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Disordine e caso in politica

di Antonio Gnoli - 16/02/2009

In che modo il disordine minaccia la sovranità e può diventare un incubo per il potere. Intervista a Carlo Galli

Il successo di un uomo politico non dipende solo dall´abilità con cui traduce nell´azione una propria visione del mondo. Un ruolo tutt´altro che secondario riveste la fortuna, come aveva capito nel XV secolo l´autore del Principe Niccolò Machiavelli. La fortuna è imponderabile, cieca, insondabile nei suoi modi di realizzarsi. Essa è perfino ingiusta, sfacciata, nella sua cruda casualità con cui favorisce o sfavorisce qualcuno. Nella politica essa ha un peso a volte determinante. E il politico che improvvisamente vi si imbatte deve saperla afferrare, piegando a proprio vantaggio l´avversità che l´altra faccia della fortuna può scaraventargli contro.
Fortuna, caso, contingenza sono parole equivalenti per misurare l´imponderabilità e i rischi che si nascondono nel tempo presente. Alla contingenza e al suo opposto - ovvero alla necessità, Carlo Galli (che insegna Storia delle dottrine politiche all´Università di Bologna) ha dedicato un libro che ricostruisce una polarità dentro cui la modernità politica, a partire da Machiavelli e Hobbes, si è mossa. Sia Machiavelli che Hobbes sono agli occhi di Galli pensatori della contingenza. Essi intendono limitare, se è possibile ingabbiare e neutralizzare, gli effetti del caso, la virtuale irrazionalità che in esso si nasconde, la sua capacità di produrre disordine e inquietudine.
Non sempre il caso, o la contingenza, ha giocato un ruolo primario nella storia della politica. Prima che tramontasse il modello teocratico le linee dell´azione politica erano per lo più interne a un disegno divino. È soltanto con l´irrompere della modernità che il caso acquista un rilievo e un´importanza sia fattuale che speculativa. Tutto il libro di Galli (Contingenza e necessità nella ragione politica moderna, Laterza, pagg. 256, euro 20) è centrato sul rinnovamento che il Moderno produrrà nelle categorie politiche e sui tentativi di quelle frange, significativamente legate alla Chiesa cattolica, di restaurare un ordine di natura teocratica. Per queste ultime lo choc della Rivoluzione Francese fu enorme. Il pensiero controrivoluzionario di De Maistre, Bonald, Donoso Cortés, imputò al Moderno l´ingresso delle masse in politica, la nascita della democrazia e del socialismo.
In conflitto con il pensiero liberale, questi autori videro nella politica teologizzata, ossia messa al riparo dal disordine e dall´anarchia, il solo modo per ristabilire un ordine che avesse nuovamente nell´obbedienza alla legge divina il punto di riferimento.
Professor Galli perché la contingenza ha così tanta importanza nel pensiero politico moderno?
«Perché diviene l´elemento ineludibile del suo modo di intendere il disordine storico. Si tratta in altre parole di pensare la fine della tradizione cristiana e dell´idealità rinascimentale, consapevoli che certe categorie, certi modi di intendere la sovranità non funzionano più».
Esattamente cosa entra in crisi?
«L´idea, tipica della tradizione cristiana, per cui all´inizio di ogni ragionamento politico, diciamo pure del suo logos, ci fosse la Giustizia riconducibile a un Ordine più o meno divino. La realtà mondana là dove deviava da quell´ordine doveva semplicemente correggersi in funzione extramondana».
Ma in pratica come avveniva la correzione dell´errore?
«Attraverso l´esercizio del buon governo e della giustizia umana. In questo modo era possibile ottenere l´armonica coesistenza della società. Al contrario, il Moderno - con le sue guerre civili, con i conflitti di religione e con l´affermarsi del primo capitalismo - vive in maniera diretta che all´inizio della sua esistenza ci sia il disordine. Scopo della politica dunque non è uniformare la società a un ordine preesistente, ma crearne uno che risolva gli urti, i conflitti, le contraddizioni che lo attraversano. È una vera rivoluzione quella che attueranno alcuni pensatori moderni».
