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Caso Cia. L’omertà dei sudditi

di Marzio Paolo Rotondò - 03/03/2006

Fonte: Rinascita

 


 

Torna sotto scomodi riflettori il caso Cia in Europa.
Il segretario generale del Consiglio d’Europa Terry Davis ha reso noto nella giornata di ieri a Strasburgo, sede dell’istituzione continentale, il risultato della sua inchiesta sulle presunte carceri segrete, sui trasferimenti illegali di presunti terroristi in Europa e sulle violazioni dei diritti umani imputati alla Cia.
L’inchiesta del deputato liberale svizzero Dick Marty, aperta a novembre su 46 Stati membri del Consiglio d’Europa secondo quanto stabilito da un articolo presente nella Convenzione europea sui diritti dell’Uomo, ha dato esiti sconcertanti considerando la reticenza e l’omertà della maggior parte degli Stati chiamati in causa.
“Gran parte dell’Europa sembra un terreno di caccia felice per i servizi di sicurezza esteri”, ha affermato Terry Davis.
Sono diverse le “aree di preoccupazione” che hanno individuato le indagini su come i Paesi aderenti all’organizzazione mettono in atto le norme per il rispetto della Convezione europea dei diritti dell’Uomo.
Oltre a questo, quasi nessun Paese europeo è dotato di disposizioni giuridiche in grado di assicurare un efficace controllo dell’attività dei servizi d’intelligence stranieri sul proprio territorio.
“I cieli europei sono eccessivamente aperti”, ha rilevato inoltre Davis, segnalando che pochi Paesi hanno adottato norme che permettano di verificare “chi e che cosa” è transitato per il loro territorio, quasi in un tentativo di lavarsi completamente le mani delle conseguenze di questa sudditanza e di questo scambio di favori inaccettabile. Davis ricorda quindi che per quanto riguarda l’immunità nei confronti del personale diplomatico, che “immunità non significa impunità”.
Fra i Paesi che più degli altri sono stati chiamati in causa per rispondere alle accuse sollevate dall’indagine del Consiglio d’Europa vi è anche, e soprattutto, l’Italia. Il caso della deportazione del imam Abu Omar nel 2003 da Milano all’Egitto, dove è stato torturato e dove si sono perse le sue tracce, è sicuramente uno dei fatti più controversi ma anche più esplicativi della gravità della situazione.
“Fornendo solo una parziale risposta sul coinvolgimento” di propri agenti e “non rispondendo affatto sulle inchieste aperte, l’Italia non ha fornito le informazioni richieste sulle indagini per il presunto rapimento di Abu Omar da parte di agenti Cia in Italia”.
Ma l’Italia è solo uno fra i Paesi che non hanno fornito risposte “complete e adeguate” al Consiglio d’Europa. Altri Paesi sono stati messi sotto i riflettori quali Bosnia Erzegovina, Germania e Macedonia, tutti già citati nel rapporto Marty di gennaio. Erano “i quattro principali Paesi oggetto di accuse, dettagliate e documentate, circa i trasferimenti illegali”. “Purtroppo, con l’eccezione della Germania, questi Paesi hanno perso l’occasione di fornire risposte complete e adeguate in grado di disperdere tutti i dubbi circa la loro presunta cattiva condotta”. Oltre a questi Davis ha citato il caso della Polonia, “uno dei primi Paesi menzionati per la presunta esistenza di carceri segrete”, la cui risposta è “deludente e anche con le migliori intenzioni non può essere considerata adeguata ai fini dell’inchiesta”.
In ogni caso, il segretario generale del Consiglio d’Europa ha spiegato che gli Stati che non hanno fornito informazioni sufficienti saranno presto i destinatari di un supplemento di domande, sintomo che l’indagine è ancora lontana dall’essere chiusa.
Al termine del suo discorso Davis ha concluso, sconcertato e deluso, che “è difficile capire perché le risposte fornite da questi Paesi omettano di citare i casi di presunti trasferimenti, già menzionati nel rapporto di Marty, e perseguiti dalle magistrature nazionali, o oggetto di richieste di cooperazione giuridica da parte di un altro Stato membro del Consiglio d’Europa”.
La risposta è però, nonostante l’omertà dimostrata, quanto mai evidente. Il caso Cia in Europa è sempre più scottante e scomodo con il passare del tempo e delle indagini. I motivi sono i più disparati. Innanzi tutto, il più grave, la non tutela del diritto internazionale e dei diritti dell’uomo che mettono in serio pericolo sia gli ideali ‘democratici’ degli Stati Uniti, più che mai ipocriti, che quelli dei loro alleati. Il caso ha anche messo in discussione la propensione europea di diversi Stati candidabili, candidati, da poco entrati o fondatori dell’Unione, che si barcamenano in una grave contrapposizione fra gli interessi atlantici e quelli continentali. Inoltre, si è messa in seria discussione l’autonomia e la forza politica dell’Unione europea di fronte al controllo e alla sudditanza sotterranea che il nostro continente ha dimostrato con il caso Cia. Una sudditanza che si estende ai più disparati settori ed avvenimenti.
Un’indagine scomoda, questa, ma impossibile da travalicare.
Un campo minato che gli Stati europei più indagati hanno deciso affrontare con omertà e mezze verità, combattuti fra interesse continentale ed atlantico, fra legalità ed illegalità, fra verità ed ipocrisia.