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La crisi finanziaria... ingrasserà le banche

di Juan Torres López - 20/03/2009

 



E’ evidente che la maggior parte dei cittadini si senta confusa di fronte alla crisi che si è scatenata nelle ultime settimane.
In ogni caso, anche se tutti parlano della crisi, ci sono davvero poche idee chiare che permettono ai cittadini di sapere con certezza quello che sta succedendo.
Di solito, gli economisti ortodossi e la maggior parte dei dirigenti politici vogliono farci credere che i provvedimenti economici che vengono presi sono sempre opportuni e rispondono a criteri “scientifici” e “tecnici” indiscutibili che non vanno messi in dubbio. Però quando le cose non riescono bene, come adesso, quando tutti i dati non concordano; quando l’economia quasi salta per aria, tacciono come se niente fosse successo.
Il silenzio è pilotato in modo che si creda che quello che succede è normale, che non succede niente di importante e che tutto deve continuare, esattamente come stava prima. Evitano di esporlo come un problema “politico” (che in realtà è quello che è) senza pronunciarsi sulle sue cause, responsabilità e soluzioni.
La crisi è grave, molto più profonda di quello che stanno dichiarando le autorità economiche e, sopra tutto, niente più di un anticipo di situazioni peggiori che stanno arrivando.
Conviene, quindi, capire bene quello che è successo e quello che può succedere nei prossimi mesi.
Le questioni che dobbiamo conoscere prima di tutto per comprendere la crisi attuale sono le seguenti.
E’ una crisi derivata dai mutui. All’origine ha preso corpo nel mercato americano dei mutui ipotecari.
In seguito all’enorme espansione del settore immobiliare si generò una massiccia offerta di mutui ipotecari, dei quali quasi un quinto vennero concessi a famiglie che riuscivano appena a pagarli quando i tassi di interessi erano molto bassi.
Quando cominciarono gli aumenti nei tassi di interessi e le rate dei mutui diventarono più care cominciarono anche le insolvenze.
Questo colpì immediatamente le banche che avevano concesso questi prestiti, ma, visto quello che di solito accade con questi crediti inesigibili, la crisi si estese. Le banche, infatti, avevano venduto, a loro volta, i titoli rappresentativi dei crediti ipotecari nei mercati finanziari. Questo è il modo nel quale le banche convertono il debito delle famiglie in un enorme affare perché non solo ricevono il denaro che prestano ma anche gli interessi, fino a quando non ottengono ulteriori guadagni negoziando i titoli di credito.
L’inconveniente è che, come è successo la scorsa estate, le insolvenze cominciano perché sono aumentati i tassi o perché è diminuito il reddito familiare. Si genera un effetto a catena che è quello che provoca l’estensione della crisi.
Quando si sottoscrive un mutuo si crea un titolo finanziario. Un “passivo”, o obbligazione per il debitore e un “attivo” o diritto per colui che presta il denaro, cioè la banca. E quello che può fare, e che di solito fa, la banca, è mettere in commercio questo attivo. Per esempio assicurandolo o vendendolo.
Il paradosso che si produce è che quanto più rischioso sarà il titolo tanto meno sarà sicuro e, in principio, meno attrattivo, però per comprarlo si pagherà di meno e risulterà più redditizio.
Questa è la ragione per la quale i titoli spazzatura (tecnicamente chiamati “sub prime”), vale a dire quelli che hanno più rischio perché sono stati concessi a famiglie con poco reddito, sono però quelli più redditizi, e, di conseguenza, i più appetibili per gli investitori che, in principio, cercano soprattutto profitto. Questi investitori sono quelli più potenti e quindi quelli che possono assumersi più rischio.
Le banche statunitensi collocarono nel mercato milioni di questi titoli che furono acquistati da altre banche e da investitori di tutti i paesi.
E’ per questo che quando si è scatenata la crisi dei mutui ipotecari si è innescata anche una crisi finanziaria, visto che le insolvenze crescenti pregiudicano in seguito la sicurezza e la redditività delle grandi banche e dei fondi di investimento internazionali. Quando si vedono le perdite non solo si perde il denaro, ma si disinvestono anche i fondi dai mercati, arrivando al punto di frenare o paralizzare i flussi finanziari internazionali, in maggiore o minore dimensione a seconda della propria partecipazione ai fondi stessi.
