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La crisi deve ancora arrivare

di Gianfranco La Grassa - 14/02/2009

˂˂A poche ore dal summit finanziario del G7 che lo vede protagonista a Roma, il direttore generale dell'Fmi, Dominique Strauss-Kahn, lancia uno sguardo poco rassicurante sul futuro: gli effetti della crisi sull'economia reale, dice, “per lo più devono ancora arrivare”. Per DSK “il 2009 sarà certamente un anno piuttosto cattivo per la crescita, e non solo per le economie avanzate, ma anche per quelle emergenti”.˃˃ (da Rainews 24).

 

Senza avere a disposizione Istituti vari ed équipes di specialisti ed “esperti”, mi sembra di aver rilevato molte volte negli ultimi mesi che ancora non conosciamo la reale portata della crisi che avanza; ancora l’altro ieri scrivevo, per inciso, in Una squallida manovra: “in una situazione di crisi sempre più grave (non ci siamo ancora dentro in modo del tutto drammatico, ma l’ora si avvicina!)”. Per molto tempo si è fatto finta di niente, poi si è scatenato da almeno un anno ormai il putiferio sui prestiti subprime e i derivati vari. Si continua ancora adesso a blaterare sulla questione, senza giungere a conclusioni ben definite su come “sterilizzare” i cosiddetti asset tossici nelle varie banche, magari con creazione di bad banche che li assorbano sotto controllo pubblico, ma con modalità che non sembrano affatto al momento ben definite; ed inoltre, sappiamo chi alla fine dovrebbe pagare se la crisi dura o comunque se quei titoli, com’è del tutto probabile, continueranno a rimanere carta straccia mai più rivalutabile.

La vera crisi sarà però quella dell’economia detta reale, riguardante cioè la produzione di beni e servizi. Quando questa sarà in pieno svolgimento, si riverbererà a sua volta, nuovamente e più catastroficamente, sulle attività finanziarie, sui “conti dello Stato”, ecc. Nel mio ultimo scritto teorico sul carattere di feticcio della merce (che dovrebbe essere messo a breve nel sito), ho rilevato come le ideologie dominanti, fatte passate per scienza, rendano talmente opaca la realtà – pur di impedire la comprensione dell’origine del profitto nel pluslavoro/plusvalore (della forza-lavoro) – da confondere le idee anche ai gruppi sociali (economici e politici) che credono di prendere le più sagge e lungimiranti decisioni. Leggo con piacere sul Sole24ore le dichiarazioni del nostro premier, che finalmente dismette il suo ottimismo e il suo continuo invito alla “gente” a non abbandonare le sue abitudini di consumo (e con quali mezzi, di grazia?), dichiarando che è molto preoccupato perché “la crisi non è ancora ben definita” (meglio tardi che mai!).

La crisi non sarà mai ben definita in un sistema (non solo economico ma soprattutto socio-politico) come quello che funziona oggi e che, per la verità, nessuno è ancora riuscito a sostituire (il massimo tentativo fatto nel ‘900 è finito in modo inverecondo, come dovrebbe essere ben noto a tutti). Ho dovuto ancora oggi leggere, in una intervista a Urso su Liberomercato, l’enorme sciocchezza secondo cui ciò che ci sta rovinando è l’ormai sempre più evidente protezionismo (a partire dagli Usa di “San Obama”). Non si è imparato niente dalla crisi del 1929, tuona Urso. In effetti, quelli come lui non hanno imparato nulla dal fatto che la stagnazione, seguita a quella crisi, è stata superata solo con la seconda guerra mondiale (e, in alcuni paesi come Italia e Germania, anche prima, ma grazie a metodi che nessuno mi sembra rimpianga).

