Una denunzia nel silenzio
di Franco Cardini - 08/03/2006
Fonte: identitaeuropea.org
3 marzo 2006
In questo paese, in Italia, nel marzo del 2006, sta accadendo l’incredibile. Sta accadendo sotto gli occhi di tutti e nella generale indifferenza: al massimo, lo si fa oggetto di qualche miserabile speculazione elettorale alla vigilia della competizione del 9 aprile prossimo. Ma il problema è serio e inaudito. Qui la destra e la sinistra non c’entrano.
Chi scrive non è l’ultimo arrivato. Egli si è rivolto a tutti i sette quotidiani sparsi per tutta Italia ai quali abitualmente collabora chiedendo di poter denunziare l’accaduto con la massima energia: perché si tratta di emergenza. Gli si è opposto concordemente, sia pur con motivi e con tono differenti, la barriera del silenzio.
Lancio allora quest’appello, per chiunque voglia e possa accoglierlo.
Credo che tutti i cittadini ancora dotati d’un minimo di senso civico e di carità di patria si siano trovati a disagio dinanzi allo spettacolo della visita del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nei giorni appena trascorsi: specialmente dinanzi alle sue dichiarazioni di fedeltà incondizionata all’alleato statunitense iterativamente pronunziate, l’1 marzo dinanzi al Congresso degli Stati Uniti e il 2 successivo a bordo della portaerei in disarmo Intrepid, ora museo navale di Manhattan. Secondo il quotidiano “La Repubblica” del 3 marzo stesso, p.6 – al quale va attribuita la responsabilità di eventuali false o difettose citazioni – il Presidente del Consiglio avrebbe usato espressioni quali “Il nostro compito è quello di convincere tutti i paesi democratici a seguire l’America nella diffusione della libertà, che è l’unico modo per avere il benessere”; avrebbe affermato che la battaglia per la democrazia sarà vinta “solo se trasformiamo il mondo in un’altra straordinaria America”; avrebbe affermato che il nostro “dovere è stare insieme all’America per portare avanti la guerra per la nostra libertà”; e avrebbe addirittura esplicitamente approvato l’ipotesi dell’one shot, l’attacco militare come ultima soluzione contro un paese che voglia usare armi di distruzione di massa, con ciò allineandosi sulle posizioni più oltranziste degli estremisti neoconservatori. Mi chiedo e chiedo al Presidente della Repubblica e alla Corte Costituzionale se in queste parole non sia ravvisabile qualcosa di ancor più grave d’un’inaccettabile dichiarazione di sudditanza nei confronti d’una potenza straniera, sia pur alleata.
In un paese ancor dotato d’un minimo di senso di dignità nazionale e di consapevolezza di che cosa significhino libertà e indipendenza, queste parole avrebbero provocato non solo unanime sdegno, ma anche immediata apertura di un’inchiesta di colui che le ha formulate. Si sono viceversa avute solo fiacche reazioni politiche da parte degli avversari di Berlusconi; e, cosa ancor più incredibile, silenzio o addirittura assenso da parte di quelle forze della “Destra” che fanno parte del governo e che si presentano come tutrici dell’identità, dell’onore e degli interessi nazionali.
Opportunismo e complicità non possono arrivare fino a questo punto.
Ma, ancor più grave di questo, è stato un altro episodio che denunzio attingendo sempre al medesimo quotidiano e lasciando ad esso tutte le responsabilità sull’esattezza di quanto è esposto. Nello stesso 3 marzo, a p.4, “La Repubblica” ha pubblicato un articolo a firma di Ferruccio Sansa nel quale si riferisce di una scelta e di una dichiarazione del Ministro della Giustizia Roberto Castelli che, se esatte, sono di una gravità estrema.
I fatti.
Il 17 febbraio del 2003 alcuni agenti della CIA sequestravano in territorio italiano, a Milano, l’imam Abu Omar per interrogarlo in Egitto. L’inchiesta aperta al riguardo dalla Procura di Milano si chiudeva con l’accusa circostanziata a 22 agenti della CIA, la ricerca dei quali si estendeva dunque, in via di diritto, a tutti i paesi dell’Unione Europea e del mondo. In seguito a un’indagine circostanziata durata due anni, e sulla base di numerosissime e pesanti prove, è emerso un panorama inquietante: dati riguardanti voli aerei gestiti dalla CIA per operazioni “coperte” in Europa, e relative complicità degli organi ufficiali preposti alla nostra sicurezza, sono emersi in Germania, Svezia, Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Danimarca, Regno Unito, Portogallo, Francia, Spagna. In tutti questi casi, si è configurata una violazione della sovranità territoriale di tali paesi.
