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Il Futurismo è un grande movimento antifilosofico e anticulturale!

di Adolfo Sansoni - 24/02/2009

 

Così, proprio così, F. T. Marinetti tuonò innumerevoli volte salendo su di un palco e assalendo il pubblico, che di lì a pochi istanti sarebbe stato coinvolto in un’altra “Serata Futurista”, la colorata e assordante sarabanda nella quale consisteva uno spettacolo dei Futuristi.
Perché una certa notte di febbraio del 1909 Marinetti passeggiava per viali, strade e vicoli di Parigi? L’ansia dell’attesa lo condusse ad avviarsi verso uno scampolo di vita dolcissima e poetica: l’affaccendarsi degli scaricatori ai Mercati Generali. Alle prime luci dell’alba, l’ansia terminò con stringere tra le mani un giornale.
Lì di spalla, in alto a sinistra, sulla prima pagina de “Le Figaro”, ecco il suo articolo “Le Futurisme”. Il moto della storia batteva, per un attimo, più veloce.
Era il mattino del 20 febbraio 1909, era nato il Futurismo.
Era nato il movimento artistico che tenne a battesimo tutte le avanguardie d’Europa.
Era nato il Futurismo, l’unico movimento artistico che decideva dapprima cosa andava fatto. E poi lo faceva.
Una rivoluzione totale, che investì e mutò per sempre l’arte, la politica, la vita di tutti i giorni, in un carnevale ultravariopinto e scanzonato di poesia, felicità, arte e amore per l’Italia.
Guidato con straordinarie audacia e generosità, cantato dal  genio poetico di Marinetti, il Movimento Futurista si lanciò all’assalto su qualunque fronte fosse disponibile.
Contro l’Accademismo dell’istruzione e della cultura artistica, contro i metri costrittori della poesia, contro la cultura pensosa e burocratica che non frequenta la vita, contro la serietà e contro la filosofia, contro le pipe, le barbe e le pance.

Le pattuglie di poeti, pittori, scultori, musicisti, aviatori, soldati, canzonettiste, cocotte, giovani, vecchi, atleti, agitatori politici, anarchici, arditi, cuochi e fotografi italiani sono innumerevoli.
Dal genio illimitato di Umberto Boccioni e Giacomo Balla, alle poesie icastiche di Ubaldo Serbo, il più giovane futurista di Italia della Gil di Vicenza, è tutto un catalogo incredibile di vite, trovate, allegria, festa, guerra e arte di eccelso valore.
La velocità e il dinamismo, le parole in libertà e l’aeropittura, l’interventismo e la rivoluzione, l’apprezzamento delle idee futuriste da parte di Lenin e di Mussolini: perché nel Futurismo ci fu posto per tutti.
Anarchici e fascisti, atei e religiosi, allievi e professori, tutti invitati a lasciarsi andare a qualunque libertà, tranne quella di essere vili, a una libertà assoluta che deve dominare su tutto, tranne su di una cosa: la parola Italia.
Ogni cosa fu rivoluzionata e travolta, eppure innumerevoli furono gli stili futuristi. Tuttavia ancora oggi, appena un quadro o una poesia futurista capitano sotto gli occhi, riesplode la loro carica dirompente, la loro allegria.

Vano sarebbe tentare di scegliere nell’elenco senza misura, un artista o un poeta.

Eppure, per chi voglia ritrovare la novità tuttora attuale, futurista appunto, di uno splendido quadro, facciamo un elenco, anzi un appello, seppure minimo, scegliendo tra la strapotente inventiva dei futuristi. Perché non è descrivendo noi un’opera futurista che possiamo ricordare questo centenario: nelle orecchie echeggerebbero assordanti le pernacchie di Marinetti e dei suoi amici. E ci sarebbe il rischio di prendere anche qualche cazzotto.
Lo possiamo ricordare invitandovi a guardare un quadro, o a leggere una poesia, o a conquistare una donna, o a ideare una trovata che domattina ridipinga il vostro lavoro di allegria. Solo così, ci si può permettere un centenario futurista. Salvandosi dai loro sonori sberleffi e dai loro altrettanto sonori ceffoni.

Chiamamoli dunque in passerella.

