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Quanto è passato il Futurismo? Una modesta proposta

di Alessandra Colla - 06/03/2009

Fonte: alessandra colla

Adesso che finalmente si sono spenti i riflettori sulle celebrazioni del centenario del Futurismo, ne parlo un po’ anch’io.
Com’è noto, era stato
Marinetti stesso a invocare di esser messo da parte, lui e gli altri futuristi, una volta compiuti i quarant’anni.
Non lo fece: e la sua immagine in feluca e tricolore da accademico d’Italia, nel 1929, è una delle cose più tristi che abbia visto in vita mia.

Il sospetto, ora, è che tutto questo tripudio cerimoniale sul centenario di un’esplosione estetica che il mondo c’invidia (e questa non è retorica) sia una riparazione tardiva a decenni di ostracismo e ludibrio dettati dall’epidemia di cecità ideologica che da troppo impesta le italiche plaghe e, volete sapere la novità?, ancora non si è esaurita.
Per converso, l’identificazione del Futurismo col Fascismo — e di qui, per analogia, con tutte le molteplici forme che l’ideologia fascisteggiante ha assunto nel tempo — sembra conoscere oggi una sorta di revival: e le cronache segnalano spesso iniziative “futuriste” riconducibili alla vasta area del c.d. “fascismo” variamente declinato.

Non entro nel merito di tutte le iniziative, istituzionali e non, prese per celebrare più o meno degnamente il Futurismo. Osservo soltanto che il Futurismo nacque come audace e colto sberleffo all’immobilismo e all’ipocrisia che caratterizzavano la società borghese e il mondo accademico di allora. Oggi che la società e la “cultura” sono caratterizzate dallo sbrago più esibito, dal deprimente conformismo dell’anticonformismo e dall’ostentazione dell’incultura ovvero della volgarità in tutte le sue manifestazioni più odiose, a me personalmente sembrerebbero assai “futuristi” — per esempio — il buongusto nel vestire (che non ha nulla a che fare con le mode effimere e dispendiose, bensì affonda le sue radici nella consapevolezza che lo stile denota l’essere, e non l’apparire), l’educazione civile e sociale (che non ha nulla a che fare con l’etichetta manierosa o con gli slogan demo-verde-pacifisti, bensì affonda le sue radici nel riconoscimento dei ruoli e della loro posizione all’interno di una società strutturata), la cultura raffinata e solida (che non ha nulla a che fare con gli imparaticci da orecchianti, bensì affonda le sue radici nella frequentazione, assidua e protratta in anni di studio matto e disperatissimo, di testi autorevoli).

Utopia? Sia pure. Ma lasciate che il Futurismo seppellisca i futuristi…