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Piante trasgeniche, ecosistemi e geni della morte

di Manuela Giovannetti* - 27/03/2009

I principali motivi che hanno scatenato ondate di articoli giornalistici
sulle biotecnologie sono stati i recenti scandali alimentari del "pollo alla
diossina" e di "mucca pazza", che niente hanno a che fare con le biotecnologie
stesse. Al contrario, i casi menzionati riguardano il cibo, ed infatti è attraverso
la loro associazione con il cibo che è stato possibile effettuare operazioni
culturali come quella che ha portato a discutere di biotecnologie e piante
transgeniche in contrapposizione a "sapori antichi" e "slow food". Così, si è
arrivati a mettere in discussione, al massimo, gli allevamenti intensivi, nel caso
del "pollo alla diossina", ed il fatto che un erbivoro fosse stato alimentato come
un carnivoro, nel caso di "mucca pazza". Utilizzando questo sistema, che
preferirei chiamare trucco, si è evitato che il cittadino-consumatore medio si
ponesse domande quali:
a) come è possibile che olio di scarto contenente diossina finisca negli alimenti
dei polli?
b) come possono cadaveri di pecore malate finire nei mangimi delle mucche,
senza neanche avere la certezza che non contengano più l'agente infettante?
Soprattutto si è evitato di dire al cittadino-consumatore che dietro ad ogni
caso/scandalo ci sono stati forti interessi economici dei quali si è spesso taciuto,
e che i vari governi europei nell'emanare leggi e nel fare controlli non hanno
certamente difeso la salute e la sicurezza alimentare del cittadino-consumatore
stesso.
Analogamente, ogni volta che si cerca di discutere seriamente dei rischi
connessi alla coltivazione ed alla utilizzazione di piante transgeniche, si innesca
il meccanismo sopra descritto di associazione col cibo, che porta
inevitabilmente a considerazioni sulle possibilità che il cibo transgenico sia
dannoso per la salute umana, e provochi reazioni allergiche ed intolleranze
alimentari. Questo argomento è molto importante, è stato molto dibattuto ed è
oggetto di controversie internazionali, riguardanti soprattutto le importazioni di
cibi transgenici dagli Stati Uniti d'America all'Europa. I governi di molte
nazioni, tra cui India, Norvegia e Danimarca, insieme a Consumers
International, una federazione di 246 organizzazioni di consumatori, chiedono
da tempo che tutti i cibi prodotti attraverso tecniche di modificazione genetica
(GM) siano etichettati, opponendosi al concetto di "sostanziale equivalenza"
introdotto nel 1993 dalla Organization for Economic Cooperation and
Development (OECD), in base a cui i cibi GM sono comparati con i
corrispettivi non-GM, in termini di tossicità e qualità nutrizionali. La
etichettatura faciliterebbe lo svolgimento di studi epidemiologici per
determinare qualsiasi aumento delle allergie o malattie possibilmente collegate
al cibo transgenico.
Al di là del rischio alimentare dei cibi transgenici, che suscita così tanto
interesse nei media, a mio parere i pericoli più grandi connessi all'uso di piante
transgeniche riguardano la loro stessa coltivazione, poichè del destino dei geni
modificati dopo il loro rilascio nell'ambiente non si conosce ancora quasi
niente. In particolare non si conoscono gli effetti che le piante transgeniche
coltivate possono avere su tutti gli altri componenti dell'ecosistema, come gli
insetti e gli uccelli che si cibano delle loro foglie e radici. Né si conoscono le
interazioni delle enormi quantità di residui della coltivazione delle piante
transgeniche con i microrganismi del suolo che decompongono l'intera pianta e
rimettono in circolo gli elementi nutritivi. Di certo sappiamo che in natura i
geni possono essere trasferiti da un organismo all'altro, esattamente come in
laboratorio.
Di seguito cercherò di descrivere i principali rischi ambientali connessi
alla coltivazione di piante geneticamente modificate, utilizzando i dati della
letteratura scientifica internazionale, e citerò l'esempio della modificazione
delle piante con la tecnologia "Terminator", il gene della morte, a sostegno
della tesi che l'assenza di scienza e coscienza, e la contemporanea presenza di
forti interessi economici, costituiscono la base dei disastri ambientali passati e
futuri.
Piante transgeniche.
