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Heidegger. L’abbandono davanti al vuoto

di Angelo Catricalà - 21/03/2009




Nel Corso Universitario di Friburgo del semestre invernale del 1929 -19301, immediatamente
successivo alla stesura di Che cos’è metafisica?, Heidegger affronta
l’abbandono al nulla, aprente la ma nifestazione del vuoto dell’essere, attraverso la s ituazione emotiva della noia profonda. A soli due anni dall’edizione di Essere e tempo,
espone la “svolta” (Kehre) al di là dell’ente, manifestatesi nella temporalità dell’essere
(Temporalität), che l’opera capitale del ’27 aveva progettato, senza portare a comp imento.
L’attenzione rivolta alla «noia profonda come l’‘uno si annoia’ ( es ist einem langweilig)
» vuole dunque proporre l’interpretazione di uno sviluppo unitario del pensi ero
heideggeriano. Le nozioni del “trattenersi” (Verweilen) e del “tratto” (Weile) di
tempo unitario dell’“esser-lasciati-vuoti” (Leergelassenheit) sono già presenti in Essere
e tempo mentre l’abbandono davanti al vuoto in Concetti fondamentali della metaf isica
(1929-1930) è coerente con il precedente abbandono (Überlassenheit) al mondo
in quanto nulla, accennato in Essere e tempo (1927)2, ed equivalente al successivo
“abbandono (Gelassenheit) alla contrada” de L’abbandono (1944-1945)3. È solo nei
Concetti fondamentali della metafis ica, nello storicizzarsi della «noia profonda come
‘uno si annoia’ (es ist einem langweilig) » che Heidegger riuscirà a trattare l’apertura
al vuoto direttamente dalla manifestazione della temporalità dell’essere.
Partendo da questa prerogativa verrebbe e liminato quel divario che parte della crit ica
pone tra l’Heidegger di Essere e tempo (in cui l’essere è ricercato attraverso una originaria
temporalizzazione dell’esistenza in grado di rivelare l’ente) e quello succe ssivo
alla svolta degli anni Trenta dove , in Dell’essenza della verità (pubblicato nel
1943, ma risalente al 1930) 4, viene eliminata sia l’impostazione temporale che
l’analitica esistenziale. La centralità delle tonalità emotive nel pensiero heideggeriano
verrà poi testimoniata dai contributi di S. Paolo, Filone d’Alessandria, Valentino, S.
Agostino e Kierkegaard, di cui Heidegger si è avvalso nell’arco della carriera univers itaria.
1. La «noia profonda come ‘uno si annoia’» (es ist einem langweilig)
Nei Concetti fondamentali della metafisica la noia profonda è introdotta da due
forme di noia non autentiche, utilizzate da Heidegger per l’esposizione successiva del
terzo stato d’animo fondamentale.
La prima forma di noia, il “venir -annoiati” (Gelangweiltwerden) si prova nel riferirsi
all’oggetto e si manifesta come un “venir -lasciati-vuoti” dalle singole cose che si
negano al loro uso, non offrendoci più quella fidatezza in virtù della quale siamo ta ngibilmente
certi del riferimento al nostro mondo. La stessa temporalizzazione di qu esta
noia (il determinarsi dell’esistenza in base alla manifestazione del tempo) si ra pporta
all’ordinario scorrere del tempo, un tempo non autentico concepito come «num ero
di un movimento rispetto al prima e al dopo» 5, che adesso rallenta, si «rivela lungo
(Lang) ed esitante […]dura e permane»6 a causa della mancata fruibilità di un dete rminato
ente.
È Agostino, nelle Confessioni, dopo aver trattato di cosa faceva Dio prima della
creazione del mondo (Libro XI, cap. 12) e dopo aver dimostrato che l’eternità di Dio
non può essere confrontata con il flusso del passato e del futuro (Libro XI, cap. 11 -
13), riprendendo, tramite Origene, l’argomento da Filone d’Alessandria 7, a introdurre
il concetto qualitativo del tempo. Negando la concezione del tempo di Aristotele, d icendo
che il passaggio del tempo è legato unicamente alla percezione (Libro XI, cap.
16) e attribuendo l’esistenza di passato, presente e futuro nell’anima e non altrove (L ibro
XI, cap. 20), parlando della lunghezza del tempo, Agostino dice che: «Diciamo
[…] che fu lungo quel tempo presente, perché mentre era presente, era lungo» 8. Agostino,
ripreso da Heidegger, nega che la lunghezza sia legata alla quantità di tempo
passato o futuro – «Come può esser lungo o breve ciò che non è» 9 –, bensì fa intendere
che s’allunga quel tempo presente in cui la nostra anima si annoia e si fa meno lungo
lo stesso tempo quando la nostra anima si diletta.