Si produce così una crisi di liquidità, non perché manchino i mezzi di pagamento ma perché si preleva troppo denaro e questo accade perché al giorno d’oggi la stragrande maggioranza degli strumenti di pagamento è “fittizia”, vale a dire, carta finanziaria più o meno come i titoli rappresentativi di mutui ipotecari dei quali ho parlato sopra e che sono legati principalmente ad operazioni di carattere speculativo.
Se all’inizio la crisi si scatena nell’ambito dei mutui ipotecari, in quello delle banche o della finanza, in seguito compromette l’economia reale (vale a dire, quella che ha a che vedere con la produzione effettiva di beni e di servizi e non con “carte” finanziarie).
L’impatto di questa crisi sull’economia reale si produce per precisi motivi.
In primo luogo, poiché la crisi dei mutui ipotecari colpisce logicamente in modo diretto il settore immobiliare che, come si sa, è stato uno dei motivi principali dello sviluppo economico negli ultimi anni.
La crisi dei mutui ipotecari porterà senza dubbio a licenziamenti non solo nel settore delle costruzioni, ma anche nelle attività che sono in relazione con il settore immobiliare. E questo ci permette di dire, senza dubbio, che siamo di fronte ad una crisi che inizia a manifestarsi in maniera latente, prima di una successiva fase che vedrà la recessione economica.
In secondo luogo, quando si profila una crisi le banche e gli investitori reagiscono, come ho detto, ritirando i propri fondi dal mercato e generando una carenza di liquidità. Le banche non si prestano denaro l’una con l’altra molto facilmente e, logicamente, riducono la loro offerta di credito ai privati e alle imprese che ne hanno bisogno per effettuare pagamenti o per investire in attività produttive.
Di conseguenza, la diminuzione della liquidità nei circuiti finanziari riduce il finanziamento dell’economia. La spesa totale ne risente e, di conseguenza, l’insieme delle attività economiche “reali”.
In terzo luogo, e come corollario a quanto già detto, le banche centrali si trovano di fronte ad un dilemma perverso: da una parte quello che fanno (e che hanno fatto) è mettere a disposizione delle banche centinaia di migliaia di milioni di dollari (con una generosità che manca loro quando vengono colpite dalla crisi le persone e le zone meno fortunate del pianeta). Quello che fanno le banche centrali è di incentivare i possessori di risorse finanziarie al fine di far collocare nei mercati le risorse che questi hanno prelevato. Innanzitutto si arricchiscono così i proprietari del capitale che svolgono un’attività finanziaria e in secondo luogo contribuisce alla riduzione degli investimenti e dei consumi, deteriorando, come ho già detto, l’attività economica nel suo complesso.
I flussi finanziari sono praticamente gli unici per i quali oggi si possa dire che sono completamente globalizzati. Tutte le operazioni finanziarie si realizzano su scala internazionale e per gran parte passando tramite i paradisi fiscali che sono strategicamente situati in tutti i fusi orari del pianeta, al fine che non resti un solo secondo del giorno nel quale non ci sia la possibilità di effettuare transazioni finanziarie.
Per questo, sebbene la crisi cominci nel mercato immobiliare di un paese, in questo caso gli Stati Uniti, è sicuro che si estenderà a tutto il pianeta visto che i mercati finanziari sono globali e le banche e gli investitori che detengono i titoli a partire dai quali si scatena l’inizio della crisi vivono ed operano in ogni angolo della terra.
Di fatto, è probabile che quello che sta succedendo sia che molte di queste banche non sappiano nemmeno con sicurezza fino a che punto siano coinvolte con la crisi. Gli investimenti che realizzano nei mercati finanziari sono come dei castelli di carte, una sull’altra e con struttura piramidale, fatte in modo che il detentore finale del titolo non sappia bene quale sia l’operazione finanziaria originaria che ha creato il titolo che lui adesso sta comprando o cercando di vendere, operazione che le nuove tecnologie permettono di realizzare in modo veloce e anonimo.
