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Lo smaltimento pubblico dei titoli tossici

di Vittorangelo Orati - 27/03/2009

 

 
Lo smaltimento pubblico dei titoli tossici

Aggettivi a caso (“statalizzazione del credito”, “sostegno pubblico alle banche” ecc.); formule confuse, padronato miope e invidioso (“soldi veri” alle aziende vuole Confindustria); paralisi da cretinismo dottrinale (Eu); media nel pallone senza ausili possibili da parte degli economisti(ci) in crisi di identità (i meno “corrotti”) o colpiti da sindrome profonda da “coazione a ripetere” le stanche e impresentabili litanie la cui attuazione ha portato alla crisi (“pericolo protezionismo”, “mai rinunciare al libero scambio”, “pessimismo immotivato” e “crisi di fiducia”, “più deregulation e concorrenza”, “la crisi è una opportunità non è un male” ecc.), falso clima roosveltiano e massicci salvataggi di banche e assicurazioni con tanto di moralismo puritano sui compensi ai banchieri da parte di Obama nelle mani di economisti(ci) tradizionali che non sanno e non sanno di non sapere.
Nessuno che lo dica con l’onestà intellettuale che la situazione richiede: i titolo tossici sui cui falsi valori di bilancio per anni si sono staccati bonus, stock option, stipendi favolosi con moneta con cui, come fa né più né meno un falsario, si sottrae ricchezza vera a chi l’ha creata, vengono nuovamente validati con moneta buona e posti a carico del debito pubblico e quindi della collettività per essere smaltiti nel tempo in dosi non velenose. Fidando sulla fase di ripresa del ciclo i cui volumi si ritiene possano assorbire senza traumi lo smaltimento progressivo dei “rifiuti tossici”.
Ma, a parte tutto il resto, alla base di una tale cieca strategia c’è una falsa diagnosi della causa della crisi in atto. La cecità consistendo nel fatto che si ritiene che sia stata la sola dimensione finanziaria a provocare la crisi : scoperti i “falsari” e quindi intervenuta una crisi di fiducia nel sistema da parte dei soggetti economici (intermediazione tra presente e futuro per l’uso delle risorse, diminuzione dei consumi e preferenza per la liquidità) essa sarebbe causata dal conseguente credit crunch, per cui il rinculo sulla parte reale dell’economia non sarebbe dovuto ad altro che all’interrompersi di un altrimenti sano o fisiologico rapportarsi degli scambi intersettoriali (interdipendenze input e output, segnatamente tra beni di investimento e beni di consumo). Dunque tenendo a bada gli artefici del male, i banchieri, della cui competenza se costretti a “far bene” non si potrebbe fare a meno, se a costoro gli si dà modo di riequilibrare il conto profitti e perdite e lo stato patrimoniale, si ritiene del tutto infondatamente, che possono reinnestare la “normale” dinamica economica. O le cose stanno in questi termini o si deve pensare che i supremi reggitori del mondo, che hanno le chiavi della politica economica, sono tutti sottoscrittori di ingenti fortune affidate a edge fund e quant’altri hanno passato per innovazione finanziaria “polpette avariate”, e in comune accordo vogliono nel tempo recuperare le loro personali perdite. Poiché questa è mera fantapolitica, la realtà, non sappiamo quanto ciò ci debba sollevarci, è e resta quella che ci vede spettatori di un “re” globale del tutto nudo e oscenamente coperto con le bugie e l’incompetenza di economisti(ci) la cui “sapienza” insipiente è il frutto di decenni di veleno pseudoscientifico propagato dalle università di tutto il mondo con vasta eco dei supini media. E la giovane età, con la sottostante pericolosa ideologia del giovanilismo, di Obama e del suo dream team (su cui se avremo tempo e voglia daremo in altra occasione resoconto curricolare) composto di giovani economisti(ci) aumenta i pericoli di una tale incultura. Non avendo questi mai, se no pour hazard, impattato per ragioni generazionali la possibilità di altre opzioni al “pensiero unico” in formato di “scienza economica” e attuatosi in modo crescente negli ultimi trentacinque anni.
Se l’origine della crisi è reale, come ritengo e ho argomentato più volte, allo squilibrio crescente a livello globale tra “salari”, da un lato, e profitti e rendite, d’altro lato, con o senza rapine autorizzate con l’ “innovazione finanziaria” (la nuova e più sofisticata versione dei falsari tradizionali), e il credito sbracato e i suoi miasmi hanno solo (e come sempre) ritardato il redde rationem, hai voglia a pompare “liquidità” nel sistema creditizio! Proprio perché costretto a operare secondo i realistici dettami della “buona finanza” (?) sulla base di capienza di credito dei richiedenti moneta, il sistema bancario è bloccato perché i magazzini sono stracolmi di merci invendute e questa rappresenta l’opposto di una garanzia reale e al ritorno dei prestiti. E se ciò riguarda il mondo delle imprese e quindi gli investimenti, dal lato dei consumi non va certamente meglio, innescando i magazzini pieni licenziamenti di massa conseguenti. E mance e mancette una tantum ai “poveri” e ai nuovi poveri non risolve alla radice il problema, come ben sa con secoli di esperienza la Chiesa, che aiuta a perpetuare la povertà attraverso il suo presidio logico economico: l’elemosina.
Occorre sbugiardare gli economisti(ci) e i loro mandanti.
A partire dalle origini della “falsarizzazione” (ci si passi il neologismo) del pensiero economico.
Chi fosse interessato ad approfondire il tema e il problema può leggere il mio saggio Milton Friedman: A Late and Overstimated Master of Sofistry in una appena pubblicata raccolta di scritti su Friedman (con contributo dello stesso Samuelson): Milton Friedman Nobel Monetary Economist A review of Theories and Policies, Isle Publishing Company, Enfield, New Hampshire, 2009. Non aspettiamoci però suicidi o dimissioni in massa da parte di schiere di economisti(ci): di questi hanno bisogno i vassalli (storicamente nani) nelle “province” dell’Impero globale del capitale, di cui perciò si teme il tramonto difendendo il suo teatro d’elezione, la “globalizzazione” e tutti i suoi vuoti precetti economici, propagandati per verità rivelate.