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Discutere di revisionismo e di olocausto

di Miguel Martinez - 14/03/2009

Un mio recente post sulla questione del revisionismo/negazionismo  ha portato, tra i commenti, a una discussione che mi ha dato l'occasione di lanciare un piccolo esperimento. Lo riporto qui, dove ha maggiore visibilità.

E' intervenuto, infatti, un certo Erwin, un esponente un po' sopra le righe della corrente che chiama se stessa revisionista e che i critici chiamano negazionista. [1]

Non siamo ancora costretti a valutare queste cose in termini giuridici ("ma signor giudice, non ho potuto cancellare il commento subito perché avevo il bambino con la febbre!"), anche se sembra che Gianfranco Fini sia intenzionato ad adeguare l'Italia alla Germania, alla Francia, all'Austria e ad altri paesi dove dire certe cose può portare direttamente in carcere.

Ma esiste la possibilità di una discussione su questi temi?

Non è facile che ci si arrivi, per tutta una serie di fattori emotivi e perché la discussione finisce di solito in uno scambio reciproco di "bugiardo! bugiardo!"

Su questi temi, ho sempre detto come la penso: credo in linea di massima alla cosiddetta "storia ufficiale", non escludo che ci possano essere molte cose incerte, e comunque essendo breve la mia vita, non intendo affatto perdermi nei meandri delle ricerche necessarie per chiarire questi elementi.

Ritengo invece cruciale fare una distinzione totale tra fatto storico e fatto mitico. Come occorre distinguere la disputa sull'esistenza storica di Gesù Cristo dalla disputa sui preti pedofili. E credo che abbiamo il diritto e il dovere di fare la critica più radicale e spietata alla religione civile dell'Olocausto.

I revisionisti dicono, in sostanza:
"noi, in base alla documentazione, affermiamo determinate cose. Invece di discuterne, i nostri avversari ci mettono in carcere o comunque ci censurano ovunque. Questo vuol dire che hanno valutato i nostri argomenti, si sono resi conto di non avere risposte e perciò possono solo metterci a tacere. Quindi, abbiamo ragione noi."
La premessa non è errata. Ogni revisionista vive in bilico tra carcere e censura. Ma la storia ci dimostra che carcere e censura non esistono per "impedire che venga fuori la verità": la verità è qualcosa che interessa pochissime persone, in genere innocui topi di biblioteca.

Carcere e censura esistono ovunque e in tutti i tempi per creare una barriera di terrore e di maestà attorno a un culto religioso. In questo caso, attorno alla religione civile dell'Olocausto. [2]

Carcere e censura quindi dimostrano, non che i revisionisti abbiano ragione, ma che l'Olocausto è oggi la religione civile dell'Occidente, tanto che per le dichiarazioni di Williamson, lo stesso Papa deve adesso recarsi in pellegrinaggio in Israele (senza passare a dare un'occhiata alla parrocchia cattolica di Gaza).

I revisionisti hanno comunque un punto di forza proprio nella proprio debolezza: "discutete con noi, se avete coraggio, invece di nascondervi dietro i magistrati!"

Non è però affatto così semplice "discutere", per una serie di motivi che il nostro piccolo esperimento dimostra.

Erwin presenta un caso curioso: Shlomo Venezia, italiano che si dichiara reduce da Auschwitz, afferma che nel campo c'era un bordello, cui non potevano però accedere i detenuti ebrei: ”era il bordello dei soldati e di qualche privilegiato non ebreo». Erwin sostiene che i documenti del campo dicono invece che le prostitute erano a disposizione dei detenuti, senza alcuna preclusione. Quindi,
Shlomo Venezia "mente".

Il tema, per quanto bizzarro, si presta in maniera insolita a una discussione razionale.

Prima di tutto, sull'oggetto stesso di discussione - l'esistenza di un bordello interno al lager di Auschwitz - le parti concordano.

Secondo, perché l'oggetto di discussione è molto ristretto e quindi non ci si perde subito in altri rivoli.

Terzo, perché la posta in gioco è molto bassa.

Se dovesse avere ragione Erwin, se ne ricava al massimo che Shlomo Venezia è un testimone non sempre attendibile - e non credo che la tesi "ufficiale" su tutta la questione ne soffrirebbe terribilmente.

Se dovesse avere torto Erwin, ne ricaviamo al massimo che gli ebrei non potevano andare a puttane nel lager, e non è certamente la più grave accusa mossa ai nazisti.

Quindi è un argomento su cui si può discutere con una certa tranquillità. Si tratta ovviamente di un semplice esercizio, senza la pretesa di arrivare alla "verità", perché nessuno di noi è un esperto di quel periodo storico; ma è il metodo che conta.

Eppure basta vedere come è andata la discussione, per capire in che ginepraio si va a finire.

Primo, un discorso tra parti contrapposte su un tema così caldo, richiede paletti molto fermi.

Chi partecipa a una simile discussione deve controllarsi in ogni momento e non reagire alle provocazioni altrui.

Deve essere disposto - cosa difficilissima - ad accettare di cambiare idea nel caso in cui l'altra parte dovesse presentare un caso più convincente del suo.