La seconda forma di noia, l’“annoiarsi -di” (Sichlangweilen bei), si riferisce invece
al soggetto10, «ciò che annoia non viene dal l’esterno, sorge dall’esser-ci stesso»11,
l’indolenza del soggetto domina preventivamente il nostro abbandono alle cose e le fa
essere insignificanti nonostante il loro appagamento. Questa noia è identica alla noia
che mostra il vuoto affrontata da Kierkega ard nei Diapsalmata (1843):
Non mi va di far nulla. Non mi va di andare a cavallo, è un esercizio troppo violento; non
mi va di camminare, mi stanca troppo; non mi va di sdraiarmi, perché, o bisogna restare
sdraiato, e questo non mi va, o bisognerebbe alz arsi, e nemmeno questo mi va, Summa
summarum: non mi va di fare nulla […]. Destino miserabile! È inutile che ti impiastricci il
viso avvizzito come una vecchia battona, è inutile che ti metta a suonare i tuoi ciondoli da
pagliaccio: tu mi annoi»12.
Kierkegaard esprime proprio quel nulla emergente dal soggetto che va a sospendere
ogni interesse per qualsiasi oggetto che ci circondi e per ogni situazione in generale. In
Concetti fondamentali della metafisica Heidegger – a partire dalla concezione kierkegaardiana
del tempo – mostra come nella seconda forma di noia non prestiamo più a t-
tenzione al durare del tempo perché siamo vuoti di ogni interesse e “semplicemente
presentifichiamo”; in questo modo “il nostro sé” si svuota della sua “ origine e del suo
avvenire” temporale, ferma il proprio tempo e si annoia. Il vuoto non sorge più dal
“non-verificarsi della pienezza” di un oggetto esterno che non si presenta, bensì «il
vuoto è grande almeno quanto lo è la pienezza» dell’esserci (l’uomo). «Questo starfermo
del tempo è il tenere-in-sospeso più originario, […] l’opprimere» in cui ci a nnoiamo,
dove «noi stessi in un certo senso ci scivoliamo via»13. Diversamente da queste
due forme di noia, emergenti all’interno di una dimensione mondana, derivata
dall’essere, in cui l’uomo può avvertirsi solo come una semplice presenza, vincolato
allo scorrere del tempo, nella «noia profonda come ‘uno si annoia’» ( es ist einem langweilig)
l’uomo scopre di essersi già sempre sentito, non però sotto forma di se mplice
autopercezione, bensì si avverte attraverso un «auto-sentimento situazionale»14 che
comprende la totalità del mondo. L’individuo scopre di essere coinvolto in una prel iminare
costituzione ontologica della mondità che “fonda”l’esistenza.
In Che cos’è metafisica? Heidegger definisce la noia profonda come «nebbia sile nziosa
[che] accomuna tutte le cose […] in una strana indifferenza» in cui si mantiene
l’“unità del ‘tutto’”. Al pari dell’angoscia in cui “uno è spaesato”, la noia profonda r ivela
l’ente nella sua totalità come “nes suno”, cioè come niente15. Le situazioni emotive
fondamentali sono quindi la condizione attraverso la quale l’uomo è nell’essere e
«il niente [il non ente, l’abbandono della situazione individuale] […] ci viene incontro
‘insieme’ all’ente nella sua totalità »16. Nel Poscritto a “Che cos’è metafisica?” Heidegger
dice che «Uno dei luoghi essenziali del silenzio è l’angoscia [equivalente alla
noia profonda] nel senso dello sgomento in cui l’abisso del niente dispone l’uomo» 17,
e nelle lezioni del 1929/30 evidenzia : «l’uno si annoia’ ci ha già trasposti in una
sfera nella quale la singola persona, il soggetto pubblico individuale, non ha
più potere»18. In questa terza forma di noia – come osserva Graziano Biondi – «non
si può indicare alcun aspetto oggettivo o sogget tivo», in quanto si verifica quel «sup eramento
della schisi fra il soggetto e l’oggetto, in modo analogo a quanto accade in
Essere e tempo a proposito dell’angoscia in cui l’aprire e l’aperto [dell’essere] coinc idono
»19.
Nella definizione dell’“uno si annoi a (es ist einem langweilig) ”, Heidegger utilizza
il pronome neutro es, perché l’«‘Es’ è la denominazione per l’indeterminato, lo scon osciuto
»20. La stessa tesi verrà riproposta nel 1946 in Lettera sull’“umanismo”, dove
verrà dichiarato che l’essere “si dà (es gibt)” perché «ciò (es) che qui ‘si dà’ (gibt) è
l’essere stesso», ma non secondo la locuzione “l’essere è”, che abitualmente indica
l’attribuzione dell’esistenza a qualcosa di determinato, livellando così l’essere a ente,
bensì l’essere “si dà (es gibt)” come «il darsi all’aperto, unitamente all’aperto stesso» 21
in cui siamo già, ancor prima di ogni considerazione soggettiva riguardante l’esistenza
di qualcosa. Se l’“indolenza” dell’“annoiarsi -di (Sichlangweilen bei) ” qualcosa induce
al “lasciarsi catturare” nel presente di ciò che sta succedendo, l’“indifferenza”
dell’“uno si annoia” cessa la possibilità preliminare di potersi distinguere da ciò che ci
circonda: «il vuoto consiste qui nell’ indifferenza che avvolge l’ente nella sua totalità
»22.
