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Quando il capitale privato possiede e orienta la vita

di Riccardo Petrella - 27/02/2009

 
 
«Che cosa ci sta dicendo, in fondo, questo dibattito sul nucleare?». Riccardo Petrella, 67 anni, economista politico, ha insegnato Mondializzazione dell'Economia all'Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, tenuto corsi alla Libera Università di Bruxelles (sezione olandese) e partecipato alla creazione dell'Università del Bene Comune - un progetto nato nel 2001/02 a seguito dei Lavori del Gruppo di Lisbona, che parte dal principio che la conoscenza è un bene dell'umanità. È sempre combattivo e positivo, ma nella sua risposta, quella alla domanda iniziale, c'è una vena di malinconia: «Entra nel cuore di una questione fondamentale: sapere se il capitale privato può continuare ad essere proprietario della vita, o invece non sia ora di cambiare. Essere proprietario della vita, delle energie, dell'acqua, dell'alimentazione, del sole, del vento, della terra, degli ospedali, delle scuole. È tutta la stessa battaglia, quella della ricchezza collettiva. La sinistra l'ha abbandonata, non ci crede più».

Professor Petrella, il nucleare....
No solution, non è una soluzione

Già, ma non le sembra, invece, che ci sia una certa apertura anche tra la gente, un clima cambiato?
La prima impressione è che ci sia una leggera inversione di tendenza nell'opinione pubblica, ma soprattutto in certe classi dirigenti che prima erano fermamente opposte al nucleare. Non so se ci siano gli elementi per confermare una modifica a livello di opinione pubblica, ma certo tra le classi dirigenti ormai predomina un certo ecumenismo, ossia dare spazio a tutte le possibilità: eolico, petrolio, nucleari, solare, risorse rinnovabili. Dare spazio a tutte le energie possibili nella misura in cui conducono ad una riduzione dei costi, ad un'efficienza energetica più elevata e a un impatto ambientale controllato. E siccome chi domina il mondo è riuscito, negli ultimi anni, a convincere tutti che le tecnologie sono diventate sempre più efficienti e buone e che le nuove generazioni di nucleare siano migliori, questa ondata di rassicuranti, sicure ed ecocompatibili tecnologie ha preso piede tra le classe dirigenti. Facilitato dal fatto che il cambiamento dello stato climatico spinge con urgenza alla ricerca di soluzioni sul piano energetico. Ovviamente, in special modo, per il mondo occidentale.

Lei è sempre stato tra le personalità di spicco dei Social Forum internazionali e quindi dei movimenti per un altro mondo possibile. Sente come una piccola sconfitta questo ritorno al nucleare?
Bisogna dire che non è un ritorno trionfante e poi, per essere realistici: che cosa è che torna? La capacità mercantile della Francia di vendere il nucleare. Non è che ci sia una grande ondata, si tratta della politica aggressiva di Sarkozy. Però lei ha ragione nel dire che nell'ambito dei movimenti associativi, sensibili verso una nuova ecologia del mondo, ci sia gente disposta ora ad accomodarsi - gente onesta dal punto di vista intellettuale - in questo ecumenismo in fondo. Sì, è un piccolo segno dell'indebolimento della capacità di azione dei nostri movimenti nel corso degli anni Duemila. Dopo il successo che abbiamo avuto c'è stata una specie di stagnazione nella nostra capacità di incidere sulle politiche. Perché non siamo riusciti a darci delle priorità. Ora a Belem si è sviluppata una tendenza all'organizzazione di azioni comuni su quattro-cinque priorità.

Perché il nucleare può sembrare un'alternativa?
Perché nasce sulla speculazione dell'urgenza legata ai cambiamenti climatici e che impone delle innovazioni tecnologiche sul piano energetico. Su questa urgenza si "convalida" il ritorno del nuovo nucleare. È questa la mistificazione. Se si pensa che il nucleare sia la risposta all'urgenza non solo in Italia ma nel mondo... Nel mondo non c'è questo ritorno dappertutto, stazioni nucleari di 3° generazione si possono contare sulle mani e ancora non si può dire che ci sia una vera centrale nucleare della 3° generazione in funzione, e poi quelle che si faranno in Italia non entreranno in funzione prima del 2020. In termini di urgenza, semmai il nucleare contribuirà a qualcosa, sarà a partire dal 2020-2025 e contribuirà minimamente.

