Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Il braccio violento della crisi

Il braccio violento della crisi

di Sergio Romano - 20/03/2009


Una vettura in fiamme in una strada della periferia di Parigi non è una notizia. Accade generalmente il sabato sera: una banda di ragazzi dà fuoco a un`automobile, la polizia e i pompieri intervengono, i ragazzi li aspettano per accoglierli a sassate, qualcuno finisce al commissariato, gli altri scappano. I moti e i disordini del 2005 sono stati energicamente affrontati da Nicolas Sarkozy, allora ministro dell`Interno. Ma persiste una turbolenza diffusa e latente, fatta di piccoli episodi che esplodono generalmente nelle notti del finesettimana. Il governo di Frangoís Fillon ha adotrato un piano che prevede contratti di lavoro per i giovani, incentivi alla scolarizzazione, miglioramento delle strutture scolastiche, nuove case più umane dei casermoni costruiti trent`anni fa. Sarkozy, negli scorsi mesi, ha creato un alto commissariato alle diversità e nominato alla sua guida un imprenditore di origini algerine, Yazid Sabeg. Si dice che il presidente voglia introdurre nel sistema francese la formula adottata negli Stati Uniti («affermative action») per indurre le istituzioni pubbliche o finanziate dallo stato a inserire nei loro quadri una quota di funzionari o docenti appartenenti alle minoranze. Ma il piano, nonostante le buone intenzioni del capo dello stato, stenta a decollare e appare comunque insufficiente. Occorrerà parecchio tempo, nella migliore delle ipotesi, perché le misure adottate e i fondi stanziati comincino a produrre i loro effetti. Le burocrazie si muovono lentamente e la crisi del credito costringe il governo a tenere conto di altre esigenze, più importanti per la ripresa della economia nazionale. Dalle banlieue nel frattempo escono, come nella primavera del 2005, segnali preoccupanti. Qualche sera fa, mentre la polizia disperdeva un gruppo  di teppisti intorno a un`auto bruciata, un ragazzo, uscito dall`ombra con un fucile ad aria compressa, ha sparato contro la polizia una ventata di pallini di piombo. Non è la prima volta: esiste forse un rapporto fra la crisi dell`economia e queste nuove ondate di violenza? Forse no. Ma la crisi avrà certamente l`effetto di acuire il disagio economico e sociale delle periferie. E può divenire preoccupante quando le rivendicazioni non sono soltanto economiche e sociali, ma anche etniche e religiose. Yazid Sabeg ha detto recentemente: «In Francia stiamo costruendo frontiere interne. L`apartheid non esiste nella legge, ma esiste nei farti. Le cose si aggravano e la crisi rischia di aggravare ancora questa frattura». Questo malessere non è soltanto francese. I disordini greci degli scorsi mesi sono dovuti in buona parte all`esistenza di una corrente anarchica che risale alla guerra civile dell`immediato dopoguerra e alla resistenza contro il regime dei colonnelli negli anni Settanta. Ma la brusca interruzione della crescita e l`aumento del la disoccupazione offrono agli anarchici l`occasione per muoversi all`interno di una più vasta area di malumore sociale. Fenomeni analoghi appaiono, anche se con caratteri alquanto diversi, in Lettonia, in Polonia, in Islanda, in Romania, in Bulgaria, in qualche città russa particolarmente colpita dalla crisi e nei territori francesi d`oltremare, dalla Guadalupa alla Martinica. Là dove esistono antichi malesseri, vecchie rivendicazioni (i paesi baschi, l`Ulster) o potenziali tensioni etniche, la recessione è destinata ad avere ripercussioni non sempre prevedibili. La crisi, per ora, è principalmente economica. Ma potrebbe mettere in discussione, nei prossimi mesi, la sorte di alcuni governi e il futuro di alcuni regimi.