Nel 1944-1945 l’abbandono (Gelassenheit) all’essere (chiamato “contrada”) verrà
introdotto come un «lasciarsi ricondurre ( sich einlassen) a ciò che non è un volere»,
dove l’uomo, «affidato (gelassen) alla contrata» dell’essere, lontano da se stesso e lo ntano
dal pensiero, traspone la propria essenza nel dispiegarsi (Wesen = essenza
dell’essere) della verità. “Uno si annoia ( es ist einem langweilig) ” significa infatti che
tutto si annulla in un unico (Einem) lungo tratto (Langweile), al punto che nulla può
essere indicato (es) pur continuando ad essere. Proprio perché è il «niente […] che
rende possibile l’evidenza dell’ente […] per l’essere umano» 23 e il “lasciarsi (Lassen)
andare al niente” avviene nel superamento della condizione umana, il “venir -lasciativuoti
(Leergelassenheit)” in cui ci si abbandona (Gelassenheit) è la manifestazione del
vuoto del mondo che corrisponde all’essere. Ancora in Che cos’è metafisica? Heidegger
chiarisce che sono sempre gli stati d’animo fondamentali a svelare il niente
dell’essere come trascendenza della condizione umana.
Nel Corso del 1920-1921, nella lettura di S. Paolo, Heidegger indicava come “dec isivo
per la ‘mistica’ paolina” i versi della Lettera ai Galati (2, 20) e della Lettera ai
Filippesi (3, 13), in cui S. Paolo dichiara: «non son più io che vivo, ma è Cristo che
vive in me […]. È Dio che […] opera in voi il volere e il fare» 24, evidenziando così la
perdita della condizione individuale come fattore decisivo per volgersi a Dio. Paolo
stesso dichiara di non sapere di essere ne l corpo o fuori del corpo quando fu rapito al
terzo cielo per ricevere l’apocalisse del Signore ( 2 Cor. 12, 1-4) e che Dio «svuotò se
stesso […] diventando simile agli uomini» ( Fil. 2, 7)25. La parusia per S. Paolo è stor ica,
è in questo mondo. Heidegger fo rza il messaggio paolino interpretando la parusia
come l’essenza dell’attuazione, dunque sempre presente, ma avvertibile solo da coloro
che vivono in un certo modo, puntandone il significato sul “come” essa debba essere
accettata, nel comportamento che si ha nell’accettare l’attuazione della vita e non
nell’attesa del “quando” accadrà l’evento. Un’attuazione della vita colta nel suo cara ttere
estatico (2 Cor. 12, 1-4), non come attuarsi oggettivato, come un accadere a cui
assistiamo dall’esterno, ma un’attu azione che supera le forze dell’uomo, un’attuazione
della vita che si esperisce solo nell’attuazione stessa. Il “come” dell’attuazione coinc ide
così allo “stato d’animo” in cui ci si affida all’“evento”, alla parusia, che per He idegger
è la datità stessa. Il compito dell’uomo è dunque, secondo l’interpretazione
heideggeriana dell’escatologia paolina, di affidarsi, di darsi in affidamento (di “Cred ere!”),
all’attuazione della vita. In questo modo afferma Heidegger: «l’accogliere cons iste
nel mettersi dentro la necessità della vita […] raggiungendo un’interazione vivente
con Dio»26. Un esperire estatico testimoniato da un’«angustia (θλίψις) assoluta» 27,
un’angoscia che S. Paolo prova per coloro che sono divisi dal S ignore (1 Cor. 7, 33-
34) perché sposati tra le cose del mondo. Le parole «io vorrei che voi foste senza a nsia
» (1 Cor. 7, 32), liberi da preoccupazioni, testimoniano quindi la condizione di a nnullamento
di sé e di tutte le questioni mondane, esperita dall’Apostolo nell’unione
con Dio.
L’angoscia come stato d’animo che esprime il vuoto di se stessi nell’aspirazione di
ricongiungersi al nulla originario si trova anche in Valentino, nella descrizione della
passione e della conversione di Sophia, ultimo Eone, emanato nel Silenzio dal Prees istente,
dall’Abisso invisibile, incomprensibile28, dal nulla privo di tempo29, principio
di tutte le cose. Passione di tutto il Pleroma (pienezza divina), Sophia indurrà il mondo
divino al peccato, dando origine al mondo materiale e psichico. «Abbandonata sola
nella tenebra e nel vuoto»30, Sophia, la Sapienza divina, svuotò il Tutto31 (Pleroma),
svuotò il Nulla (Prepadre) generando il mondo. Addoloratasi del suo “aborto”, cons olidata
dal Limite, la forza del Padre inconoscibile, si convertì cercando di risalire al
Padre32, alla profondità pleromatica, al nulla originario, all’Abisso.