Gli organismi geneticamente modificati (OGM), definiti anche
transgenici, sono prodotti utilizzando processi di ingegneria genetica, che
permette l'aggiunta di nuovi geni o il cambiamento di geni già esistenti
nell'organismo oggetto della manipolazione. Siccome il codice genetico è
universale, geni prelevati da topi o da batteri possono funzionare bene in
organismi vegetali come mais o cotone e viceversa. Il processo di trasferimento
di geni da una specie all'altra prende il nome di trasformazione, i geni inseriti
nella nuova specie sono definiti transgeni ed il prodotto è un organismo
transgenico.
Le piante transgeniche sono diventate una importante realtà commerciale
in agricoltura in pochissimi anni: nel 1996 solo una varietà di mais transgenico
era coltivata negli USA ed interessava lo 0,75% dei terreni coltivati a mais; nel
1997 le varietà diverse di mais transgenico coltivate erano sette ed
interessavano il 9% delle colture di mais; nel 1998 undici varietà transgeniche
rappresentavano il 25% della superficie totale coltivata a mais (Nature, 398,
736). Oltre al mais, anche la soia transgenica ha rapidamente invaso il mercato
agricolo americano: ingegnerizzata dalla Corporazione Monsanto, la soia
Roundup Ready® contiene nel suo patrimonio genetico un gene batterico che la
rende tollerante all'erbicida Roundup® , prodotto anch'esso da Monsanto.
Questa soia fu introdotta per la prima volta nel 1996 e si stima che nel 1998 ne
siano stati coltivati negli USA circa 18 milioni di acri (Horstmeier, 1998).
La maggior parte delle piante transgeniche attualmente coltivate sono
state modificate per renderle tolleranti a erbicidi o ad insetti dannosi. Per
quanto riguarda le varietà erbicida-tolleranti, quelle coltivate più comunemente
sono in grado di crescere bene in presenza di erbicidi come il glifosato e
glufosinato, che possono così essere distribuiti sulle colture senza danneggiarle:
oltre alla soia già citata, un altro esempio è costituito dalla varietà di mais
"T25", prodotto dalla compagnia biotecnologica tedesca AgrEvo.
Per quanto riguarda le varietà di piante resistenti ad insetti, gli esempi più
importanti sono costitutiti da mais, cotone e patate Bt, varietà geneticamente
modificate per produrre tossine che in natura sono prodotte da un batterio del
terreno, Bacillus thuringensis (Bt). Dal 1995, anno di registrazione delle colture
Bt da parte della Environmental Protection Agency degli USA, sono state
approvate sette varietà di mais, una di cotone ed una di patata, prodotte dalle
multinazionali Monsanto, Novartis, Mycogen, DeKalb, AgrEvo. Nel 1998 circa
20 milioni di acri sono stati coltivati con varietà Bt negli Stati Uniti, 15 milioni
dei quali erano costituiti da mais, che rappresentavano il 20% circa della
superficie totale coltivata a mais (Nature, 397, 636). E' interessante notare,
anche ai fini di quanto verrà discusso in seguito, che ogni singola cellula di
ogni singola pianta coltivata contiene il gene attivo e produce tossine.
Rischi connessi alla coltivazione di piante transgeniche.
I rischi ecologici connessi al rilascio nell'ambiente di piante
geneticamente modificate sono stati e sono tuttora al centro di controversie
internazionali, sia in ambito scientifico che politico (Rissler, Mellon, 1996).
Uno dei primi rischi di cui si è discusso è rappresentato dalla possibilità di
diffusione del polline proveniente dalle piante transgeniche, attraverso il vento
o gli insetti impollinatori. La propagazione dei transgeni attraverso il polline è
inevitabile ed ingovernabile e sono stati ormai descritti molti casi di
ibridizzazione tra specie transgeniche coltivate e specie correlate che crescono
spontanee nei campi vicini (Bergelson, Purrington, Wichman, 1998). Per
esempio, la ibridizzazione tra Brassica napus (colza) transgenica, tollerante
l'erbicida glufosinato, e Brassica campestris è stata provata in esperimenti in
campo, e gli ibridi interspecifici della seconda generazione contenevano il
transgene della tolleranza all'erbicida (Mikkelsen, Andersen, Jorgensen, 1996).