Non deve mai uscire dal tema specifico di discussione, finché non è esaurito.

Deve rispondere agli argomenti degli altri e non a quelle che sospetta siano le loro motivazioni. Dire all'avversario, "tu sei nazista!" oppure "tu sei ebreo!" non risolve nulla. Gli avvocati sono di parte per definizione, ma è ai loro argomenti che bisogna guardare.

Il problema è che anche quando si accettano questi paletti, ogni argomento che in apparenza sembra semplice, porta con sé una quantità inestricabile di risvolti. E in questo brevissimo riassunto, ho tagliato via la maggior parte dei percorsi secondari in cui è scivolato il discorso.

Il primo ragionamento di Erwin sembra sensato: Venezia afferma qualcosa che quantomeno non corrisponde ai documenti ufficiali di Auschwitz.[3]

Accettiamo per un attimo il teorema di Erwin.

Dove ci porta?

Erwin conclude che Venezia "mente", termine che presuppone una deliberata falsificazione dei fatti. E' possibile, ovviamente. Ma gli studi dimostrano che per sbagliare, non è affatto necessario mentire. Anzi, la memoria stessa è una costruzione in continuo divenire. Come i ricordi della nostra infanzia, basati sui racconti che ci hanno fatto i nostri stessi genitori, ad esempio.

Ma se lo stesso teorema di Erwin avesse una falla?

A Erwin sono state mosse una serie di obiezioni, anch'esse sensate e importanti, che vi invito a leggere. Ad esempio, Ritvan ha ricordato che la legge tedesca vietava i rapporti sessuali tra ebrei e tedeschi.

A questo punto, si potrebbe pensare che tale divieto fosse implicito nei documenti del lager, che quindi non avevano bisogno di esplicitarlo. Shlomo Venezia non avrebbe quindi detto il falso.

A questo punto, qualcuno potrebbe cambiare opinione e credere che Erwin abbia torto.

Ma se le prostitute nel lager non fossero tedesche?

E qui c'è un ostacolo per noi insormontabile: non conosciamo, pare, la nazionalità delle prostitute.

Può darsi che un'intensa ricerca sul tema della prostituzione nei lager, fatta da qualcuno che dedicasse tutta la vita a frugare tra una mole in realtà eccessiva di documenti, potrebbe portare la risposta. O direttamente - scovando la lista delle prostitute di Auschwitz - oppure indirettamente, per analogia con altre situazioni.

Ma questo è al di là delle forze di tutti noi, e certamente al di là dei miei interessi personali.

Questo non ci deve scoraggiare: semplicemente, la certezza nella storia è sempre diversa dalla certezza nelle scienze esatte, in cui è possibile sottoporre un dato a sperimentazione, o comunque dedurre leggi generali ferree, che conducono necessariamente a certi risultati.

Non possiamo ovviamente ripetere alcunché in questo caso, né Auschwitz - o qualunque altro fatto storico - sottosta a leggi cose rigorose da permettere un'unica spiegazione.[4]

La differenza di metodo con i due contendenti - Erwin e Ritvan - sta tutta qui.

Non escludo che la verità si possa dimostrare - forse esiste il diario di una prostituta di Auschwitz, manoscritto in lingua lettone, che spiega tutto. Però sono anche disposto ad accettare la possibilità che non sapremo mai cosa è successo davvero.

Ma soprattutto non è detto che la verità coincida con il mio personale pre-giudizio, cioè la maniera in cui io ho deciso, in anticipo, che sono andate le cose.

Note:

[1] Erwin è un cultore delle maiuscole che perde facilmente le staffe, dà del lei a tutti e ha una serie di comportamenti che lo fanno passare facilmente dalla "parte del torto" secondo i canoni del frequentatore medio di Internet, a prescindere dagli argomenti che porta. Lo segnaliamo perché lo avranno pensato in molti, ma qui ci interessa approfondire le cose che sostiene, non il suo carattere.

[2] Una religione civile che non ritengo sia una "costruzione ebraica", ma risponde a una serie profonda di esigenze simbolico-riproduttive del sistema capitalistico occidentale nel suo complesso.

[3] Erwin, come i suoi critici, portano anche altri argomenti oltre a quelli che espongo qui.

Inoltre, per mancanza di accesso ad archivi, abbiamo dato per buono ogni documento chiunque presentasse, cosa che non si farebbe certamente in una vera discussione storica. Non abbiamo nemmeno affrontato la questione della documentazione comparata, cioè del contesto dei documenti: storia, funzioni, responsabilità, confronto con altri testi simili...

[4] Qui risiede la differenza intrinseca tra le dispute che circondano l'olocausto e quelle che riguardano, ad esempio, l'evoluzione della specie. Quest'ultimo non è uno scontro a proposito della classificazione dei fossili - come vorrebbero gli antievoluzionisti - ma è uno scontro sulle leggi stesse della biologia oggettivamente rilevabili in laboratorio.

Ciò non toglie che "negazionisti" e antievoluzionisti a volte ragionino in maniera analoga.