Ma poco a poco si sta scoprendo che nella crisi sono implicate molto più soggetti bancari di quelli che all’inizio hanno riconosciuto di esserlo (come per esempio in Spagna).
Quello che non sappiamo ancora di questa crisi è fino a che punto tutto quello che c’è stato detto abbia generato una crisi di insolvenza bancaria, qualcosa che non dobbiamo escludere né sottovalutare.
Le banche (e in generale i grandi detentori di mezzi finanziari) si sono trasformate nell’asse attorno al quale gira la vita economica. Negli anni passati hanno ottenuto ingenti guadagni e hanno realizzato investimenti enormi alimentando la concentrazione bancaria e imprenditoriale e la speculazione finanziaria. Direttamente o indirettamente (grazie ai finanziamenti) sono le vere protagoniste della bolla speculativa immobiliare degli ultimi anni, delle acquisizioni speculative delle imprese e delle oscillazioni delle borse.
Però adesso il problema è se, dopo aver collocato i loro mezzi in tante operazioni speculative, in questo momento sono in condizione di sopportare una crisi di liquidità finanziaria, una drastica diminuzione della capacità di indebitamento delle famiglie e delle imprese, insolvenze più o meno generalizzate, o l’esplosione di una bolla immobiliare che porterà ad una diminuzione del valore dei loro attivi. Vale a dire se adesso disporranno di mezzi sufficienti per far fronte alle domande di denaro e se avranno a disposizione i mezzi finanziari richiesti dalla vita economica.
Non è azzardato sospettare che questo stia già accadendo e che la grande quantità di liquidità che le banche centrali hanno immesso nel mercato avesse lo scopo di essere un palliativo alle responsabilità delle banche degli ultimi anni.
Di fatto è sorprendente la mancanza di informazione e la mancanza di trasparenza con le quali le autorità economiche gestiscono la crisi. Sono solo preoccupati di darle poca importanza e che non vengano resi pubblici i suoi pericoli; quello che in effetti conviene fare è passare in punta di piedi visto che sulla tavola c’è una crisi di insolvenza bancaria. Può essere che quello che sta succedendo sia qualcosa di più che una crisi prodotta da una cattiva gestione del portafoglio dei grandi investitori derivante dai problemi causati dalle ipoteche nelle famiglie, che generano, a loro volta, una crisi di liquidità. Vale a dire che ci troviamo in una crisi che, oltre a questo, colpirà la struttura patrimoniale delle banche, nel qual caso la situazione attuale porterebbe a conseguenze più gravi e di più ampio spettro.
In questo caso saremmo di fronte ad una crisi gravissima che obbligherà (per salvaguardare gli utili e lo status quo delle banche) a stabilire una sorta di “recinto globale” o localizzato secondo come si deciderà, vale a dire, un blocco del denaro depositato nelle banche per favorire (come è stato fatto in Argentina) il recupero dell’insolvenza bancaria.
Come sappiamo il funzionamento degli affari delle banche si basa su di un principio molto semplice: si raccolgono risparmi, se ne tiene da parte una quota per far fronte alle domande di rimborso e con il resto si fanno operazioni redditizie.
Tradizionalmente queste operazioni consistevano nel prestare denaro ad imprenditori che creano beni e servizi oppure a consumatori. Però nell’ultimo decennio l’attività bancaria è cambiata ed è passata principalmente a forme di allocazione del risparmio in operazioni finanziarie speculative.
Grazie all’appoggio delle Banche Centrali e al grado di generale accettazione che sostiene questo stato di cose, le banche hanno potuto aumentare i loro affari mantenendo una quota di riserva sempre più piccola, cosa che, logicamente ha incrementato i loro utili, ma che ha ingigantito i rischi e diminuito la solvibilità.
La conseguenza di tutto questo è lo straordinario aumento dell’instabilità del sistema e del rischio che questo si assume, e la domanda che oggi è inevitabile farsi è se in questa stupida corsa al profitto le banche non siano arrivate al parossismo e al rischio eccessivo.
