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Una luce nel buio: Catricalà mette in discussione il dogma dei CIP6

di Ernesto Ferrante - 13/02/2009

 
Da mesi siamo costretti ad ascoltare meraviglie sugli inceneritori che mangiano rifiuti e come per incanto, bruciando bruciando, producono energia conveniente in quantità, luce e riscaldamento a volontà, acqua calda a gogò per doccie e bagni calienti ad ogni schiocco di dita. Tanti problemi risolti con le stesse salvifiche fiammate. Incenerimento e CIP6: sembra essere questa la nuova via per il paradiso terrestre. CIP6 di giorno e di notte, CIP6 sopra e sotto. Basta un CIP6 per essere felici.

 

 

Ma cosa saranno mai questi benedetti CIP6? Secondo un'orribile formulazione sono i "contributi alle fonti di energia assimilabili alle energie alternative", volgarmente  tutti i pubblici denari destinati al finanziamento di progetti energetici "poco rinnovabili", ma tuttavia equiparati a "vere fonti energetiche rinnovabili". Correva l'anno 1992, quando il Comitato Interministeriale Prezzi (CIP) emise una delibera (la numero 6), con la quale stabilì una maggiorazione del 6% del prezzo dell'elettricità pagato dai consumatori finali. Il ricavato avrebbe dovuto essere utilizzato per promuovere le energie rinnovabili, acquistandole dai produttori ad un prezzo superiore a quello di mercato. L'obiettivo dichiarato era quello di incentivare le aziende energetiche ad orientare la loro produzione verso le energie rinnovabili, in primis, solare ed eolico.  Nella formulazione della norma però, furbescamente, accanto all'espressione "energie rinnovabili" fu aggiunta l'estensione "o assimilate". Così, come sempre accade in questo Paese, quella che poteva essere una buona cosa si è trasformata in una colossale macchina mangiasoldi.

Sul reale significato dell'aggettivo "assimilate" e sui criteri per l'identificazione delle energie "assimilate alle rinnovabili", non è mai stata fatta chiarezza, con la conseguenza che una valanga di miliardi di euro è stata utilizzata per produzioni energetiche tutt'altro che "rinnovabili". A deviare ulteriormente dall'intento originario ha contribuito  poi anche la direttiva comunitaria del 2001/77 ed il relativo decreto attuativo (D.Lgs. n°387/2003) che ha esteso alla produzione energetica dai rifiuti anche altri benefici che la Direttiva europea originariamente prevedeva  solo per le fonti rinnovabili. I quasi 40 miliardi di fondi del CIP6 stanziati in questi anni sono così serviti per il 76% a finanziare una marea di "assimilate", e solo in minima parte a promuovere le vere "energie rinnovabili" (solare, eolico, geotermico, idroelettrico), con una marea di denaro pubblico che è finito nelle casse delle solite grandi aziende, per produzioni energetiche tutt'altro che "rinnovabili". Basti pensare alle centrali termoelettriche, alle produzioni di gas e carbone da residui di raffineria, ai reclamizzati  rifiuti non biodegradabili bruciati nei termovalorizzatori. Per non parlare poi della produzione di energia dal petrolio che furbescamente in Italia è stata  ricondotta nella maxi categoria delle "assimilate".

Morale della favola, i cittadini hanno dovuto pagare in bolletta mediamente 60 euro l'anno in più, ma le energie rinnovabili in Italia sono rimaste al punto di partenza. E' di questi giorni la notizia che il Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, Antonio Catricalà, nel corso di un'audizione alla Commissione delle Attività Produttive della Camera ha spiegato che il cosiddetto CIP6 non solo ha un costo esagerato per i cittadini ma è usato impropriamente ed in più ha sul mercato un effetto distorsivo. Tra l’altro è un freno a ricerche e iniziative tecnologicamente più avanzate e più convenienti per la produzione di energia. Per farla  breve: il CIP6 applicato fuori dal suo stretto ambito, è un pessimo affare per gli italiani. Tranne - aggiungiamo noi - che per i soliti noti che ci si arricchiscono. Non per niente un inceneritore tutto suo lo voleva anche la camorra, a Santa Maria La Fossa, in provincia di Caserta, come è emerso dalle indagini del pool anticamorra della procura di Napoli. Il garante Catricalà ha concluso la sua audizione dichiarando: “L’emergenza rifiuti ha imposto l’adozione di interventi efficaci che possono richiedere la specifica finalizzazione degli incentivi”.  “Possono”, non “devono”, dunque.

Insomma: risolvere l’emergenza d’accordo, ma senza approfittarne. Nel caso specifico campano poi, gli inceneritori più che essere la soluzione sono la causa del disastro. È per nutrire l’impianto-mostro progettato dalla Fibe ad Acerra che si è colpevolmente continuato ad accumulare  ecoballe non a norma dove prima c’erano frutteti  tra i più belli d’Italia. In Campania la strada dell'incenerimento a tutto spiano e l'apparato di potere del commissariato, hanno a lungo frenato l’avvio di percorsi virtuosi, come la raccolta differenziata e il riciclo, più efficienti e meno dannosi per lo smaltimento dei rifiuti. La serietà, l’intelligenza e il coraggio del discorso di Catricalà ed il suo tentativo di cominciare a fissare qualche paletto per calmare gli appetiti  della lobby tasversale degli inceneritoristi italiani che va dagli amici di Berlusconi a quelli di Bersani, da quelli di Bertolaso a quelli di Bassolino, rappresentano un buon inizio.

La strada da fare, però, per  formarsi un’idea più precisa del rapporto tra inceneritori ed emergenza rifiuti in Campania è ancora lunga. Possiamo solo augurarci che non venga folgorato anche lui sulla via di Acerra...