che, nel quadro normativo della proposta in esame, estradizione sarà assai spesso, per non dire sempre, sinonimo di deportazione. Il mandato di cattura europeo, per l’ignaro uomo della strada, significa ad esempio la possibilità di estradare dalla Francia in Italia il terrorista comunista Cesare Battisti, per assicurarlo alla giustizia. Ma non è così o meglio non è sempre così, perché il mandato di cattura europeo pare rincorrere finalità diverse da quelle annunciate, rispondenti più a logiche politiche che a logiche di giustizia. Credo allora che, prima di licenziare certi provvedimenti, ci sia quanto meno da meditare a fondo sui rischi di polverizzazione della nostra Costituzione, chiedendoci se lo Stato di diritto e la libertà di espressione non siano stati, per molti anni nel nostro paese, semplici declamazioni, prolusioni accademiche, parole vuote e argomenti, tutt’al più, per esami di maturità liceale. Consideriamo lo Stato di diritto. Le carceri italiane sono sempre state piene di detenuti in attesa di giudizio, anche per anni, ma non è neanche questo il male, quanto che lo Stato, qui in Italia, solo in ultima battuta, spesso a scopo propagandistico, punisce con il carcere. La vera punizione di routine, il vero ferro del mestiere, quello con il quale si sbriga il lavoro e si tiene l’ordine, è la semplice accusa, a piede libero ma con un processo pendente: un processo che anche se si conclude, come di norma in questi casi, con pene irrisorie o con l’assoluzione piena, con le sue lungaggini (a volte dura anche vent’anni), i suoi rinvii, le sue spese e i suoi gradi di giudizio, costituisce di fatto una condanna. Costituisce in pratica una tortura psicologica di intensità media, ma di durata lunghissima. Costituisce una tortura maligna e devastante, che neanche i tempi più bui della storia hanno conosciuto. Di fatto, il cittadino non ha nessuna difesa contro l’apparato democratico dello Stato. Se questo lo vuole punire, per qualunque motivo (o anche senza motivo), lo punisce. Se lo vuole distruggere, se vuole ridurlo in miseria, rovinarlo nel corpo o nella psiche, spingerlo al suicidio, lo può fare, perché basta appioppargli un’accusa, che anche se poi risulterà falsa o irrisoria avrà sempre messo in moto l’apparato «tritacristiani». E questo sarebbe uno Stato di diritto? Per quanto riguarda le libertà di parola, di espressione e di stampa, una bella fetta di queste libertà se ne va con i reati di opinione che il codice italiano disinvoltamente prevede: la diffamazione (è ben circostanziata quella a mezzo stampa), la lesione dell’onore personale, le apologie di cose considerate esecrabili (ad esempio, di reato o del fascismo), le istigazioni trasgressive, a delinquere, alla sovversione dello Stato, alla disobbedienza civile e così

via, anche con riferimento al tricolore, alla resistenza, alle Forze armate, alla nazione, ai Capi di Stato ed a molte altre cose che in questo paese, evidentemente, hanno bisogno delle baionette per reggersi in piedi. In tal modo, chi scrive o parla in pubblico non può esprimere liberamente le proprie opinioni, perché è costantemente sotto la minaccia di una repressione statale confusa nelle more di un iter processuale, di un atto dovuto in seguito ad una querela. Da questo punto di vista, la situazione in Italia è rimasta la stessa dell’Ottocento. Nel 1879, il mite poeta Pascoli scontò quattro mesi di carcere per avere scritto un’ode a Passanante, mentre ai nostri giorni Giorgio Forattini, per una vignetta, è stato querelato per diffamazione dal potente onorevole D’Alema, che gli ha chiesto anche un risarcimento danni di tre miliardi di vecchie lire. Anche il comico Beppe Grillo è stato prima querelato dalla Telecom per una battuta sui servizi telefonici erotici forniti dalla stessa e, poi, nuovamente querelato dalla professoressa Rita Levi Montalcini, mostro sacro della ricerca scientifica femminile, per averle attribuito una performance pubblicitaria nascosta. Ciò che rimane delle conclamate libertà se ne va con la sapiente organizzazione del mondo mediatico, attuata dallo Stato in combutta con il privato di turno. In breve, si tratta di bloccare l’accesso ai media a chi minaccia, con le parole e con le idee, l’assetto politico vigente, cioè il gruppo sociale, la lobby che detiene il potere. L’uso dei mass media è riservato agli apologeti della classe politica imperante, utili idioti, utili venduti o utili convinti che possano essere. Solo loro possono scrivere sui quotidiani nazionali o regionali, essere pubblicati da grande case editrici sia come saggisti che come romanzieri o quant’altro, essere conduttori o comparire nelle televisioni di Stato o private, dire qualche parola su qualche frequenza radio, essere invitati a conferenze, dibattiti e manifestazioni e, naturalmente, arrivare al successo, guadagnando molto spesso cifre enormi ed illudendosi che si tratti di riconoscimento al