Sta nascendo a Collesano (PA), a cinque chilometri dalla spiaggia delle Salinelle e a quindici minuti da Cefalù, “IL GREMBO” il primo Villaggio della Decrescita Felice.
Il nome “grembo” ha a che vedere in primo luogo con la morfologia del terreno: una stupefacente conca naturale affacciata sul golfo di Termini Imerese guardando verso Capo Zafferano, in una zona collinare a circa 300 metri di altitudine posta a ridosso dello splendido Parco Regionale delle Madonie.
Un grembo che al pari di quello materno è al contempo immagine di un ritorno alle origini e tramite di una nuova rinascita.

Ma per spiegare fino in fondo le ragioni della scelta di questo nome ho bisogno di partire dall’immagine abusata dell’uomo come eterno bambino, e vedere sulla mia stessa pelle come in questo momento ci sia bisogno di consolazione, di senso di sicurezza, di qualcuno (o di qualche esperienza) che ci convinca che qualunque sia il nostro desiderio, quale che sia il sogno nascosto nella nostra anima, noi “possiamo farcela“.E senza dubbio c’è anche il bisogno di comprensione, di un perdono costruttivo che diventi elemento di sollievo, germe di rinascita.

Ora, qual è l’esperienza insieme più ancestrale, più forte e più essenziale che un bambino possa vivere per soddisfare questi bisogni ?
Non vi è dubbio: è l’abbraccio materno, il ritorno a quel grembo che accoglie, circonda, consola.
E spostando il paradigma bambino-madre, a quello uomo-terra, ecco che riesco a vedere con nitidezza questo bisogno (forse ancora latente, non del tutto manifestato) dell’uomo-bambino allontanatosi troppo, incantato dall’indipendenza, illuso dal delirio di onnipotenza, mistificato dall’eccesso di virtualità.
Il bisogno di riscoprire il legame materno. Con la “Pacha Mama”, con la dea della terra, dell’agricoltura, della fertilità.
Con l’origine, con l’essenzialità, con quella giusta dose di rigore che è il solo tramite verso l’amore incondizionato.

Il sito in cui sta sorgendo IL GREMBO non è una collina, non si erge, non pretende, non vuole dominare, non ospiterà strutture umane protese, innalzate.
Ma è una conca, un abbraccio, un nido, un ventre.
Non ospiterà opere o attività dell’uomo, ma le accoglierà. Ed è una differenza sostanziale.

Si tratta di un insediamento permanente, centrato su quattro pilastri progettuali: l’autostentamento di abitanti ed ospiti; l’autosufficienza energetica; l’impatto zero; il recupero della dimensione collettiva dell’esistenza. Un luogo nel quale concetti quali sobrietà, autoproduzione di beni e servizi, dono e reciprocità, escono dalla teoria della decrescita e diventano tensione collettiva, elementi di aggregazione, pratiche quotidiane. Uno spazio nuovo, popolato da anime che non vogliono rassegnarsi alla deriva dell’umanità, ma vogliono tornare a vivere con lentezza, serenità ed allegria della terra e per la terra, e tornare a regalarsi sia il sudore e la vescica che l’ozio e la contemplazione.

Per la progettazione si sta utilizzando il sistema della permacultura, che essendo di fatto ecologia applicata, offre al contempo la possibilità di realizzare insediamenti umani sostenibili in modo permanente ed un quadro di riferimento etico-filosofico per tutto l’agito umano. Questo sistema di progettazione, che sostanzia le logiche dell’architettura biologica, fornisce a chi lo utilizza una serie di principi e metodi, una nuova disciplina al cuore della quale esiste un’unica regola: “prenditi la tua responsabilità“.