Il mito di Sophia di Valentino rivela dunque dettagliatamente come il mondo sia,
per gli gnostici, il frutto della divisione dell’unico nulla divino, degradato e racchiuso
nella materia e come gli uomini (gli gnostici) aspirino all’abbandono del corpo per r icongiungersi
nella completezza divina del Pleroma. Sophia, colei che pose il seme
spirituale nell’involucro carnale 33, è infatti destinata a ricomporsi nel Pleroma, abbandonando
il Limite dell’elemento iliaco che inizialmente le impedì lo scioglimento nel
vuoto, ma che ora le impediva di procedere verso l’Abisso.
La lettura gnostica riguardante la caduta nella condizione terrena come stato di c ostrizione
dell’elemento divino e l’estasi come estraniaz ione dal mondo, sono elementi
derivati dalla tradizione giudaico-cristiana. Filone l’Ebreo, in Le allegorie delle leggi,
riprendendo la Genesi (2, 21), dice che l’estasi equivale al sonno di Adamo come m utamento
di direzione dell’intelletto 34. In La creazione del mondo secondo Mosè, Filone
sottolinea la nullità dell’uomo plasmato, in quanto materia terrestre, prima
dell’iniziazione alla vita dovuta al soffio divino che l’uomo riceve nel sonno di se
stesso, nell’estasi da sé voluta da Dio.
Biondi osserva che l’iniziazione al coglimento della vita, nella simbologia cristiana
dei primi secoli, è rappresentata dal serpente, e che, «secondo Clemente Alessandrino,
il grido di invocazione a Dioniso ‘Evoè’ o ‘Evan’, corrisponde a ‘Eva’, che significa
sia ‘vita’ in aramaico, sia il nome della donna sedotta dal serpente e, in linea con
l’influsso esercitato dalle interpretazioni allegoriche e platonizzanti di Filone l’Ebreo,
il serpente indica il piacere legato alla sensazione e al visibile corporeo» 35. Anche se
Filone legherà la sua allegoria al significato negativo della caduta dall’Eden, sempre in
L’allegoria delle leggi, il piacere, simboleggiato dal serpente, è in effetti l’elemento
mediatore tra intelletto (Adamo) e sensazione (Eva), che attraverso i cinque sensi, f arà
cogliere la varietà della vita36.
La nullità espressa da Adamo è rispecchiata anche dalla nullità di Abramo difronte
a Dio esposta da Filone in L’erede delle cose divine, dove Abramo avverte che «il
momento giusto per la creatura di incontrare il suo Cr eatore viene quando essa ha r iconosciuto
la propria nullità»37. Per Reale l’uomo di Filone è un nulla ontologico, d estinato
o al rifiuto della propria nullità, credendosi signore di tutto (l’equivalente dei ezione
nella mondanità heideggeriana), oppure al ri conoscimento di «questa radicale
esperienza del sentirsi un nulla» (la costituzione estatica dell’Esserci) 38 incontrando
l’Essere, cioè Dio. Se Adamo, a causa della tentazione, cade nel mondo dei sensi (la
deiezione heideggeriana), Abramo in virtù dell’esse r virtuoso nel mondo dei sensi
(«Qualcuno cercò di dividere da lui la virtù che è sovrana per natura, cioè Sara» 39), è
chiamato in estasi di fronte a Dio (l’estasi profetica è l’abbandono all’essere heidegg eriano).
In questo senso Radice afferma che «la nul lità dell’uomo è anche la sua gra ndezza,
perché Dio riempie questo vuoto», sottolineando che il vuoto di sé è la cond izione
di totale abbandono come totale dipendenza da Dio 40.
Filone scrive che: «Fino a quando […] il nostro intelletto non smette di risplen dere
e di compiere le sue attività, spandendo su tutta l’anima come un raggio di mezzogio rno,
noi restiamo in noi stessi e non siamo posseduti da Dio; ma allorché quello ‘tr amonta’
[…] cade su noi l’estasi, l’ispirazione di Dio, la divina mania» 41, in quanto ogni
uomo buono si fa nullo perché posseduto da Dio. Per Filone come Per Heidegger,
«l’uomo virtuoso vive nel corpo come se fosse in terra straniera» 42 e la comprensione
di questo stato d’animo dipende dal «modo in cui questa eredità si consegue».
L’equivalente “come” della predicazione, individuato in S. Paolo, inteso nel senso di
come si accetti l’attuazione della vita, trattato da Heidegger nel Corso Universitario
del 1920-1921.