Questo è un problema che riconoscono persino gli economisti liberali più sensati e coerenti quando criticano l’attuale regime delle banche e propongono un sistema di riserva bancaria al 100% per evitare di arrivare ad un vero e proprio collasso economico.
Forse è troppo ardito affermare che ci troviamo in questa situazione, sebbene io non bisogna nemmeno sottovalutarla.
Le autorità economiche sono solite parlare di questa crisi come se fosse qualcosa derivante dall’avaria di un meccanismo idraulico o di un’automobile, senza far riferimento ai milioni di individui che in realtà pagano con le proprie entrate, con il loro lavoro e con la loro sicurezza e benessere l’irrazionalità del sistema finanziario nel quale sono coinvolti i nostri risparmi. Come ogni altra questa crisi ha dei chiari danneggiati.
In primo luogo, milioni di persone che negli Stati Uniti e in altri paesi hanno perso o stanno perdendo le loro case e i loro risparmi. O le proprie entrate, supponendo che non si può dimenticare che ogni volta che le banche centrali hanno aumentato il tasso di interesse l’effetto immediato è un travaso di denaro dalle tasche delle famiglie e delle imprese indebitate a quelle dei banchieri. Così è.
In secondo luogo, le economie più deboli (come quelle periferiche dell’Africa, dell’America del Sud o dei paesi asiatici più poveri) dato che quando la crisi diventa più forte i capitali scarseggiano e la loro mancanza si nota specialmente nei territori che hanno maggior bisogno di investimenti e di risorse. E che sono anche quelli che fan fronte con maggiore difficoltà a tassi di interessi più elevati.
In terzo luogo, l’attività economica reale, le imprese e gli imprenditori dedicati alla produzione effettiva di beni e di servizi che sono, a loro volta, un anello marginale dell’economia rispetto all’investimento finanziario. Che è lo stesso che dire che la crisi si paga in termini di impiego, di attività economica e di creazione della ricchezza.
Non tutti perdono con la crisi. Al contrario, da essa escono rinforzate le banche e i grandi possessori di capitali.
Da un lato, occorre tener conto che le banche impiegano solo una piccola parte del proprio patrimonio in titoli rischiosi, in modo che un rialzo dei tassi di interesse si ripercuoterà in modo favorevole nelle sue entrate totali.
Altro effetto della crisi darà che si concentrerà molto di più la proprietà di mezzi economici e finanziari. Infatti questo è già successo con i beni immobili. I grandi immobiliaristi e le banche hanno accumulato centinaia di migliaia di alloggi e di terreni che in gran parte sono stati finanziati gratis grazie alla bolla speculativa che loro stessi hanno contribuito a creare. Si calcola, per esempio, che le banche hanno acquisito circa la metà del suolo edificabile messo in vendita in Spagna negli ultimi 15 anni.
Adesso che si sta sviluppando la crisi immobiliare continueranno ad accumulare immobili supposto che, grazie ad informazioni privilegiate, saranno solo loro ad avere la possibilità di comprare a poco prezzo dalle famiglie e dalle piccole imprese costruttrici che si trovano con l’acqua alla gola. O i beneficiari saranno semplicemente quelli che non avranno il minimo ritegno di prendersi le case quando sarà l’ora di recuperare i propri crediti di fronte a famiglie non in grado di pagare i debiti.
E se lo Stato (come è successo negli Stati Uniti) da’ aiuti alle famiglie affinché queste paghino i propri mutui ipotecari, succede che i governi garantiscono così con il denaro pubblico che le banche continuino a percepire le rate mutuo, e con interessi anche più alti.
Oltre a tutto questo quando si produce una crisi finanziaria i possessori di titoli che hanno meno patrimonio (i piccoli o medi risparmiatori, i fondi di investimento con minor liquidità o quelli che hanno calcolato peggio il rischio che dovevano o potevano assumersi) cercano di vendere in fretta i titoli “infetti”, che vengono poi acquisiti dalle grandi banche e dai fondi di investimento a prezzo di svendita, dato che possono accumulare titoli con redditività più bassa grazie al portafoglio molto grande che hanno e ai loro utili molto elevati.
