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La distruzione del contratto collettivo nazionale

di Romano Visconti - 14/02/2009

Fonte: italiasociale

 

 

Mentre i cittadini venivano distratti dalla dolorosa, nonché privata vicenda di  Eluana Englaro, il cui caso ha acceso infuocati, quanto sterili dibattiti parlamentari e televisivi, si consumava l’ennesimo crimine nei confronti dei lavoratori italiani. Con l’Accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali, firmato il 22 gennaio scorso da Uil-Cisl oramai appiattiti su posizioni filo datoriali e l’ Ugl  in cerca solo di “un posto a tavola”,mentre la Cgil fa melina… ;si demolisce l’intera struttura dei Contratti Nazionali di categoria e si mette in discussione la stessa esistenza del “sindacato” come soggetto atto a tutelare le istanze dei lavoratori. In un momento che possiamo definire epocale,perché vede ovunque il fallimento e la recessione del sistema liberal capitalista, costretto a chiedere aiuto allo Stato per poter sopravvivere, in Italia anziché  avviare una serie di riforme di stampo socialista per l’economia nazionale e realmente partecipativa per i lavoratori nelle aziende, si continua a perseverare nella diabolica direzione di aumentare i profitti a chi già li ha e togliere garanzie e tutele ai soggetti più deboli.

Demagogiche appaiono poi le sparate del governo Berlusconi di questi giorni,tese a far credere che veramente l’esecutivo abbia a cuore i problemi dei cittadini, si rottama, si incentiva, ma alla fine i soldi finiranno sempre nelle casse dei “soliti noti”, per lenire così le lacrime di coccodrillo della Marcegaglia  alla quale si uniscono volentieri i ministri “falchi liberal” Brunetta e Sacconi.

L’accordo quadro che ne è scaturito garantisce “benefici e profitti “ alle sole imprese, in esso sparice ogni riferimento, anche simbolico all’incremento del potere di acquisto dei salari, ed al suo posto si cita l’”efficienza dinamica retributiva”, che i parole povere significa solo la tutela delle necessità delle aziende. In esso si parla anche di rilancio della “crescita economica”, …di sviluppo dell’occupazione…. Già ,era la stessa cosa che stava scritto nel famigerato protocollo del 23 luglio 1993, ( che seguiva quello del  31 luglio 2002 con il quale Cgil Cisl e Uil e governo Amato I abolirono definitivamente la scala mobile) e  che aprì allora la strada alla concertazione sindacale, istituzionalizzava i sindacati depotenziandoli, dava il via libera alla flessibilità del lavoro, che poi avrebbe avuto seguito con le leggi Treu e Biasi  e legava il salario all’inflazione programmata..un miraggio. Ora con la firma del 22 gennaio si pongono ancora e più paletti per contenere le reali aspettative dei lavoratori

Esaminando in dettaglio il nuovo modello contrattuale( voluto fortemente da Confindustria),della durata sperimentale di 4 anni, che vedrà la riconferma su due livelli di contrattazione ,Contratto Nazionale di categoria  e decentrato. Il CCNL sarà triennale, sia per la parte salariale, sia per quella normativa e dovrebbe nelle intenzioni degli estensori “ garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi” comuni a tutti i lavoratori del settore senza però dare alcuna indicazione esatta relativa al livello di questo trattamento,  e non dando alcuna certezza sul “reale potere d’acquisto salariale”.Dall’abolizione della scala mobile questa certezza era svanita già da tempo, quindi i salari a livello nazionale saranno stabiliti partendo da un “parametro previsionale” elaborato da “un soggetto terzo”(?), che non viene neppure citato nell’accordo…, che utilizzerà  un “ nuovo indicatore dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo”, denominato IPCA.

Si capisce fin troppo bene che questo nuovo indicatore, che sarà “ depurato” dai prezzi energetici noti come  inflazione importata, non consentirà di coprire l’inflazione, quella vera, che erode i salari ed inoltre  quest’indicatore sarà applicato solo a parte della retribuzione, prendendo a riferimento un valore retributivo da individuarsi nelle intese di settore. A ciò si aggiunge da un punto di vista strettamente sindacale,che le “verifiche” e gli eventuali “recuperi”tra inflazione prevista e reale saranno decisi a livello interconfederale e non più categoriale, escludendo pertanto la base da qualsiasi decisione.

Nel settore pubblico, a differenza di quello privato dove i pur risibili recuperi degli scostamenti tra inflazione prevista e reale saranno effettuati nel triennio di vigenza contrattuale, si procederà a stabilire un indice previsionale come solo valore di riferimento  che però terrà  conto delle risorse destinate agli incrementi salariali, il cui ammontare sarà definito dai Ministeri competenti, dopo aver sentito le OO.SS. .Le eventuali variazioni saranno valutate alla fine dei 3 anni ed i recuperi avverranno nel triennio successivo…E’ facile immaginare come  dopo questa firma, queste ultime ben addomesticate, saranno certamente più che  disposte ad assecondare la politica di tagli del governo, del resto  non si può prima sottoscrivere accordi capestro e poi ergersi a difensori dei lavoratori.

La valenza negativa di questo accordo è palese e ci viene anche  dalla lettura del punto 16 dello stesso, dove compare la possibilità di “deroghe in peggio del CCNL” sia per la parte normativa, sia salariale

durante la trattativa di secondo livello. Tutto questo con la scusante di “ favorire l’occupazione, lo sviluppo economico, occupazionale e sanare(!) le situazioni di crisi. In poche parole le imprese quando decideranno di assumere ,potranno tranquillamente chiedere di peggiorare la parte salariale: se vuoi lavorare devi accettare uno stipendio da fame!

Se poi ci aggiungiamo l’iniqua eliminazione della parte energetica nella rivalutazione salariale, ci accorgeremmo che solo poche briciole resteranno per i lavoratori italiani. E’ giocoforza che le aziende cercheranno di incentivare la contrattazione di secondo livello, dove avranno la possibilità di mettere mano anche alla busta paga, ricevendo inoltre sgravi fiscali e contributivi purché questi ultimi siano legati ad aumenti della produttività, così potranno risparmiare sul cosiddetto “ costo del lavoro” a spese del bilancio dello Stato e quest’ultimo per arrivare almeno al pareggio taglierà sicuramente le spese sociali.

A questo desolante quadro va aggiunta la totale perdita di credibilità delle OO.SS. che vedranno la loro rappresentatività  regolata da nuove norme, anche con certificazioni Inps delle iscrizioni sindacali, inoltre potranno proclamare sciopero nei servizi pubblici locali solo i “sindacati più rappresentativi”, venendo così a ledere un diritto sancito dalla Costituzione. Vengono eliminati così i sindacati di base e si riduce fortemente ogni conflittualità, inibendo il valore stesso dello sciopero, gestito da “sindacati” non più espressione della base, ma filo padronali. In cambio questi ultimi potranno aumentare le loro funzioni  attraverso gli “enti bilaterali” ed anche le loro entrate…già cospicue grazie ai Caf , divenendo sempre più la balia del lavoratore o non più la spada.

L’impennata di questi giorni della Cgil serve solo a confondere le acque, il sindacato di Epifani evidentemente non gradisce che sia un governo di centrodestra ad assestare questa bordata ai lavoratori,avendo in passato sottoscritto il peggio di tutto l’immaginabile. Ora è tardi per rifarsi un verginità svanita da tempo e forse mai posseduta, del resto fu proprio un governo di centro sinistra ad introdurre il lavoro interinale in Italia, ma il sindacato che fu di Di Vittorio allora  non mosse un dito e così farà anche adesso.