La promessa di Dio all’uomo, «tu te ne andrai dai tuoi padri», espressa da Filone,
sarà quindi la “chiamata” dell’essere heideggeriana a cui l’uomo, “luogotenente del
niente” dovrà abbandonarsi. «Chi dunque sarà l’erede?» si domanda Filone, il «cust ode
dell’essere» secondo Heidegger: colui che, «spezzate le catene e fattosi liber o, è uscito
fuori dalle sue mura ed ha abbandonato, per così dire, anche se stesso» 43. Allo
stesso modo S. Paolo, rivolgendosi ai suoi discepoli come a coloro che sono stati ric onosciuti
da Dio (Gal. 4, 9), «quando il tempo giunse alla pienezza» (Gal. 4, 4), perché
Dio svuotò se stesso (Fil. 2, 7), parlando dell’elezione di Abramo disse: «noi siamo
figli non di una schiava [Agar], ma della libera» (Gal. 4, 31), perché solo i figli di Sara
sono figli della “promessa” (Gal. 4, 28). Una promessa di cui non si p uò dare prova
secondo la “figura di questo mondo” ( I Cor. 7, 31). Per questo Kierkegaard, di cui
Heidegger riconosce l’importanza sia in Essere e tempo, che in Concetti fondamentali
della metafisica, in Timore e tremore, dice che Abramo, dopo la chiamata di Dio, nel
momento della rassegnazione provò sofferenza e angoscia 44.
Heidegger riprende da Kierkegaard il nulla che genera l’angoscia, dove ne Il concetto
dell’angoscia accosta il sonno alla sospensione delle possibilità di agire e il nulla
è la fonte da cui si aprono tutte le possibilità di esistere 45. Una possibilità di potere,
colta di fronte al nulla che sempre Kierkegaard sottolineò nell’angoscia di Adamo,
quando nell’Eden, gli fu imposto il divieto di mangiare i frutti dell’albero della con oscenza.
Infatti per Kierkegaard «Il divieto angoscia Adamo, poiché il divieto sveglia
in lui la possibilità della libertà […], cioè la possibilità angosciante di potere» 46 come
possibilità di essere liberati nell’esistenza ancor prima della possibilità che abbiamo di
poter agire in essa.
Nel breve colloquio Per indicare il luogo dell’abbandono del 1944-1945, che nel
1955 costituirà L’abbandono (Gelassenheit), Heidegger tratterà esplicitamente il “l asciare
(Lassen)” dell’abbandono di sé come «lasciarsi ricondurre a ciò che non è un
volere» in cui «l’altro da se stesso […] è lo Stesso» 47, è l’aperto dell’essere. Heidegger
dice che la “contrada”, la “permanenza (Weile) ” nella vastità dell’essere, «raccoglie,
sebbene nulla avvenga, ogni cosa nel suo rapporto ad ogni altra, facendola permanere
[Verweilen] nell’acquietarsi di se stessa»48. Dunque un abbandono estatico, perché d ice
Heidegger, nella “contrada” «tutto è disposto nell’ordine migliore solo quando ne ssuno
è stato» e ci troviamo collocati «in nessun luogo» 49. Il contenuto de
L’abbandono, che per la critica rappresenta il pensiero del secondo Heidegger, dopo il
1930, è però già presente nel Corso Universitario del 1929 -1930, nel quale
l’abbandono (Gelassenheit) al vuoto (Leer) è trattato molto più approfonditamente
come “venir-lasciati-vuoti (Leergelassenheit) ” della noia profonda. Ma l’edizione di
questo corso è avvenuta postuma solo nel 1983 (in Italia nel 1992), richiamando così
la precedente interpretazione critica della “svolta” heideggeriana ad una significativa
rettifica.
Nei Concetti fondamentali della metafisica , nel “venir-lasciati-vuoti (Leergelassenheit)”
dell’“uno si annoia” (es ist einem langweilig), vengono infatti sospese, “in un
sol colpo”50, perché ci sono negate contemporaneamente, tutte le possibilità che abbiamo
sempre avuto di essere nel mondo. Un «diniego [che] parla di queste possibilità
dell’esserci», perché questo «negare è in sé un dire, cioè un rendere manifesto» di ciò
che all’uomo «potrebbe e dovrebbe essere in qualche modo destinato». Se nell e prime
due forme di noia emergono l’ente (oggetto) e l’esserci (soggetto), nella terza noia
emerge il niente, si è «consegnati all’ente che si nega nella sua totalità» 51, si manifesta
il vuoto dell’essere, decade tanto l’aspetto oggettivo quanto quello sog gettivo della
considerazione dell’ente ed emerge l’uno ( es) dell’essere del nulla.
Già nel 1929-1930 Heidegger parla di un «necessario essere proiettati nell’unico
culmine di questo originario rendere possibile» 52, dove per “unico culmine” si intende
il lasciarsi (Lassen) esser nell’“uno (Es)” come unico mantenersi intatto di ogni poss ibilità
dell’esserci da cui la nostra individualità non può emergere. L’analisi della noia
profonda del 1929-30 esprime dunque quell’orizzonte unitario del tempo dell’essere
(Temporalität) che l’angoscia di Essere e tempo aveva solo preparato, ma non aveva
condotto a termine. Il «carattere peculiare dell’essere incantato -e-incatenato» al vuoto
dell’essere ha il «carattere temporale dell’esser -lasciati-vuoti (Leergelassenheit)»,
siamo «sollevati al di fuori del flusso del tempo», incantati e incat enati nel culmine del
tempo in cui l’intera temporalità si riduce ad un unico tratto ( Weile) di tempo dilatato
che raccoglie la durata dell’orizzonte temporale in un unico att imo (Augenblick) 53.