Una soluzione vera per l'urgenza?
Quella che è stata abbandonata, il risparmio energetico. Se fossero fatte vere politiche di risparmio energetico verrebbe dimunito di un quarto il bisogno di energia. Risparmiare il 20% di consumo delle energie significa ridurre del 50% l'emissione di co2. Come si fa a dire aumentiamo l'offerta di energia - per cui ne abbiamo bisogno urgentemente di altra - nel 2025?, quando invece si può fare veramente subito. Lei lo sa che abbiamo un sistema di produzione che è ipersfruttante, predatore e consumatore. Le tecnologie alternative ci sono, le esperienze pure, si potrebbe tranquillamente applicare il principio della riduzione dei consumi energetici. Dal trasporto urbano - con una politica di trasporto urbano di sostituzione parziale delle mobilità non obbligate, alla casa, costruendo edifici pubblici, energicamante attivi e passivi, invece di continuare a fare edifici che consumano moltissima energia.

Sentiamo questi discorsi da decenni, ormai. Non si fa e basta. Perché da un punto di vista del rendimento, quello che si chiama roi (return on investiment), in temini di valori dei mercati finanziari oggi non è così elevato per l'uso di tecnologie di riduzioni energetiche, come lo è, invece, continuare ad aumentare la produzione di energia nel mondo vecchio che conosciamo. Se lei ha ancora una molecola di carbone che inquina ma che le porta più di roi , continuerà ad utilizzare quella molecola fin tanto che il roi della molecola alternativa non sarà superiore.

Sembrerebbe una decisione più finanziaria che politica, mentre invece la scelta nasce da un intreccio totale tra le due questioni.
La crisi finanziaria dovrebbe spingere l'autorità pubblica a smascherare la mistificazione che ha spinto alla crisi ecologica e chiedere perché è stato dato un primato al roi anziché a tutto il resto. Si tratta di cambiare politica. E anche la valutazione di che cosa è rendimento o no. Il mercato non investirà in tecnologie alternative fintantochè le tecnologie esistenti non perderanno comparativamente valore rispetto alle nuove.

Il ministro Scajola ieri ha detto: «Il mercato deciderà cosa fare, il governo dà gli orientamenti».
È l'azione politica a determinare, il mercato non determina niente. Continuerà a mantenere la molecola inquinante fino a quando il rendimento sarà elevato. Il mercato, spontaneamente, non spingerà verso altro. Salvo che i poteri pubblici stabiliscano regole vincolanti penalizzando per esempio l'uso della molecola inquinante e premiando l'uso di molecole non inquinanti. In questo senso è vero: è l'autorità pubblica che orienta l'innovazione tecnologica.

È chiaro che sullo sviluppo energetico, sul nucleare, si sono stratificate diverse mistificazioni. E adesso che cosa fare e che cosa dire per opporsi? Denunciare le mistificazioni e insistere anche aggressivamente su tre concetti per affrontare la crisi energetica attuale: re-inventare le ricchezze collettive, partendo dai beni comuni. Sappiamo che tra tutte le energie rinnovabili, l'eolico e il solare sono le migliori da valorizzare. Le società che sono andate verso queste due fonti di energia si trovano oggi meno vulnerabili e più equipaggiate per far fronte alla crisi;
re-inventare la fiscalità e battersi per la fiscalità mondiale. Perché è stata abbandonata la tassa sul carbone e invece siamo andati verso i mercato delle emissioni co2? Questo significa dare spazio agli Stati più potenti per determinare gli spostamenti in funzione degli interessi dominanti. Mentre la carbon tax era più democratica. Come dire passiamo da un sistema di fiscalità diretta a uno di fiscalità indiretta che è socialmente ingiusto, economicamente inefficace e da un punto di vista etico è una violazione dei diritti, mentre la tassa diretta sul capitale è più giusta, eticamente giustificata; infine dichiarare certi beni come il sole, aria, acqua, beni indisponibili al mercato. È quello che dicevo prima, il capitale privato non può possedere la vita.

re.pol.