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Cambogia, Khmer Rossi a processo

di Marco Del Corona - 13/02/2009

Kaing Guek Eav non trascorre i suoi giorni incatenato al pavimento con altre decine di prigionieri, le labbra a inseguire uno scarafaggio per integrare una dieta di broda immangiabile. In carcere Kaing Guek Eav non verrà preso a bastonate, nessuno userà tenaglie ed elettrodi contro di lui. L`attesa di Kaing Guek Eav scorre fra comfort inauditi: una cella pulita, pasti decenti. Nessuno lo metterà a morte. Si terrà stretta la vita. Privilegio che i detenuti affidati alle sue cure, oltre 30 anni fa, non potevano sperare. Kaing Guek Eav è la prima e per ora unica persona rinviata a giudizio in Cambogia nel processo ai dirigenti dei Khmer rossi, responsabili di crimini contro l`umanità. Nel regime instaurato da Pol Pot tra il 1975 e il 1979 - perverso ibrido di marxismo e nazionalismo xenofobo - Kaing portava il nome da rivoluzionario, Duch. Era il responsabile della prigione più importante, S-21, nell`ex liceo di Tuol Sleng: vi morirono almeno 17 mila persone, una frazione del milione 700 mila vittime del genocidio khmer. Duch,torturava, interrogava, eliminava. «È un caso facile. Me lo immagino rassegnato a dire la verità», commenta al telefono Nic Dunlop, il fotografo irlandese che cercò per anni il «boia scomparso» (“The Lost Executioner”, così ha intitolato il libro sulla sua caccia), lo rintracciò e lo fece arrestare: era il maggio `99. Dieci anni dopo, il 17 febbraio, si comincia. Prima udienza tecnica. Poi Duch dovrà difendersi da accuse che sono nei libri di storia ma nessun giudice ha mai pronunciato contro di lui. Polemiche sula forma, il mandato, il numero degli imputati, sospetti di corruzione sul personale: mille dubbi corrodono la vigilia. Lo stesso Dunlop teme «il rischio dell`irrilevanza» per un procedimento che arriva tardi. Ma l`avvio del processo contro i leader superstiti dei Khmer rossi resta un evento epocale, al di là dei distinguo. È la chance estrema di rendere giustizia alle vittime e di imporre agli ideologi ed esecutori del genocidio un faccia a faccia con le loro responsabilità personali e giuridiche. Il cervello dei Khmer rossi, il «fratello numero uno» Pol Pot, è morto nel 1998. Così Son  Sen e Ta Mok, «il macellaio». Ma oltre a Duch, sono in carcere altri 4 gerarchi, tutti in attesa di essere rinviati a giudizio: Nuon Chea era il «fratello numero 2», l`ideologo senza scrupoli; Khieu Samphan il capo di Stato, il volto presentabile dei Khmer rossi anche dopo la caduta del regime, l`uomo che faceva la spola fra i campi della guerriglia e l`Onu, dove per anni la Cambogia venne rappresentata dagli uomini di Pol Pot con l`avallo di Usa, Cina e Gran Bretagna; ci sono poi Ieng Sary, potente ministro degli Esteri, e sua moglie Ieng 11rith, cognata di Pol Pot e ministro degli Affari sociali. Sono accusati di aver ispirato e ordinato massacri ed epurazioni, ciascuno in base al suo ruolo, e di aver adottato politiche che causarono vittime per inedia, superlavoro, assenza di cure mediche. I capi d`imputazione abbondano, le prove raccolte anche. Manca il tempo. Perché Duch compirà 67 anni il 17,novembre ma gli altri 4 in carcere sono ultrasettantenni e ultraottantenni in cattiva salute. Lanciata in era clintoniana (1994) da una risoluzione del Congresso americano, l`ipotesi di un processo contro gli artefici del genocidio ha impiegato anni a prendere forma. Pesavano le titubanze delle grandi potenze, l`ambigua timidezza dell`Onu che aveva a lungo trattato i Khmer rossi come interlocutori. E decisivo era il no della Cina, sponsor di Pol Pot. L`idea del processo non piaceva al re Sihanouk, già persecutore, poi alleato, poi capo di Stato, poi ostaggio, poi di nuovo alleato dei Khmer rossi. Il premier Hun Sen, dagli anni Ottanta a tutt`oggi uomo forte della Cambogia, all`inizio sentenziò: «Portandoli alla sbarra il Paese non trarrà