Heidegger richiama ancora una volta a quanto ha detto Kierkeg aard ne Il concetto
dell’angoscia, dove l’attimo è definito come «il non essere sotto la determinazione del
tempo»54. Kierkegaard utilizza il termine danese Oejeblik, tradotto in “momento”, che
riconduce al tedesco Augenblick, in quanto entrambi – come osserva Biondi – significano
il batter d’occhio55. Heidegger ritiene che Kierkegaard, come per l’angoscia, tra tti
l’attimo solamente nel suo aspetto esistentivo, rivolto sol amente all’assolvimento
dell’indicazione di determinate scelte, tralasciandone l’aspetto ont ologico esistenziale,
ma per ciò che concerne la manifestazione dell’eternità (del tutto), comprensibile
nell’attimo, riguardo l’aspetto temporale, abbiamo una completa s ovrapposizione.
Kierkegaard afferma di aver dedotto la commensurabilità del “momento” con
l’eternità dalle lettere paoline 56. Infatti S. Paolo dice che si è eredi di Dio quando il
tempo giungerà alla pienezza (Gal. 4, 4-7); il tempo (Καιρòς) si contrae e cambia la
figura di questo mondo (1 Cor. 7, 29-31); «Non tutti morremo, ma tutti però saremo
trasformati in un istante, in un batter d’occhio»57 (1 Cor. 15, 51-52). Così per Kierkegaard
lo sguardo «è il simbolo […] del tempo compreso in quel conflitto fatale in cui
esso viene toccato dall’eternità», che «in latino si dice momentum: un termine che, nella
sua etimologia (da ‘movere’) non esprime altro che il mero svanire» 58.
L’abbandono (Gelassenheit) al vuoto (Leer) è dunque l’“esser-lasciati-vuoti (Leergelassenheit)
” dal tempo dell’Essere che ci trattiene (Verweilen) nell’attimo: un “esser-
costretti nell’attimo”59 in cui l’essere si dà come vuoto nel vuoto. Condivido
l’osservazione di Biondi, quando sottolinea che la «temporalizzazione del ‘trattenersi’
(Verweilen) indica la temporalità come un ‘tratto’ (Weile) unitario, […] come un pr esente
non già deietto, ma quieto ed estatico» e questo «‘trattenersi’ indica quindi la
stessa durata dell’esserci, intesa come un tratto (Weile)»60. Il concetto comune dello
scorrere del tempo è dunque abbandonato, perché in questo “soffermarsi” ( Verweilen)
l’avvenire non è più il futuro, ma la comprensione che il poter essere è la condizione
autentica dell’esistenza nella quale già ci troviamo e da cui proveniamo. In questo se nso
si può osservare come Heidegger compia un rovesciamento dello sguardo sul tempo
e che proprio questo “ritorno nella provenienza” doveva essere il contenuto della terza
sezione della prima parte di Essere e tempo rimasta incompiuta: l’uomo anticipando la
possibilità della propria morte, si blocca e permane davanti a essa rivolge ndosi
all’indietro al tempo in cui è già stato (l’“esser -stato”) in modo da poterlo ripetere, c apovolgendolo
come nuovo tempo possibile. Adesso la decisione dell’attimo a ttraverso
cui possiamo dirigerci verso il mondo rimane bloccata, infatti – come osserva Biondi -
«L’attimo non costituisce il presente della noia profonda […]; al contrario, spezza il
presente bloccato della noia e libera dalle catene dell’ora, […] l’attimo va […] a r iprendere
l’esserci là […] dove aveva dimenticato se stesso: ripre ndendolo, gli riporta
di nuovo la possibilità tutta intera e, facendolo ritornare a sé, lo r iporta indietro alla
possibilità»61. Ma nella noia profonda la “libertà dell’esserci”, a nnunciata nel tempo
che “incanta e incatena”, esperibile nell’attimo di uno sguardo, è il mantenimento di
tutte le possibilità che l’esserci potrebbe andare a cogliere, ma non può, pe rché ora
vengono trattenute dal negarsi dell’ente nella sua totalità. La possibilità di st are nel
mondo si blocca nell’attimo di un solo tratto (Weile) di tempo e si manifesta come un
abbandono al vuoto (Leergelassenheit) che coincide con l’essere.