Edifici costruiti (e auto-costruiti) in bioedilizia, utilizzando materiali e competenze del luogo, e fondendo il recupero delle caratteristiche architettoniche tradizionali all’utilizzo delle moderne tecnologie per la “casa passiva”. Autosufficienza energetica globale ottenuta attraverso impianti solari, micro generatori eolici e piccoli motori ad olio di colza per la cogenerazione (produzione contemporanea di energia elettrica ed acqua calda). Applicazioni di geotermia e sistemi di raffrescamento naturale.
Lo stesso olio di colza (puro, senza esterificazione) verrà utilizzato previo modifica del motore come combustibile per i mezzi agricoli. Si cercherà di dimostrare che, come riportato da alcuni studi, la stessa percentuale di terreno che in passato si utilizzava per dar da mangiare agli animali da tiro (circa il 30% della superficie agricola utile) è oggi sufficiente a “dare da bere” alle macchine agricole che hanno sostituito uomini e animali nelle lavorazioni più pesanti.
Lavorazioni che comunque saranno ridotte al minimo, dato che si intendono sperimentare metodi di coltivazione come l’agricoltura sinergica, che da un lato minimizzano gli interventi umani e dall’altro consentono al terreno di mantenere la propria fertilità senza alcun ricorso a protesi chimiche. Potremmo definirlo un biologico a basso consumo di energia e a ciclo chiuso.
La più ricca varietà di colture (piante per l’alimentazione, officinali, da profumo, da fibra, da colore, ecc.) nel rispetto della vocazionalità e recuperando specie e varietà tipiche e tradizionali minacciate di estinzione dall’insensata pratica della monocultura.

Dal punto di vista dell’approvvigionamento idrico ci si muoverà nell’ottica di una totale autonomia, sfruttando alcune sorgenti già disponibili ma soprattutto approntando un sistema di raccolta, accumulo e distribuzione delle acque meteoriche che combini la genialità delle tecniche tradizionali siciliane (spesso riferibili alla dominazione araba) con le più innovative tecnologie disponibili. Utilizzo di compost toilet e trattamento delle acque reflue attraverso impianti di fitodepurazione. Tutto l’insediamento avrà impatto ambientale nullo sia dal punto di vista della compensazione tra la quantità di CO2 emesso in atmosfera e fissato dalle coltivazioni, che dal punto di vista dell’Impronta Ecologica complessiva: ogni oggetto, ogni sistema introdotto nel centro, ogni singola attività umana, in definitiva la vita complessiva del villaggio (considerato come un vero e proprio organismo vivente) dovrà svolgersi nel rispetto di un vincolo assoluto, ovvero quello di non superare mai l’estensione territoriale a disposizione.

Il Grembo costituirà anche un modello di “insediamento umano permanente a rifiuti zero”, operando in modo metodico e scientifico la differenziazione, la riparazione, il riuso, il riciclaggio, e il compostaggio. Verranno introdotti nel “sistema chiuso” del villaggio solo quei prodotti dell’industria per i quali sia definibile un protocollo di corretta gestione dello smaltimento (o autonomamente con mezzi artigianali, o direttamente a cura dell’azienda produttrice come sempre più spesso accade per i pannelli fotovoltaici). Per la mobilità esterna di residenti e ospiti si metteranno a disposizione piccoli veicoli elettrici (biciclette, scooter e mini-auto) e verrà realizzata una pensilina-parcheggio con sistemi di ricarica a carta prepagata. Verranno stimolate le amministrazioni dei comuni del parco delle Madonie e dei principale centri balneari del tratto di costa prospiciente il parco, a realizzare a loro volta una di queste pensiline.
La zona più frequentata delle Madonie potrebbe così diventare il primo “distretto elettrico della mobilità turistica” in Italia. Si realizzerà una vera e propria stazione di posta, per dare assistenza e fornire ristoro e accoglienza a chi decide di gustarsi questi paesaggi dalla bellezza mozzafiato in modo “alternativo”: a piedi, in bicicletta o seguendo antiche e nuove ippovie.