Come è stato testimoniato dal Procuratore capo di Milano Armando Spataro, che ha seguito l’inchiesta relativa ai 22 agenti della CIA, lettere della Procura che invitano il Guardasigilli a inoltrare agli Stati Uniti la richiesta di estradizione degli indiziati sono state ripetutamente inoltrate. Il Ministro può decidere di non dar luogo a tale richiesta: ma è per legge obbligato a fornire una risposta ai richiedenti.
L’atteggiamento del Guardasigilli, a tutt’oggi, è inaudito e intollerabile. Egli non solo non ha risposto alle legittime sollecitazioni, ma ha attaccato duramente sul piano politico e personale, dai microfoni di Radio Padania il Procuratore Spataro accusandolo di essere “andato a new York e al Parlamento Europeo a parlar male del governo”, di avere “scavalcato i suoi superiori” in ordine alla procedura di sollecitazione della risposta relativa all’inoltro di richiesta d’estradizione degli agenti della CIA e infine dichiarando di non fidarsi “dell’imparzialità di questo magistrato che si è sempre schierato a sinistra. E la sinistra, si sa, è antiamericana”.
Ma più grave e intollerabile ancora è stata un’osservazione del Ministro, nella medesima sede radiofonica, a proposito di quei magistrati che, esaminati i casi di alcuni sospettati di attività terroristiche e averli prosciolti constatando l’inconsistenza degli addebiti loro mossi, li hanno prosciolti. Ponendo in rapporto questi episodi con il caso dei rapitori di Abu Omar, il Ministro – dando per scontato che i magistrati, prosciogliendo i sospetti di terrorismo, abbiano agito contro il loro dovere e contro la verità obiettiva – ha affermato. “Quale immagine diamo? Che lasciamo liberi i terroristi che vengono costantemente assolti e ci occupiamo solo di arrestare i cacciatori di terroristi?”.
Da tale dichiarazione si evince che:
1. il Guardasigilli è più preoccupato dell’immagine che l’Italia offre di sé (dove? a chi?) che non della giustizia e della verità obiettive;
2. Il Ministro omette di far il suo dovere accampando giustificazione di carattere formale e procedurale e frattanto da un lato accusa alcuni magistrati di venir gravemente meno ai loro compiti senza peraltro provvedere contro di loro, come dovrebbe fare se davvero convinto di quanto dichiara e in possesso delle relative prove;
3. Il Ministro presenta come cosa obiettivamente sicura che tutti gli indiziati di attività terroristiche recentemente prosciolti siano in realtà colpevoli, senza comunque giustificare tale affermazione, e si dimostra nel contempo del tutto insensibile di fronte al problema della violazione della sovranità territoriale italiana nel caso Abu Omar.
Fin qui si configurerebbe soltanto – ed è cosa inaccettabile, che in un paese serio e civile provocherebbe quanto meno unanime sdegno nell’opinione pubblica e crisi di governo – una situazione di pesante inadeguatezza di un Ministro della Repubblica. Ma dalle dichiarazioni del Castelli, il quale dogmaticamente si uniforma alla tesi complottistica già dichiarata da Bush all’indomani dell’11 settembre 2001, che cioè stia gravando sul mondo una grave, estesa, coerente e profonda minaccia terroristica, traspare qualcosa di più e di peggio: complicità nel presentare un castello di menzogne come una verità obiettiva.
Vorrei al riguardo richiamare un episodio e una serie di dati a ciò collegati.
Il generale Leonid Ivashov era capo di Stato Maggiore dell’esercito russo al momento degli attentati dell’11 settembre 2001.
Avendo vissuto gli avvenimenti dall’interno, egli ce ne ha fornita un’analisi molto diversa da quella dei suoi omologhi statunitensi. Durante un intervento alla conferenza Axis for Peace 2005 e in una successiva intervista egli prendeva fermamente e responsabilmente posizione per una sostanziale inesistenza del terrorismo internazionale, chiamando in causa anche la versione ufficiale degli attentati dell’11 settembre 2001. Egli affermava che quel che fino ad oggi si è visto è stato solo un terrorismo capace di colpi di mano magari gravi ma comunque episodici, non coordinati fra loro, non diretti da un unico centro e strumentalizzato dalle grandi potenze; anzi, che non esisterebbe senza di esse. Contestando il dogma della “guerra mondiale al terrorismo”, nel nome del quale si attenta ormai con evidenza alle libertà dei cittadini (come mostra negli Stati Uniti la vicenda del Patriot Act e altrove la realtà della lotta al terrorismo avanzata come alibi che giustificherebbe ogni sorta di atti illegittimi, come appunto i voli della CIA sull’Europa) Ivashov sosteneva che il modo migliore per ridurre gli attentati consiste nel ripristino del diritto internazionale e della pacifica cooperazione sia tra gli stati che tra i loro cittadini.