Ciò che nei Concetti fondamentali della metafisica (1929-1930) è espresso come
“tempo nell’unità della sua triplice visuale”62 è una ripresa del «fenomeno unitario
dell’avvenire essente-stato e presente [l’attimo]» di Essere e tempo63, dove
l’assunzione dell’“Esserci adveniente” porta alla comprensione del «più proprio ‘come
già era’, cioè il suo esser-stato», in cui l’uomo raggiunge la «sua ‘situazione limite’ [e
svolta al di là dell’ente che egli stesso è], decidendosi per la quale l’Esserci raggiunge
il suo poter-essere-un-tutto»64 attestandosi egli stesso, in condizione estatica, tra le i nfinite
possibilità di manifestazione dell’essere che necessariamente si daranno come
continuo evento. Si può dunque riscontrare che in nuce, il tema della svolta (Kehre) e
del permanere (Verweilen) nel tratto (Weile), da parte dell’esserci, sono presenti a nche
in Essere e tempo, quando Heidegger accenna alla conversione del tempo espressa
nell’esser davanti al nulla dell’angoscia 65. Inoltre va rilevato che la condizi one
dell’“esser-lasciati-vuoti (Leergelassenheit) ” dei Concetti fondamentali della metaf isica
(1929-1930) equivale all’abbandono (Überlassenheit) al mondo in quanto nulla di
Essere e tempo, quando Heidegger afferma che il «‘davanti -a-che’ dell’esser gettato»
corrisponde all’«‘a-che’ dell’esser-abbandonato» (Woran der Überlassenheit), che
l’esserci esiste «nell’esser abbandonato a [Überlassenheit an] se stesso» e può «comprendersi
nel suo abbandono a [Überlassenheit an] un mondo» e che «L’esser -gettatoinnanzi
al quale l’esserci può esser portato in modo autentico […] determina anche il
carattere estatico dell’abbandono [Überlassenheit] dell’esistenza al nullo fondamentodi se stessa»66. Si può quindi constatare come il Corso Universitario del 1929 -1930
acquisti, nell’arco della speculazione heideggeriana, un ruolo strategico fondamentale,
ignorato dalla critica fino al 1983, anno in cui l’editore Klostermann lo raccolse e lo
pubblicò. Secondo la presente interpretazione la «noia profonda come ‘uno si annoia’
(es ist einem langweilig)» del 1929-1930, trattata da Heidegger come temporalizzazi one
dell’«esser-lasciati-vuoti» (Leergelassenheit) al di fuori del flusso del tempo
nell’“unico culmine” dell’“uno” (Es) originario (precedentemente trattata), espone
proprio il tempo dell’essere (Temporalität) non raggiunto in Essere e tempo, espresso
due anni dopo come manifestazione di uno svuotamento dell’essere nel vuoto del
mondo.
Se nei Concetti fondamentali della metafisica Heidegger ha affrontato esplicitame nte
per l’ultima volta il tema del tempo, legato alla manifestazione dell’essere, tral asciando
dal 1930 in poi il metodo fenomenologico dell’analitica esistenziale, dando
così adito all’interpretazione di una seconda fase del suo pensiero, connotato nei te rmini
della “svolta (Kehre) ”, si può d’altro canto riconoscere l’omogeneità dello sv iluppo
del pensiero heideggeriano nel riservare alle situazioni emotive fondamentali il
luogo dell’abbandono all’essere. Così “l’abbandono ( Gelassenheit) alla contrada” del
1944-194567, dopo la presunta “svolta”, connotata dai più nelle conferenze di Brema,
Marburgo e Friburgo del 1930 (mess e per inscritto e pubblicate nel 1943 in
Dell’essenza dela verità), è una coerente ripresa dell’angosciante abbandono ( Überlassenheit)
al nulla del mondo esposto in Essere e tempo, che a sua volta equivale al
più ampio e approfondito “esser -lasciato-vuoto (Leergelassenheit) ” della noia profonda
(inedito fino al 1983), in cui si compie tra l’altro, quell’apertura dell’essere come
unico tratto dilatato (es ist langweilig), alla quale, solo due anni prima in Essere e
tempo, Heidegger dovette rinunciare.

1 M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica , tr. it a cura di C. Angelino, il nuovo melangolo,
Genova 1999.
2 M. Heidegger, Essere e tempo, tr. it. a cura di P. Chiodi, Utet, Milano 2002.
3 M. Heidegger, L’abbandono, tr. it. a cura di A. Fabris, il nuovo melangolo, Genova 1983.
4 M. Heidegger, Dell’essenza della verità, in Segnavia, tr. it. a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987.
5 Aristotele, Fisica, tr. it. di M. Zanatta, Utet,Torino 1999, p. 243.
6 M. Heidegger, Concetti fondamentali del la metafisica, cit., p. 137 e p. 162.
7 Cfr. Filone d’Alessandria, La creazione del mondo secondo Mosè (26), tr. it. di C. K. Reggiani, in La
filosofia mosaica, a cura di R. Radice, Rusconi, Milano 1987, p. 52.
