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Il genio di Von Humboldt

di Luca Villoresi - 13/03/2009

     
 

 

Von Humboldt? Alexander Von Humboldt? La domanda potrebbe stroncare il concorrente di ogni telequiz. Un vuoto di memoria (collettivo), che appare tanto più singolare se si considera che pure chi quel nome lo ricorda finisce spesso per calarlo nei panni di un avventuroso esploratore. L’immagine certamente si addice al personaggio, autore di un famoso viaggio attraverso il Sud America, dal Rio delle Amazzoni alle Ande; ma, contemporaneamente, la definizione suona fin troppo limitativa per un uomo che, mentre fissava i meridiani e i paralleli delle nuove carte geografiche, rileggeva le leggi del magnetismo terrestre, decifrava i misteri dei calendari atzechi, identificava centinaia di piante sconosciute, penetrava i misteri dei vulcani... Botanico, geologo, astronomo, antropologo...[...] e l’uomo che non aveva paura di schierarsi, ora contro la schiavitù, ora al fianco delle barricate del ‘48. Un genio. E un genio di successo perché, oltre a essere riconosciuto come una massima autorità scientifica da tutte le accademie del mondo, Von Humboldt è stato anche uno dei grandi miti popolari dell’Ottocento.
Letame o diamanti, non faceva molta differenza. Perché la prima dote di Von Humboldt [...] era la sua capacità di leggere la natura: un eccezionale colpo d’occhio sul particolare, associato a una grande visione d’insieme. Von Humboldt era capace di andare a scoprire (contro ogni previsione) una miniera di diamanti in fondo alla Siberia con la stessa semplicità con la quale, in Sud America, trovandosi a passare davanti a una grande colonia di uccelli marini, aveva analizzato le proprietà fertilizzanti di quei giacimenti di guano, intuendone il futuro economico. Se in Germania e in Francia Von Humboldt siede ancora al suo posto d’onore, tra Kant e Goethe, in Italia sembra non avere più la memoria che si merita. La ricorrenza dei 150 anni dalla morte diventa così un’occasione per rispolverare una biografia davvero fuori dal comune. Una storia che inizia nel 1769, in un castello prussiano. Da una famiglia che, accanto ad Alexander, annovera tra i suoi geni anche il fratello, Wilhelm, filosofo, diplomatico, pioniere della linguistica. Alexander è, ovviamente, precoce. Gira le università tedesche. Studia di tutto: fisica, chimica, finanza, storia, medicina, matematica, botanica.
Nel 1792 Von Humboldt comincia a lavorare nella società mineraria statale prussiana. L’esperienza è breve; ma già delinea le capacità di quell’ingegnere che migliora le attrezzature di soccorso, inventa una nuova lampada, si batte per far ottenere una pensione agli operai. Gli offrono anche una carriera diplomatica. Ma la Prussia ad Alexander Von Humboldt va stretta. Lui è un uomo del suo tempo. E il suo è un tempo mutevole. Sono gli anni [...] che chiudono il Settecento e aprono le porte dell’Ottocento. Da una parte i viaggi di Cook e Bougainville, dall’altra quello del Beagle di Darwin. Da una parte Linneo che esplora la Lapponia e mette a punto la sua nomenclatura, dall’altra il Jardin royal des plantes di Parigi e i Giardini reali di Kew. Von Humboldt è lì in mezzo, come uno spartiacque. Un geografo, in un tempo dove la geografia è ancora una materia da scrivere e da riscrivere. La fine delle guerre napoleoniche ha liberato e spinto le flotte verso nuovi orizzonti: Oceania, Africa, il passaggio a Nord Ovest... esplorazioni, colonie, traffici. Le piante del Nuovo mondo non sono più solo una curiosità per i giardini dei nobili, ma assumono impreviste valenze commerciali.
Von Humboldt, in compagnia del medico e botanico francese Aimé Bonpland, si imbarca per il Sud America nel 1799. È l’inizio di un’esplorazione che, nell’arco di cinque anni, lo porterà a coprire 9.650 chilometri. Cuba, Venezuela, Perù, Colombia, Ecuador, Messico. Risale il Rio delle Amazzoni e l’Orinoco. Scala le Ande. E una sua ascensione a quota 5.600 metri, oltre a portare alla prima descrizione del mal di montagna, resterà per trent’anni il record d’altitudine dell’alpinismo europeo. Mangia tuberi e formiche. Raccoglie una quantità incredibile di osservazioni: zoologia, astronomia, vulcanologia. Per restare alla botanica: Von Humboldt e Bonpland classificano sessantamila piante, scoprendone 6.300 fino allora sconosciute. Intanto scrive contro la schiavitù, lamenta le condizioni di vita delle donne, denuncia lo sfruttamento delle miniere d’argento. Quando rientra sul vecchio continente, nel 1804, è già un mito. E fama maggiore (i contemporanei ritenevano che, dopo Napoleone, fosse lui l’uomo più conosciuto in Europa) gli verrà dalla pubblicazione del resoconto delle sue esplorazioni: Viaggio nelle regioni equinoziali del Nuovo mondo, un’opera in 34 volumi che vedrà la luce in Francia tra il 1807 e il 1833. Von Humboldt si stabilisce a Parigi. È un’anticipazione degli eroi di Salgari e Verne. Ma è anche un’autorità accademica. Un grande divulgatore (uno scienziato, sosteneva, deve essere un po’ artista e trasmettere le sue conoscenze), preso a modello da quel filone scientifico letterario che all’epoca riscuote una grande fortuna con le biblioteche universali e le riviste stile Annales des voyages. [...] Von Humboldt si ferma a Parigi per vent’anni. Di giorno scrive, studia, sperimenta. Di notte domina i salotti. Federico Guglielmo II, però, lo richiama a Berlino. Vuole utilizzarlo come ambasciatore. Von Humboldt ha sessant’anni. Ma quando lo zar si offre di finanziargli un viaggio ai confini orientali della Russia per la ricerca di giacimenti minerari parte in quattro e quattr’otto per un viaggio di quindicimila chilometri che lo porterà fino all’estremo della Siberia e ai confini con la Cina. L’esploratore annoterà di aver sostato in 12.244 stazioni di posta; senza aggiungere troppi particolari perché lo zar, per concedergli i fondi, gli ha posto una condizione precisa: non commentare la situazione del paese.
Con il fisico Gay-Lussac; assieme al quale, peraltro, scoprirà quelle due parti di idrogeno e una di ossigeno che danno vita alla combinazione dell’acqua. [...] Vede gli spagnoli che disboscano i fianchi delle colline nel basso Perù e prevede ciò che aveva già previsto per la Lombardia: frane, fonti che si seccano, alluvioni. «Abbattendo gli alberi che ricoprono la cima e il fianco dei monti gli uomini, in tutte le regioni del globo, in ogni situazione climatica, preparano calamità per le generazioni del futuro». Muore a Berlino, nel 1859. Sta finendo di scrivere il quinto ed ultimo volume di Kosmos, un «progetto di descrizione fisica del mondo» che l’ha occupato per venticinque anni e resta, forse, l’opera scientifica più ambiziosa del secolo. Ha novant’anni. E se ne va serenamente perché in fondo, dice, «la vita è una gran noia».