Alla fine l’effetto della crisi immobiliare, della crisi finanziaria e della crisi dell’economia reale si trasmette, com’è logico, ai guadagni delle imprese e alle quotazioni di borsa delle loro azioni. E anche in questo mercato si producono movimenti massicci di vendita che porteranno i grandi investitori ad approfittarne per accumulare proprietà aziendali, concentrando così il potere nelle grandi banche e nelle grandi imprese sul complesso dell’economia.
L’esistenza di danneggiati e di beneficiari di questa crisi è ciò che dimostra chiaramente che non si tratta di mere questioni “tecniche” ma di autentici affari politici: sono le autorità politiche che facendo, non facendo o lasciando fare fanno sì che alcuni siano danneggiati ed altri siano avvantaggiati.
Come è facile dedurre da quello che sto dicendo, una delle cause della crisi attuale (come di altre simili a questa che si sono prodotte negli ultimi decenni) è che l’economia mondiale si è portata ogni volta più verso gli scambi finanziari. Invece che servire da strumento per gli scambi di beni e di servizi, il denaro si è convertito esso stesso in un oggetto di scambio. Quello che si compra e si vende sono gli strumenti di pagamento, i titoli finanziari, cioè carta per carta…. È quella che viene chiamata economia finanziarizzata e che è intrinsecamente instabile e propensa a creare crisi.
Questo tipo di economia si è qualificata come “da casinò”, perché si basa sulla speculazione, perché in essa predomina il rischio abissale e incerto (in cambio, questo sì, di guadagni enormi) e porta logicamente al fatto che le crisi si producano con inusuale frequenza.
La generalizzazione della speculazione finanziaria obbliga i soggetti economici a camminare sempre come degli equilibristi su una corda, senza una base reale, sempre in equilibrio. Però come dice il vecchio proverbio cinese, nessuno può restare in equilibrio per molto tempo.
Per questo si sapeva che la crisi dei mutui doveva scatenarsi prima o poi. E sta arrivando il momento nel quale le famiglie con reddito più basso ma con mutui crescenti non riusciranno più a pagarli. Il livello dell’indebitamento che oggi è presente nell’economia statunitense, in quella spagnola o in altri paesi, è materialmente insostenibile. Al momento si è verificato negli Usa, ma si verificherà anche in altri paesi.
Il motivo di questa situazione è duplice. Da un lato ho già detto che la crisi non produce solo danneggiati ma anche grandi e privilegiati beneficiari. E questi hanno il potere sufficiente per far sì che le cose continuino a favore dei loro interessi anche se portano crisi e problemi per la maggior parte delle persone. Inoltre risulta che è impossibile evitare questo tipo di crisi nel contesto finanziario e globale del capitalismo neoliberale dei nostri giorni. Quando si accende la scintilla si può tentare di spegnerla, come hanno cercato di fare le banche centrali, si possono porre dei rimedi passeggeri, però è inevitabile che la fiamma si estenda a tutte le economie e a tutti i settori dell’attività economica.
Tutto questo vuol dire che il terreno dove si è sviluppata la crisi attuale non è solo quello dei mutui ipotecari, e che sarà più o meno facile arrestarla a seconda di come funzionerà l’economia capitalista dei nostri giorni nel suo intorno. Cosa che è molto più difficile da controllare, soprattutto, quando non c’è nessuna intenzione di farlo.
Il settore immobiliare, in primo luogo, salterà prossimamente in aria in paesi dove ha generato bolle speculative; e dopo di questo, salteranno alcuni settori bancari e finanziari. In seguito è inevitabile che arrivi una nuova fase recessiva che potrebbe essere duratura se non si adotteranno mezzi d’urto rapidi e schiaccianti sotto forma, principalmente di incremento dei consumi.
Disgraziatamente, quest’ultimo punto oggi non tiene nessuna chiave di lettura che non sia la spesa militare come fattore antirecessivo, e questo mi permette di prevedere che se la crisi continuerà, sentiremo battere i tamburi della guerra.
Spero di sbagliarmi.

Juan Torres López è professore di Economia Applicata all’Università di Malaga (Spagna). Il suo sito web è www.juantorreslopez.com - (Riduzione, traduzione e note a cura di Erika Steiner per italiasociale)