Il Dinamismo in pittura di Umberto Boccioni. E la sua idea di trascinare lo spettatore dentro il quadro.
La pittura dei suoni colori odori di Carlo Carrà.
L’astrattismo di Balla, che non rappresenta alcun soggetto, ma le sensazioni che esso produce.
La guerra-festa di Fortunato Depero e la sua ricostruzione dell’universo, dai fiori, agli animali, ai giocattoli.
I romanzi di fantascienza di Enzo Benedetto e Volt.
Le mogli altrui timbrate nel momento più dolce con inchiostro indelebile, per essere certi di non sottrarsi a un confronto con i loro mariti.
Marinetti in Russia che beve benzina, Marinetti volontario di tutte le guerre tranne quella di Spagna, troppo clericale, Marinetti col santino del sacro cuore sempre sul petto.
Martinetti ancora sul Don per combattere la guerra veloce multifronte mussoliniana.
I romanzi sintetici di Piero Bellanova.
Le astrazioni liriche di Enrico Prampolini e Fillia.
I futuristi al tavolo della presidenza in Piazza Sansepolcro il 23 marzo 1919, non perché siano proprio fascisti, ma perché il Fascismo rappresenta pur sempre il programma minimo del Futurismo.
I futuristi alla guerra-festa di Fiume.
Le formule sinestesiche delle Cucina futurista.
Il Manifesto “Il controdolore” di Aldo Palazzeschi, che proclama la necessità di irrompere nelle corsie degli ospedali e ai funerali con nasi finti e coriandoli.
La vita aerea ingrediente indispensabile per rinnovare tutte le arti: aeropoesia, aeropittura, aeroscultura.
Alfredo Ambrosi, che si schianta al suolo con il proprio aeroplano e mezzo morto chiede un pezzo di aereo per dipingerci sopra le illuminanti visioni avute durante lo schianto.
Il pittore Corrado Forlin, che nell’ultima cartolina scritta in Russia poco prima di morire paragona scherzando i carri russi a enormi insetti che fanno prurito alla schiena.
Angelo Caviglioni, che esponeva i suoi quadri nei negozi di antiquariato e che per essi fissava le più incredibili cifre astronomiche.
Il pittore Mario Menin, di giorno combatte in Africa. Di notte non può dormire: perché Marinetti lo sveglia e lo obbliga a dipingere su teloni militari le battaglie della giornata.
Le aeropoetesse glorificatrici della guerra: Maria Goretti, Dina Cucini e Franca Maria Corneli, che durante la Repubblica Sociale scorazzano per l’Italia del nord per tenere in ogni città “I quarto d’ora di poesia”.
La poesia astratta di Alceo Folicaldi, scritta a passeggio tra i portici e i bordelli di Bologna.
Gli “intonarumori” di Luigi Russolo, i nuovi strumenti musicali indispensabili per distruggere il grazioso in musica.
Ma l’elenco è interminabile. I volti e le vite innumerevoli, le avventure mirabolanti. In Egitto con Nelson Morpurgo o a Capri con Gilbert Clavel, in Spagna con i legionari c’è Bruno Aschieri, a Napoli Francesco Cangiullo, in Sardegna si cantano le miniere, a Milano Mario Carli fonda l’ “Associazione Arditi d’Italia”.
In tutte le guerre i futuristi morirono allegramente per l’Italia: da Antonio Sant’Elia architetto al poeta Luigi Peroncabus, da Gioacchino Savarè caduto in Africa, a F. T. Martinetti, che lasciò in Russia i meccanismi del proprio cuore.
Un incredibile campionario di arte, vita, gioia e patriottismo scanzonato ma tremendamente serio.

I futuristi cantarono il disprezzo della donna, e ne furono ripagati da favolose conquiste. E le donne accorsero numerose tra le loro fila. Cantarono l’amore per il pericolo e partirono cantando per tutte le guerre che trovarono sottomano.
Il tutto condito da un assoluto favoloso amore per l’Italia.
Cercate un quadro futurista: ce ne sono perfino nei musei. Cercate un libro futurista: ce ne sono perfino in libreria.
Sarà questo il modo migliore per festeggiare questo giovanissimo Movimento di allegria e inventiva italiana che in questi giorni compie strillando i suoi primi teneri cento anni.