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Bush, Berlusconi e il mito del liberismo americano

di Carlo Gambescia - 03/03/2006

Fonte: carlo gambescia

 

 

Fa sempre un certo effetto vedere in tv Bush e Berlusconi a colloquio. Tutti e due ricchi, ma anche "alleati", conservatori, "occidentalisti", e come noto, liberisti accaniti. In teoria... Perché in pratica il primo proviene da una famiglia di oligopolisti petroliferi, mentre il secondo è il monopolista della televisione commmerciale in Italia.
Ora, che Berlusconi faccia finta di essere liberista è cosa nota, almeno in Italia. Ma che finga anche Bush, un po' meno. Non sono forse gli Stati Uniti il paese più liberista del mondo? No. E lo ha scritto Paul Bairoch, storico dell'economia, in un libro pubblicato qualche anno fa, e purtroppo passato inosservato, Economia e storia mondiale. Miti e paradossi (Garzanti 1996).
Ecco qualche dato interessante tratto dal libro.
Tra il 1820 e il 1931 le aliquote medie doganali Usa sui prodotti industriali importati raggiunsero all'incirca il 43% (in Europa il 19%), e tra il 195o e il 1990 l'8,6% (in Europa il 10%), per cominciare a risalire, ma di poco, verso la fine degli anni Novanta. Attualmente sono intorno al 10%(in Europa il 12%), ma variano per prodotto e settore e paese (nostri dati).
Per ragioni di spazio va tralasciata la voce aiuti indiretti di Washington al cosiddetto complesso militare-industriale, altrettanto ingenti. Insomma, i dati statistici dimostrano come gli Stati Uniti abbiano praticato il protezionismo, o comunque una grande pragmaticità.
Se è permessa un battuta: quando si tratta di affari l'amico americano tanto amico non è... E Berlusconi sicuramente lo sa. Ma non lo dice.
Certo, rispetto alla prima fase (di decollo imperiale,1820-1931, citiamo sempre da Bairoch), i dazi della seconda ( di consolidamento imperiale, 1931-1990, cui corriponde il declino dell'impero inglese), sono indubbiamente più bassi. Perché? Come per l'altro impero moderno, il britannico, anche gli Usa, nella prima fase hanno raccolto le proprie forze (di qui i dazi elevati), mentre nella seconda, certi della propria superiorità militare ed economica, hanno "imposto" il liberismo, per sommergere di prodotti americani, come un fiume in piena, il "mercato imperiale" (di qui le tariffe più basse). Il leggero tasso differenziale in favore dell'Europa, testimonia soltanto il timido tentativo di opporsi all'espansione commerciale americana dopo il 1945.
La situazione del disavanzo commerciale Usa, è decisamente peggiorata negli anni Novanta ( periodo non trattato nel libro di Bairoch), fino a toccare di recente cifre record. E questo a causa del finanziamento delle guerre in Medio Oriente e del sostegno ai consumi interni, che può essere spiegato solo per ragioni di ordine pubblico, pace sociale e di crescita del Pil. Sotto questo aspetto un ruolo importante è giocato dal dollaro, che grazie a un progressivo aumento dei tassi di interesse (almeno così pare), potrebbe ora tornare ad attirare capitali esteri. Ma andrebbero studiati più attentamente i flussi commerciali, vantaggiosi per gli Stati Uniti, verso paesi come l'Australia, Singapore, Hong Kong, Egitto eccetera. Potrebbero riservare soprese.
Attualmente gli Stati Uniti vedono nemici ovunque, e soprattutto stanno comprendendo che "gli imperi costano". E che perciò hanno davanti due strade: 1) perserverare in un costoso "liberismo imperiale", cercando di imporlo al mondo con le armi; 2) ritirarsi ed erigere intorno a sé un muro tariffario. Probabilmente la prima strada è più costosa della seconda. E comunque per entrambe le opzioni è difficile parlare di autentico liberismo.
In ogni caso, si profilano tempi duri e di grandi delusioni per chi ancora creda, in buona o cattiva fede, nel mito del liberismo Usa.