loro valore (ricordo ancora con quanto sincero orgoglio Oriana Fallaci informava di essere stata strapagata per il suo articolo anti arabo «La rabbia e l’orgoglio», pubblicato da Il Corriere della Sera). Gli altri, i critici, pericolosi secondo i vigenti assetti, trovano aperta solo la strada dell’editoria alternativa, che si rivolge ad un pubblico non solo numericamente microscopico, ma anche in genere culturalmente settario, con idee precostituite e, in molti casi, patologicamente immodificabili, cui, spesso, è arduo ed ingrato rivolgersi. Così, in Italia, paradossalmente, fatti salvi il codice penale e le leggi di pubblica sicurezza di cui si è parlato, un cittadino può parlare e scrivere a volontà, a patto che non abbia un pubblico. Non gli rimane, al massimo, che internet, che non paga e che ha pochi lettori, in genere solo alla ricerca di conferme delle loro opinioni. In questo modo, si realizza una censura di fatto e le masse vedono il mondo attraverso le lenti parziali e deformate fornite dal potere. Quanti, infatti, hanno mai sentito parlare del revisionismo di Rassinier o di altri «storici maledetti»? Quanti giovani, fino a qualche tempo fa, conoscevano l’esistenza delle foibe o delle fosse di Katyn? Sarebbe questa la libertà di parola, di espressione e di stampa? E l’opposizione politica? Se vi fosse, queste ed altre cose avrebbe dovuto dircele! In realtà, in questo paese i partiti di opposizione non sono mai esistiti. Lo Stato italiano post 1945 è un edificio grottesco, basato su amnesie, falsità, reticenze e collusioni. Uno Stato libero ed indipendente? Siamo seri! C’è stato davvero chi ha creduto che gli Stati Uniti prima sarebbero venuti ad installarsi in Italia, e poi si sarebbero fatti portar il malloppo sotto il naso da quattro indigeni che mettono in piedi un partito di opposizione, anche se foraggiato da un’altra superpotenza? E che costi ha pagato Bettino Craxi per aver difeso la nostra sovranità nazionale nell’ affaire Sigonella? Gli intrusi, in Italia, hanno sempre dominato il campo e lo dominano oggi più che mai. Non si spiegherebbero altrimenti i «ribaltoni» di qualche partito che ha invertito completamente la propria linea politica, comprese alcune posizioni su argomenti

chiave come, ieri, l’equidistanza tra USA e URSS e, oggi, la regolamentazione dell’immigrazione, Israele e i rapporti capitale-lavoro. Sarebbe questa la libertà di opposizione? Tornando al mandato di cattura europeo, non si può affermare che tale istituto elimini ogni diritto e libertà in quanto, di fatto, diritti e libertà in Italia sono stati molto spesso solo apparenti. E non interessa neanche il fatto che tale mandato rispetti o meno la Costituzione, nei fatti già tante volte disattesa. Lo stesso vale per gli altri paesi europei, anzi in molti di essi la repressione della libertà di pensiero e lo spregio fattuale delle relative Costituzioni è assai più plateale che in Italia. Si pensi alle persecuzioni subite dagli storici revisionisti in Germania, Francia, Austria, Belgio, Spagna, Svezia e Gran Bretagna. Nei fatti, il mandato di cattura europeo non ci toglierà nulla che non abbiamo già perso, mentre ci attribuirà un qualcosa che prima non avevamo, vale a dire la chiarezza. In realtà, non abbiamo che pochi diritti e poche libertà, ma ci illudiamo sempre di averne tanti e tanta. Ebbene, dopo sarà molto peggio! È chiaro infatti che il mandato di cattura europeo è stato studiato solo per la repressione ideologica e politica, per eliminare ogni forma di dissenso e non solo per imporre, ma anche per rendere indiscutibili le scelte e i valori che dall’alto si vorranno adottare. La sua forma fondamentale - lo ribadisco - è quella di attribuire la possibilità ad ogni paese appartenente all’Unione europea di estradare e processare nel proprio territorio qualunque cittadino che abbia infranto le sue leggi dovunque lo abbia fatto nell’ambito dell’Unione europea, anche in un paese - magari quello di origine o di residenza - dove tali leggi non esistevano. Ciò potrà avvenire senza che pregiudichi gravemente il funzionamento di tutte le società europee, esclusivamente nel campo della repressione del dissenso politico. In tutti gli altri campi, l’applicazione del mandato di cattura europeo potrà far precipitare l’intera Europa nel caos, nell’incertezza e, forse, nella rivolta. Basti pensare che, in Spagna, non esiste il reato di offesa al pudore; dunque, in quel territorio, specie i turisti, si permettono comportamenti che altrove sarebbero vietati. Saranno arrestati tutti e deportati per il processo in paesi più bigotti? E cosa succederà per quei paesi che prevedono la maggiore età a meno di 18 anni? L’Inghilterra farà catturare e manderà a Dartmoor tutti gli automobilisti continentali perché girano contromano e lo stesso faranno i paesi continentali con gli inglesi perché girano contromano? E, così via, con i migliaia di casi grotteschi che