Lei definisce Machiavelli e Hobbes pensatori della contingenza. Ma aggiunge che hanno due modi differenti di rispondere al disordine che la società produce.
«In Machiavelli la contingenza originaria si chiama Fortuna. Essa può essere fonte di pericolo, ma anche un´occasione di virtù, perciò non va completamente neutralizzata. La virtù infatti esalta le energie del principe e del popolo. Sapendo però che il fine della politica per Machiavelli è la gloria. Mentre in Hobbes il fine della politica è la costruzione dell´ordine. Agli occhi dell´autore del Leviatano la contingenza originaria è vista come fonte di pericolo e deve essere quanto più possibile bloccata e sostituita dalle certezze dell´ordine normativo creato dalla ragione umana».
Sia Machiavelli che Hobbes sembrano dirci che Dio non serve nella costruzione del nuovo schema politico del potere. Eppure, soprattutto Hobbes, non riesce a sbarazzarsi completamente dalla figura ingombrante di Dio. Si può affermare che la modernità è fin dall´inizio qualcosa di incompiuto e di contraddittorio?
«Già i polemisti cattolici del Seicento e poi del Settecento avevano compreso che il razionalismo politico moderno, e l´illuminismo che ne è stata la divulgazione, possono essere interpretati come una teologia politica rovesciata che attribuisce al soggetto umano e alla sua ragione il ruolo fondativo, creativo e normativo che nella tradizione era svolto da Dio. Essi vedono la modernità come una sacrilega parodia dell´Ordine e della Giustizia».
È una interpretazione che accentuerà i toni critici dopo la Rivoluzione francese. Il Dio perduto, esiliato, annichilito dalla Modernità occuperà i pensieri dei vari De Maistre, Bonald, Donoso Cortés. Siamo nel cuore nero dell´Ottocento.
«Sono pensatori che riducono il Moderno al nichilismo. Nessuna meraviglia perciò se agli occhi di questi critici la politica moderna realizza esattamente il contrario di ciò che si ripromette: vuole l´ordine e ha la rivoluzione, vuole la fraternità e ha la guerra, vuole il progresso e ha la caduta dell´Europa nella barbarie, vuole lo Stato e ottiene l´instabilità, vuole l´uguaglianza e ha l´oppressione dei borghesi sui proletari, che ben presto si rovescerà, come profetizza Donoso Cortés, nell´oppressione dei proletari sui borghesi».
A spaventare questi pensatori è la nascita delle masse come soggetto politico. Perfino un teorico della democrazia come Tocqueville se ne sente condizionato. C´è una relazione tra loro?
«È dimostrata l´influenza che il pensiero controrivoluzionario cattolico francese ha avuto su Tocqueville. Il quale accolse l´idea che la democrazia è il destino e l´orizzonte del Moderno e che al tempo stesso è perennemente in condizione di crisi. Ma mentre le cause di questa crisi sono per i fondamentalisti controrivoluzionari di natura teologica, Tocqueville ne dà un´analisi storica e sociologica».
È possibile istituire una relazione forte tra quei pensatori cattolici che vedono nel Moderno la dissoluzione della Tradizione e l´attuale politica culturale della Chiesa?
«C´è nell´attuale pontificato un revival tradizionalistico che si veste di aristotelismo. Benedetto XVI ne è la punta teorica più avanzata».
Cosa si deve intendere con tradizionalismo?
«Che c´è una sola retta ragione umana che nasce dal fatto che Dio ha parlato agli uomini in modo razionale, in modo che tutti comprendessero gli ordini e si adeguassero a essi. Esercitare la retta ragione significa dunque uscire dal conflitto con Dio e con la Chiesa gerarchica».
La legge umana va subordinata alla legge divina?
«Se la ragione umana è rettamente utilizzata non può non essere in sintonia con la legge divina. È la posizione dell´attuale Papa. Il Cardinal Martini, per fare un solo esempio, ha una posizione molto più drammatica».