Il modello di vita comunitaria proverà a favorire la ricostruzione di profondi legami sociali e con il territorio, centrando la vita del gruppo sulla comprensione, il rispetto reciproco e la collaborazione.
Il centro costituirà laboratorio per la conservazione e la propagazione delle abilità artigianali in via di estinzione, e si proporrà come “propulsore” per la nascita di nuovi Gruppi di Acquisto Solidale e per servizi di scambio del tempo (anche promuovendo l’utilizzo dei buoni SCEC) e di condivisione delle risorse (car pooling, ecc.). Oltre alla vendita dei prodotti della terra eccedenti il fabbisogno interno (esclusivamente commercializzati attraverso quei canali in grado di ristabilire un corretto legame con il territorio, quali la vendita diretta in azienda, la vendita ai Gruppi di Acquisto Solidale o presso i Farmer Markets), si punterà sull’eco-turismo, sull’aiuto dei wwoofers, sulle visite didattiche e sulla organizzazione di veri e propri corsi di formazione sulla permacultura, sulla decrescita felice e su tutti i sistemi e metodi adottati dal centro per ottenerne la “chiusura” e l’autosufficienza. Chiusura che, è importante sottolinearlo, riguarda esclusivamente la struttura organizzativa del villaggio, ma che non deve per nulla indurre a pensare all’isolamento. Anzi: la diffusione capillare del messaggio è tra gli obiettivi primari dell’iniziativa.
Ed il messaggio è questo: “è davvero possibile proiettarsi a vivere così” (non “tornare a vivere così”). Perché scegliere di recuperare quelle buone pratiche del passato che erano state progettate per avere un’alta prospettiva di futuro, non vuol dire tornare indietro, ma significa fare una scelta di progresso. Aver cura di se stessi, della propria felicità, amare il futuro fino a desiderarlo in ogni azione quotidiana, mettersi in contatto permanente, condividere in modo profondo e costante.
Non credo esista un altro modo per spazzar via quella deprimente impossibilità di guardare al futuro con speranza che è l’essenza di ogni crisi. E penso non vi sia un modo migliore per offrire un’alternativa ai giovani che amano questa terra e che vorrebbero smettere di “andare fuori”.
Giovani che stanno amaramente constatando come il “posto sicuro” in passato garantito da una economia ormai in coma, non esiste più.
Giovani che stanno capendo che non ha più senso laurearsi per poi accettare una paga da fame al call-center, nella nebbia, al freddo, con i cornetti fatti al microonde.
E che forse varrebbe la pena di tornare a far vivere quella campagna di famiglia (qui lo chiamano “il giardino”, ed è emblematico) se solo esistesse un nuovo modello di sostenibilità anche economica, come la multifunzionalità spinta del “IL GREMBO” vuole dimostrare.
E vedere il colore del cielo, avere il mare, il sole, gli iris alla ricotta e, finalmente, un’occasione vera di riscatto di questa terra e del suo popolo.

Chiudo con lo stesso provocatorio interrogativo con il quale ho iniziato l’articolo e che svilupperò a fondo in un’altra occasione: cosa sono questi modelli di esistenza sostenibile, che richiamano estendendolo il concetto di ecovillaggio, e vogliono prendersi la responsabilità di favorire la ricostruzione di un corretto rapporto tra la società civile e l’ambiente naturale ?
Che vogliono favorire un nuovo sviluppo dell’agricoltura centrato sul saper essere più “coscienza collettiva” e meno industria.
Che vogliono spingere al recupero di un equilibrio tra settori produttivi, fornendo un modello per il massiccio ritorno al settore primario.
Che vogliono ripristinare un corretto bilanciamento tra autoproduzione per l’autoconsumo, scambio e produzione per il mercato.
E che vogliono far spazio per una umana elevazione che non abbia nulla a che vedere con la crescita del PIL, ma piuttosto e finalmente con uno spontaneo e sacrosanto sviluppo spirituale.

E’ troppo tardi per immaginare che siano laboratori della transizione ? Stiamo forse calando a mare le (troppo poche) scialuppe di salvataggio mentre i signori del Titanic danzano con l’acqua che cinge loro le caviglie ?