potrebbero capitare, ognuno capace di paralizzare la vita civile. Invece, con la repressione del dissenso politico tutto funzionerebbe benissimo: i dissidenti non allineati, i veri oppositori, sono pochi e il loro annientamento non susciterebbe alcuna conseguenza nel pubblico che - come prima ho osservato - già è nelle mani dei mass media posseduti dal potere. E sarebbe un grave errore di sottovalutazione, un’illusione, pensare esclusivamente alle leggi attualmente vigenti in qualche luogo. È chiaro che le vere leggi repressive arriverebbero dopo l’adozione del mandato di cattura europeo, quando veramente la loro introduzione sarebbe facile. Basterebbe che un paese anche piccolo, come il Lussemburgo, vietasse un comportamento per legge e, ipso facto, il divieto sarebbe generalizzato in tutta l’Europa. A quel punto, si aprirebbero possibilità veramente fantastiche; infatti, un paese potrebbe vietare di criticare la politica estera degli Stati Uniti, un altro potrebbe vietare di parlare male dell’ONU, e così via, a valanga. Teniamo presente che in un brevissimo futuro saranno ammessi nell’Unione europea paesi del calibro culturale, religioso e giuridico di Israele e della Turchia. Il mandato di cattura europeo avrebbe, inoltre, un effetto su un altro piano, non so quanto collaterale o secondario. È chiaro, infatti, che la gestione di fatto dei reati europei (reati di opinione previsti solo in alcuni paesi) sarà operata da organizzazioni private che, attraverso le loro filiali nei vari Stati membri, avranno il compito di segnalare eventuali infrazioni. Ad esempio, in un certo paese si parla male degli ebrei, in un altro

qualcuno non riconosce l’autorità formale del Papa, e così via: nessun pubblico ministero da solo avrà modo di sapere cosa succede all’estero. Ebbene, è chiaro che tali organizzazioni transnazionali saranno tutte mantenute dal grande capitale, esattamente come accade oggi con tutte le ONG del mondo, quali Greenpeace, Human Rights Watch e così via. Il risultato quale sarà? Sarà quello di avere privatizzato la repressione politica, di averla affidata in gran parte ai privati, a qualche ricca lobby . Alla fine avremo certamente a che fare con un disastro; ma sarà tutto più apparenza che sostanza perché gran parte della sostanza già mancava. Per contro, la situazione sarà chiara a tutti: repressione del dissenso, omologazione, terrore, nuovi gulag. E ciò porterà dei vantaggi; non sarà più possibile fingere di essere di opposizione: quale opposizione, infatti, se gli oppositori saranno già stati tutti annientati? Chi sarà sulla breccia, in libertà e in attività, vorrà dire che sarà connivente con la situazione, un manutengolo del regime. In breve, non sarà più possibile giocare alla democrazia ed il gioco che si dovrà fare, se si vorrà continuare a giocare, sarà il gioco della dittatura: uomini del regime di qua, onnipresenti, osannati, ricercati dai mass media, habitués della TV, prezzolati; uomini dell’opposizione di là, zittiti, oscurati, diffamati, respinti da tutti, in miseria. Per noi, uomini liberi che alla seconda categoria abbiamo sempre appartenuto, cambia poco e forse in meglio. Infatti, come ha scritto di recente Giordano Bruno Guerri: « Il mandato di cattura europeo permette almeno di rendere visibile questa deriva antidemocratica, di fare sentire questa stretta sulle libertà individuali dei singoli e sull’autonomia territoriale dei popoli. Siamo infatti alla sovversione e alla distruzione dei più elementari principi di civiltà giuridica: non c’è più certezza del diritto, perché l’individuazione dei reati di opinione contemplati dalla normativa europea consente in astratto di criminalizzare chiunque. L’Unione europea infatti non ha un codice penale e di procedura penale comune e dunque, con l’eliminazione della competenza per territorio nazionale, si possono aprire dei varchi repressivi che potrebbero essere utilizzati per i motivi più inconfessabili». Pericoli segnalati paradossalmente anche dal ministro della giustizia Castelli, cioè dal Guardasigilli di un Governo, il nostro, che si appresta a varare queste norme liberticide e che, poco prima di Natale, ha affermato: «Il mandato di cattura europeo potrebbe essere utile per alcuni reati: terrorismo internazionale di matrice islamica, mafia. Ma si è estesa questa fattispecie a quasi tutto, alla xenofobia per esempio. E dietro questa accusa c’è soltanto la volontà di coartare la libertà di espressione. Cioè: chi dice cose scomode mettiamolo in galera». Il superstato europeo, «il più freddo di tutti i mostri», come è stato definito, sta per entrare in funzione. Da domani per dire ciò che siamo o ciò che vogliamo dovremo farlo di nascosto, come ai tempi dell’inquisizione, come i carbonari di ieri e i perseguitati di sempre.
È per queste ragioni - succintamente esposte - che esprimerò il mio voto contrario alla proposta che la Camera si accinge a votare.