Il terrorismo si afferma dovunque si esasperino le contraddizioni, dove intervenga un cambiamento delle relazioni sociali; dove si crei un’instabilità politica, economica o sociale; dove si liberino delle potenzialità aggressive; dove intervenga la decadenza morale, dove trionfino il cinismo ed il nichilismo, dove si legalizzi il vizio ed esploda la criminalità.
È la globalizzazione che crea le condizioni per questi fenomeni estremamente pericolosi. All’interno del suo quadro si rimodella la carta geostrategica mondiale; vengono redistribuite le risorse planetarie; vengono ridisegnate le frontiere degli stati; viene stracciato il sistema di diritto internazionale; vengono cancellate o comunque attaccate le identità culturali. L’analisi dell’essenza del processo di globalizzazione, come delle dottrine politiche e militari degli Stati Uniti e di altri paesi, prova che il terrorismo contribuisce obiettivamente alla realizzazione di una dominazione mondiale ed alla sottomissione degli Stati ad una oligarchia mondializzata. Esso non è quindi un soggetto indipendente della politica mondiale, bensì uno strumento, un mezzo per instaurare un mondo unipolare avente un unico centro di direzione globale: è un espediente per cancellare le frontiere nazionali degli stati ed instaurare la dominazione di una nuova élite oligarchica mondiale, i centri direzionali della quale sono appunto il soggetto-chiave del terrorismo internazionale, i suoi ideologi e i suoi “padrini”.
L’oggetto principale della nuova «élite» mondiale è la realtà naturale, tradizionale, culturale e storica, il sistema esistente delle relazioni tra gli Stati, l’ordine mondiale nazionale e statale della civiltà umana, cioè, in definitiva, l’identità nazionale.
Secondo Ivashov, l’attuale terrorismo internazionale è un fenomeno caratterizzato da una parte dall’impiego del terrore - attraverso strutture politiche statali e non - come mezzo per raggiungere i suoi obiettivi politici con l’intimidazione, la destabilizzazione sociale e psicologica della popolazione e con il soffocamento della volontà di resistenza degli organi del potere; dall’altra dal ricorso alla creazione delle condizioni per la manipolazione della politica degli stati e della condotta dei loro cittadini.
Il terrorismo sarebbe pertanto lo strumento di una guerra di nuovo tipo. Esso, così come viene presentato quale obiettivo pericolo dai media, diviene il sistema di gestione dei processi globali. È precisamente la simbiosi tra i media e il terrorismo a creare le condizioni che permettono mutamenti anche clamorosi e repentini nella politica internazionale, colpi di mano contrari al diritto internazionale e al principio della sovranità territoriale degli stati ma giustificati dall’eccezione determinata dalle “ragioni di sicurezza” atte a fronteggiare l’ “emergenza” e insomma modificazioni anche profonde della realtà politica esistente.
Se, in questo contesto, si rianalizzano gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, si possono trarre secondo Ivashov le seguenti, allarmanti conclusioni :
1. I mandanti di quegli attentati sono i circoli politici e gli ambienti d’affari che avevano interesse a destabilizzare l’ordine mondiale e che avevano i mezzi per finanziare quell’operazione. Il concepimento politico di quell’atto è maturato là dove sono apparse tensioni nella gestione delle risorse – finanziarie e di altro tipo. Le ragioni di quegli attentati devono essere ricercate nella collusione degli interessi del grande capitale al livello transnazionale e globale, in particolare nei circoli non soddisfatti dai ritmi del processo di globalizzazione o dalla direzione presa da esso.
A differenza delle guerre tradizionali il cui concepimento era determinata da politici e generali, gli iniziatori della « guerra mondiale al terrorismo » sono stati alcuni oligarchi e i politici da loro dipendenti.