Il capitalismo funziona a mezzo di periodiche crisi fin dai suoi inizi. Solo la teoria neoclassica, fino a Keynes, non le ha viste; i marxisti e alcune correnti eterodosse le avevano già messe in conto come consustanziali a tale tipo di società ed economia. Quest’ultima ne ha passate alcune decine (e alcune assai grosse, come nel 1907 e 1929, e perfino lunghissime come quella del 1873-96); eppure, guarda un po’, nessuna ha insegnato ai gruppi dominanti di cooperare tutti insieme, di evitare protezionismi, di rendere sempre più “libero” il mercato. Cari Urso, Liberomercato & C., la vostra “mano invisibile” è relativamente (molto relativamente) “virtuosa” quando esiste nel sistema (socio-politico-economico) un centro che ha la potenza necessaria ad assolvere la funzione di – lo ripeto: del tutto relativo – regolatore dell’economia mondiale (a parte la particolarità, assai poco studiata seriamente, del bipolarismo tra il 1945 e il 1989).

Oggi siamo in fase di netto s-centramento, di multipolarismo (e solo come fase di transizione al policentrismo). Occorre che ognuno – ogni formazione particolare, che è tutto sommato, ancor oggi, coincidente o quasi con un paese, una “nazione” – si batta come un leone per uscire dalla crisi, almeno dalla sua congiuntura più acuta (nessuno sa se poi ci saranno strascichi di stagnazione come a fine secolo XIX o negli anni trenta del XX), in condizioni meno peggiori degli altri. Certamente, si possono trovare misure comuni per singole decisioni, per alcuni particolari settori d’intervento e in contingenze assai specifiche e del tutto transitorie; ma, nel complesso, è bene che ci si attrezzi a non subire passivamente la “mano invisibile”, e tanto meno la sedicente cooperazione generale, che nella fase storica attuale non hanno proprio più nulla di “virtuoso”, dato che tale virtù, come appena ricordato, è solo la supremazia centrale di una data formazione particolare.

Inutile ogni ulteriore stupido servilismo verso gli Usa, perseguito perché spaventati dalla crisi che attraversa il mondo nel momento di declino del loro disegno imperiale. Se qualche cretino o vile tenta di ritornare alla situazione “precedente”, assolverà solo la funzione di stuoino su cui si puliranno i piedi sia gli Stati Uniti sia le nuove potenze in crescita; che, anch’esse, passeranno una crisi, e non “divertente”, ma ne usciranno infine – o almeno questo accadrà alle più energiche fra loro – in situazione di deciso spostamento dei rapporti di forza sul piano mondiale. In Italia siamo messi terribilmente male. I “fessi” – che passano per economisti ed “esperti” finanziari – dilagano da tutte le parti. La sinistra, al completo, è un unico bubbone del tipo messo da me in rilievo nell’ultimo intervento. La destra si sta spappolando: non ha idee, esprime solo preoccupazione, disorientamento, stallo completo e devianti idee alla…..Urso.

Bossi e Fini stanno accerchiando Berlusconi per miserabili fini “piccoli piccoli” delle loro miopi forze politiche. Berlusconi è patetico nella sua indecisione che passa per mediazione; e si prende pure del “fascista”, il che mi sembra veramente il massimo del comico. Siamo ben oltre Il teatro dell’assurdo; e saremo ben presto in ginocchio, nel cuore della crisi (non ancora realmente arrivata come certifica perfino il FMI; eppure leggiamo ogni giorno dati assai pesanti). Assolutamente necessario sarebbe un “cambio di marcia”; ma con un’altra “autovettura”. Sinistra e destra fuori da questo teatro; e un duro, durissimo, gruppo decisionista in sella, e anche “protezionista”; almeno quel tanto che è necessario per non essere totalmente sommersi dall’onda.

Ormai, così non può durare a lungo; è un’anarchia completa, uno sfascio totale, si rischia il naufragio. “O capitano! Mio capitano! Il nostro viaggio tremendo è finito,/ La nave ha superato ogni tempesta, l’ambito premio è vinto,/ Il porto è vicino, odo le campane, il popolo è esultante….” scriveva il grande Whitman. Allora però “il capitano” c’era, o c’era stato (visto che lo avevano appena “abbattuto”). Qui siamo, almeno così sembra, agli antipodi; non c’è nemmeno “un sottotenente”. Allora, come il povero Sciesa, diciamo: "tiremm innanz".