vantaggi, anzi, torneremo alla guerra civile. Meglio scavare un buco e seppellirci il passato». Ora invece un processo che non intacchi il potere gli fornirebbe una verginità morale. Alla fine del tira e molla l`Onu ha rinunciato all`idea di una corte sul modello di quelle per ex Jugoslavia e Ruanda. Nel 2001 il via libera di Phnom Penh, nel 2003 l`accordo con l`Onu. Le Camere straordinarie nelle Corti cambogiane (Eccc) prevedono che il tribunale sia inserito nel sistema giuridico cambogiano, con 8 magistrati nominati dall`Onu accanto a ii colleghi cambogiani. II budget per il2oo6-9 è di 56 milioni di dollari. In un Paese dalla corruzione en- demica, dove un pugno di potentissimi condiziona ogni scelta, l`indipendenza dell`Eccc suscita legittime apprensioni, e le ong più attente hanno segnalato vistose defaillance. Esiste poi una serie di problemi politico-metodologici. Come l`arco temporale entro il quale circoscrivere i crimini contro l`umanità. La scelta draconiana di cominciare con l`ascesa dei Khmer rossi (17 aprile 1975) e chiudere con la caduta (6 gennaio 1979) ha reso infatti accettabile il processo a molti, benché così siano esclusi i bombardamenti Usa (almeno 15o mila morti, 6oo mila per Christopher Hitchens) che ingrossarono le file dei Khmer rossi, l`invasione vietnamita del`78-9, le efferatezze di Pol Pot nei territori controllati fino al `75 e dopo il`79• E se la stessa categoria di «genocidio» applicata al caso cambogiano non trova una- nimi i giuristi, un dilemma grave sta nel numero degli imputati. Il tema si pose anche nell`agosto 1979, quando il governo filo-vietnamita insediatosi a Phnom Penh organizzò un processo contro la «cricca genocida»: condannò a morte in contumacia Pol Pot e Ieng Sary - e solo loro due nella speranza di spaccare la leadership della guerriglia. Oggi i due co-procuratori la pensano ciascuno in modo opposto all`altro. Il canadese Robert Petit ritiene che vadano aggiunti altri imputati, per non minare la credibilità del processo. La sua collega cambogiana Chea Leang ha dichiarato invece che «il mandato dell`Eccc prevede solo un piccolo numero di casi». «La cosa importante, intanto, è processare i 5 ed emettere i verdetti prima che muoiano di vecchiaia», dice al Corriere Toni Fawthrop, autore con Helen Jarvis di «Getting Away with Genocide?», volume cruciale sul processo. Fawthrop ammonisce: «Tra i 5 c`è Nuon Chea, braccio destro di Pol Pot. Non basta? La credibilità del tribunale sta proprio nella sua capacità di arrivare alle sentenze per i 5. Ci potranno poi essere altri imputati, magari con un problema di budget, ma non accetto l`argomento che allargare l`indagine ad altri minacci la pace e la riconciliazione. In ogni caso, il tribunale è meglio che niente. E un modello esportabile. E per la prima volta dà un ruolo attivo alle vittime». Youk Chhang, responsabile del DcCam (il Centro di documentazione che raccoglie prove e testimonianze), avverte che «la deposizione di Duch porrà più problemi che chiarimenti». Poiché non era un capo supremo ma «uno degli esecutori più importanti», e poiché c`erano molte prigioni come la sua, l`Eccc «indagherà anche gli altri responsabili?», si chiede Chhang. E qui si va a sbattere sulla questione che forse più di tutte ha frenato la nascita e le attività del tribunale: se si vanno a cercare esecutori e quadri intermedi, si rischia di trovarli nell`amministrazione civile della Cambogia di oggi, nell`esercito, persino nel governo. Anche Hun Sen era stato un Khmer rosso prima di rivoltarsi contro Pol Pot e fuggire in Vietnam. E Khieu Samphan, nella sua casa vicino al confine thailandese, prima dell`arresto si divertiva ad alludere a Sihanouk: «Nella storia dei Khmer rossi ci sono alte cariche...». Tutti colpevoli, nessuno colpevole, è la linea di Khieu, assistito da Jacques Vergès, l`«avvocato dei diavolo» del nazista Barbie e di Milosevic. Ma è tardi. La storia ha parlato: sì, colpevoli. Adesso tocca alla corte.