8 Agostino, Confessioni, tr. it. di C. Carena, Einaudi, Torino 2002, p. 329.
9 Ivi, p. 328.
10 Cfr. G. Biondi, La ricerca di Heidegger sulla temporalità , Guerini e Associati, Milano 1988, p. 318.
11 M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica , cit., p. 169.
12 S. A. Kierkegaard, Diapsalmata, in Opere, a cura di C. Fabro, Sansoni, Firenze 1972, p. 7.
13 M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica , cit, pp. 158-172
14 M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 227.
15 Ivi, p. 67.
16 Ivi, p. 69.
17 M. Heidegger, Introduzione a “Che cos’è metafisica ?”, in Segnavia, cit., p. 319.
18 M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica , cit., p. 181.
19 G. Biondi, La ricerca di Heidegger sulla temporalità , cit., p. 318.
20 M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica , cit., p. 178.
21 M. Heidegger, Lettera sull’“umanismo”, in Segnavia, cit., p. 286.
22 M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica , cit., p. 183.
23 M. Heidegger, Che cos’è metafisica?, in Segnavia, cit., p. 71.
24 Paolo di Tarso, Lettere, tr. it. di G. Barbaglio, Rizzoli, Milan o 1997, p. 277 e p. 413.
25 Ivi, p. 411.
26 M. Heidegger, Fenomenologia della vita religiosa , tr. it. di G. Gurisatti, a cura di F. Volpi, Adelphi,
Milano, 2003, p.135.
27 Ivi, p. 137.
28 Cfr. Ireneo, Contro le eresie (I 1,1), in Testi gnostici in lingua greca e latina, a cura di M. Simonetti,
Valla-Mondadori, Milano 2005, p. 285.
29 Cfr. Ippolito, Confutazione (VI 29, 5), in Testi gnostici in lingua greca e latina , cit., p. 327.
30 Cfr. Ireneo, Contro le eresie, cit., p. 303.
31 Cfr. Clemente Alessandrino, Estratti da Teodoto (31 1, 4), in Testi gnostici in lingua greca e latina ,
cit., p. 365.
32 Cfr. Ireneo, Contro le eresie, cit.
33 Cfr. M. Simonetti, Testi gnostici in lingua greca e latina , p. 524 nota 404.
34 Cfr. Filone d’Alessandria, Le allegorie delle leggi (Libro II, 31), in La filosofia mosaica, a cura di R.
Radice, Rusconi, Milano 1987, p. 150.
35 G. Biondi, L’enigma della serpe secondo Nietzsche , manifestolibri, Roma 2001, pp. 54 -55.
36 Cfr. Filone d’Alessandria, L’allegoria delle leggi (Libro II, 71), in La filosofia mosaica, cit., p.159.
37 Filone d’Alessandria, L’erede delle cose divine (30), a cura di G. Reale e R. Radice, Rusconi, Milano
1994, p. 81.
38 Heidegger tratta la speculazione di Filone D’Alessandria nel corso Ontologia del 1923 e in Introduzione
alla metafisica del 1935-1936.
39 Filone d’Alessandria, L’erede delle cose divine (258), cit., p. 179.
40 R. Radice, Sommario analitico, in Filone d’Alessandria, L’erede delle cose divine, cit., p. 238, nota 2.
41 Filone d’Alessandria, L’erede delle cose divine (264), cit., p. 183.
42 Ibidem.
43 Ivi, p. 95.
44 Cfr. S. A. Kierkegaard, Timore e tremore, in Opere, cit., pp. 95-99.
45 S. A. Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia, in Opere, cit., pp. 129-130.
46 S. A. Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia, cit., p. 131.
47 M. Heidegger, L’abbandono, cit., pp. 49-74.
48 Ibidem.
49 Ivi, p. 51 e p. 59.
50 M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica , cit., p. 182.
51 Ivi, p. 186.
52 Ivi, p. 190.
53 Cfr. ivi, pp. 186-202.
54 S. A. Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia, cit., p. 152.
55 Cfr. G. Biondi, La ricerca di Heidegger sulla temporalità , cit., p. 226.
56 Cfr. S. A. Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia, cit., pp. 155-157.
57 Paolo di Tarso, Lettere, cit., p. 179.
58 S. A. Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia, cit., p. 155.
59 Cfr. M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica , cit., pp. 195-197.
60 G. Biondi, La ricerca di Heidegger sulla temporalità , cit., pp. 394-395.
61 Ivi, p. 211 e p. 204.
62 M. Heidegger, Concetti fondamentali della metafisica , cit., p. 197.
63 M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 476.
64 Ivi, p. 475 e p. 453.
65 G. Biondi, La ricerca di Heidegger sulla temporalità , cit., p. 396.
66 M. Heidegger, Essere e tempo, cit., pp. 526-527 e 505. I passi e le traduzioni di Essere e tempo riguardanti
la Überlassenheit sono ripresi da G. Biondi, La ricerca di Heidegger sulla temporalità , cit., nota
259, pp. 318-319).
67 M. Heidegger, L’abbandono, cit., pp. 60-63.