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La crisi si cura con la sfiducia

di Giovanni Petrosillo - 21/03/2009


Abbiamo ormai capito come i governi, le istituzioni finanziarie, i grandi organismi internazionali,
intendano attraversare la tempesta finanziaria in costante peggioramento. Il prossimo G20 di Londra
dovrebbe confermare il nostro atroce presentimento.
Si tratta, per lo più, almeno secondo il loro unanime punto di vista, di gettare il cuore oltre
l’ostacolo della crisi economica mondiale facendo prevalere il buon umore. Quest’ultimo, oltre ad
essere l’ultimo rifugio per gli incapaci, viene declinato sotto molteplici forme emozionali: un
recupero di fiducia degli attori economico-sociali dopo il tradimento dei principi di mercato da parte
di qualche isolato truffatore, quell’irrinunciabile surplus di speranza per evitare che le circostanze
avverse prendano il sopravvento, la propositività indomabile di tutti quegli uomini di buona volontà
mercatista che vedono lontano, ben oltre il cielo plumbeo che è già sulla testa dell’impotente
comune mortale.
Non c’è da meravigliarsi perché, com’è noto, dai secoli dei secoli, il capitalismo è l’ultimo
orizzonte dell’umanità, il punto di non ritorno delle società umane oltre il quale v’è solo la barbarie
o, ancor peggio, come incubo ricorrente, il comunismo livellatore degli spiriti, (il che è più o meno
la stessa cosa della barbarie).
Insomma vi è stata storia ma adesso non può più essercene.
Chi comanda e prende decisioni è sempre pieno di aspettative rosee, soprattutto per sé stesso. Se poi
le cose non dovessero volgere al meglio, basta infondere, nei miscredenti che si fanno distrarre dai
prosaici morsi della “fame salariale”, gli stessi impulsi ottimistici che corroborano il capitalista.
Andate e consumate, non c’è nulla di cui preoccuparsi, disse il sazio al digiuno….
E’ la vecchia storia dei buoni sentimenti con la quale coprire l’inadeguatezza dei modelli economici
che più danno esiti confortanti (perché palesemente accomodati) e più risultano distanti dalla realtà.
Eppure, la modellizzazione, secondo un ben diverso orientamento scientifico, dovrebbe servire a
dare una lettura semplificata della stessa realtà, astraendo da tutti quegli aspetti meno rilevanti che
perturbano la comprensione dei fenomeni indagati.
Qui siamo invece all’assurdo che ad essere astratta è la realtà tout court, mentre l’elemento
accidentale diviene il vero oggetto dell’indagine.
Sarà che la situazione è davvero così eccezionale da non poter essere studiata con il materiale a
disposizione ma chi sovrappone (surrettiziamente) il piano psicologico a quello “materiale”, ha tutta
l’intenzione di prenderci per i fondelli. Come dice La Grassa, questi giochi finanziari ripetuti, tanto
al rialzo che al ribasso, servono solo a “tosare” le pecore, ovvero piccoli e medi risparmiatori, i
quali cadono facilmente nella rete dei movimenti dei grandi investitori perché traditi dalla speranza
di poter recuperare qualcosa dopo aver perso molto, se non tutto. Ma è come andare in mare aperto
con una zattera.
Ovviamente, ci si mettono in tanti per convincerci che la colpa è anche un po’ nostra che ci
facciamo intimorire, senza ragione, dal primo insignificante smottamento sistemico. Ci vuole
maggiore temerarietà, un po’ di rischio (il tema preferito dai romanzieri e dai predicatori liberisti
che, all’occorrenza, amano fondare le loro analisi sugli aspetti psicologici e sulle doti dello spirito),
perché solo chi risica rosica.
Il fatto è che quando loro rischiano hanno sempre le spalle ben coperte, non dalla manina virtuosa
del mercato, ma dallo Stato Pantalone, parsimonioso con i deboli e troppo prodigo con i forti.
A noi italiani, deboli tra i deboli, queste storielle sulla fiducia vengono raccontate con molta più
enfasi proprio perché siamo già con la “melma” (per non dire altro) fino al collo. Per esempio, ci
vien detto che il nostro Paese è immune dai rischi in quanto:
• Le nostre banche sono serie e non giocano d’azzardo
• Il nostro tessuto produttivo, composto da PMI, permette di resistere meglio alle conseguenze
sociali della crisi
E’ ovvio che si tratta di sciocchezze che reggono sol perché siamo appena nella coda del ciclone.
Appena la crisi si manifesterà in tutta la sua virulenza constateremo come il nostro Sistema-Paese
sarà più incapace di reagire di qualunque altro e impareremo sulla nostra pelle quel che significa
sostituire l’azione politica seria con la “speranza” e la “fiducia”. Occorrerebbero ben altri
provvedimenti e un diverso approccio ai problemi della debacle economico-finanziaria per uscirne
con le ossa meno rotte.
Ma non pensiate che da questa ideologia consolatoria siano immuni gli stessi dominanti. I più scaltri
certo ne approfittano per gabbare il resto dei falsi fratelli, però gli ingenui non mancano nemmeno
tra gli stessi capitalisti. Ecco come si è espresso il Presidente di Mediaset Confalonieri, di fronte alla
comunità finanziaria che applaudiva: “Abbiate fiducia. Investite in fiducia. Al di là di ogni
intervento governativo, infatti, la spinta primaria per la ripresa nasce dal basso, dall’economia reale,
da chi lavora e vuole dare un futuro al proprio lavoro”. Se la spinta nasce dal basso e non dalle
decisioni coraggiose dei vertici politici, vuol dire che si è già deciso di non fare altro. Si naviga a
vista.
La mia idea per uscire dalla crisi va allora in controtendenza: abbiate sfiducia, investite in massima
sfiducia verso questi decisori che vogliono fotterci. Prima li cacciamo a pedate e meglio sarà per
noi.