2. Solo i servizi segreti ed i loro capi attuali o in congedo – ma che hanno conservato dell’influenza all’interno delle strutture dello stato – sono in grado di pianificare, organizzare e gestire un’operazione di tale ampiezza. In generale, sono i servizi segreti che creano, finanziano e controllano le organizzazioni estremiste. Senza il loro sostegno, tali strutture non possono esistere – e ancor meno effettuare azioni di una tale ampiezza all’interno di paesi particolarmente ben protetti.
Pianificare e realizzare un’operazione di tale portata è estremamente complesso.
3. Usama ben Laden e «al Qaeda» non possono essere stati né gli organizzatori né gli esecutori degli attentati dell’11 settembre. Essi non possiedono né l’organizzazione richiesta a questo scopo, né le risorse intellettuali, né i quadri necessari. Di conseguenza, si è dovuto formare una squadra di professionisti, mentre i kamikaze arabi hanno svolto il ruolo di comparse per mascherare l’operazione. L’operazione dell’11 settembre ha mutato il corso degli avvenimenti nel mondo, imprimendogli il ritmo e la direzione decisa dagli oligarchi internazionali e dalla mafia transnazionale, vale a dire da coloro che aspirano al controllo sia delle risorse naturali del pianeta, sia delle reti globali dell’informazione, sia, infine, dei flussi finanziari. Quell’operazione ha pure fatto il gioco dell’élite politica ed economica degli Stati Uniti che aspira anch’essa alla dominazione globale.
L’uso del « terrorismo internazionale » mira a conseguire i seguenti obiettivi :
1. Dissimulare i veri scopi di quelle forze, sparse nel mondo, che lottano per la dominazione e il controllo globali ;
2. Sviare le rivendicazioni delle popolazioni e condurle in una lotta dagli esiti incerti contro un nemico invisibile (in quanto inesistente); distruggere le norme internazionali fondamentali, alterare concettualmente espressioni come “aggressione”, “terrore di stato”, “dittatura” o “movimento di liberazione nazionale”;
3. Privare i popoli del loro legittimo diritto alla resistenza armata contro l’aggressione e all’azione contro l’attività occulta di servizi segreti stranieri.
4. Condurre i popoli alla rinuncia della difesa prioritaria degli interessi nazionali; favorire la trasformazione nella dottrina degli obiettivi militari facendola scivolare verso quella che è stata definita, con i metodi e nelle prospettive che abbiamo visto, “la lotta contro il terrorismo” (che diviene un dogma nel nome del quale si dichiara terrorista o alleato e fiancheggiatore del terrorismo chiunque sollevi qualche dubbio nei confronti di esso e della versione ufficiale sulla base della quale lo si definisce); trasformare la logica delle alleanze militari a detrimento di una difesa congiunta e a vantaggio della coalizione anti-terrorista.
5. Risolvere i problemi economici ricorrendo ad una forte costrizione militare col pretesto della lotta contro il terrorismo.
Viceversa, sempre a detta di Ivashov, per combattere efficacemente il terrorismo internazionale – che può essere come si è detto eterodiretto, ma che recluta una manovalanza obiettivamente disposta a perseguire i fini che i leaders terroristici propongono (apprestandosi pertanto, come diceva il vecchio Bertold Brecht, a marciare contro il nemico senza rendersi conto che il nemico marcia alla loro testa) si dovrebbero assumere alcune misure, tra le quali :
1. Ribadire davanti all’assemblea generale dell’ONU che i principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale debbono essere rispettati da tutti gli stati, superpotenza compresa.
2. Formare un’unione geostrategica di civiltà (forse, propone Ivashov, sulla base dell’Organizzazione di cooperazione di Shanghai, che raggruppa la Russia, la Cina, il Kazakhstan, la Kirghizia, il Tadjikistan e l’Uzbekistan.) in grado di adottare una scala di valori e una strategia diversa da quella fondata sulla NATO ed egemonizzata dagli USA.
3. Unire (sotto l’egida dell’ONU) le élites scientifiche affinché elaborino e promuovano delle concezioni filosofiche dell’Essere umano del XXI secolo e organizzare l’interazione di tutte le confessioni religiose del mondo, in nome della stabilità dello sviluppo dell’umanità, della sicurezza e del sostegno reciproco.
Il generale Ivashov è portavoce degli interessi russi e può esser sensibile al richiamo di progetti utopistici di più o meno vecchio tipo. Ma le cose che ha dichiarato, specie se poste in rapporto con le dichiarazioni di Berlusconi e di Castelli all’inizio del marzo del 2006, non può essere sottovalutato. varrebbe la pena di far di tutto questo oggetto d’una seria inchiesta, nazionale e internazionale.