E' evidente che la rapida propagazione di geni per la tolleranza agli erbicidi
potrebbe portare in tempi brevi alla nascita di piante spontanee altamente
invasive e non più controllabili con gli erbicidi conosciuti, o alla proliferazione
di piante "superinfestanti". Il rischio di impollinazione incrociata e di diffusione
incontrollata dei transgeni diventa molto alto nelle colture agrarie, dove
possono venire coltivate varietà GM e non-GM a distanze non di sicurezza.
Proprio perchè non siamo ancora certi del destino dei transgeni in natura, la
Svizzera ha recentemente negato il permesso di condurre sperimentazioni in
campo con la varietà di mais transgenica T25 alla compagnia biotecnologica
tedesca AgrEvo, sulla base del fatto che i dati sulla valutazione del rischio
erano inadeguati e che dovevano essere presentati piani di monitoraggio del
flusso potenziale di geni verso le piante vicine e gli organismi viventi nel
terreno (Nature, 398, 736). Questo è uno dei primi esempi di applicazione del
"principio di precauzione", che dovrebbe essere alla base di ogni azione umana.
In realtà, flusso di geni da piante coltivate a piante spontanee vicine è stato già
documentato per piante come mais, carota, sorgo, girasole, fragola, barbabietola
(Nature, 392, 653-654).
Il rischio di inquinamento genetico incontrollabile riguarda anche le
varietà transgeniche Bt, che producono tossine attive contro insetti dannosi.
Oltre a tale rischio, nelle colture di piante Bt, potrebbe verificarsi, nel giro di
pochi anni, l'evoluzione della resistenza alle tossine negli insetti-target
(bersaglio), dovuta alla forte pressione selettiva esercitata sugli insetti stessi
dalla produzione costante di tali tossine in ogni cellula della pianta (Gould,
1997).
Molte associazioni americane di produttori di pesticidi e di semi Bt
sottolineano che i rischi ambientali non sono ancora provati sperimentalmente,
e che mancano dati scientifici sul trasferimento di transgeni Bt a piante vicine, o
sui danni delle tossine Bt ad insetti utili o ad altri organismi. Al contrario, nel
caso del mais, una recente ricerca pubblicata sull'autorevole rivista scientifica
Nature ha dimostrato che il polline proveniente da mais Bt depositato sulle
foglie di una diversa specie di pianta provocava la morte del 40% circa delle
farfalle monarca che si cibavano di tali foglie (Losey, Raynor, Carter, 1999). La
farfalla monarca non è un insetto dannoso, è semplicemente uno dei tanti
organismi che vivono nei prati, vicini o lontani dai campi coltivati, e che non
costituiscono certo il bersaglio delle tossine prodotte dalle piante transgeniche
Bt: sono cioè insetti non-target. Altre ricerche hanno dimostrato un impatto
negativo su insetti non-target, che avevano ingerito a loro volta insetti
alimentati con piante transgeniche produttrici di tossine (Hilbeck, 1998). I
potenziali pericoli ambientali risiedono quindi nella possibilità concreta che si
verifichi una catena di eventi dannosi per tutti gli organismi viventi in un dato
ecosistema.
Ai sostenitori del rischio zero potrebbe essere posta la seguente domanda:
quanti organismi non-target possono essere messi a rischio dalle tossine Bt
quando il polline che le contiene è disperso dal vento e si deposita su tutte le
specie di piante viventi nel raggio di almeno 60 metri dalle coltivazioni? Se si
pensa poi alla enorme quantità di residui vegetali che le coltivazioni di mais
lasciano sui terreni agrari, residui che vengono interrati e sono ingeriti dalla
microfauna del suolo e degradati dai microrganismi, non possiamo escludere
che le tossine Bt, contenute in ogni cellula di ogni pianta, possano interagire
negativamente con altri componenti dell'ecosistema e costituire un reale rischio
per organismi non-target.
Dunque l'inquinamento genetico provocato dalla coltivazione delle piante
transgeniche ha profonde implicazioni per la conservazione della biodiversità.
Anche Robert May, il principale consigliere scientifico del governo britannico,
che minimizza i rischi derivanti dall'evoluzione di possibili "superinfestanti" e
dalla impollinazione incrociata, si è mostrato invece preoccupato per l'impatto
che le piante geneticamente modificate possono avere sulla conservazione della
biodiversità e del paesaggio naturale (Nature, 398, 654).
La consapevolezza che gli scienziati non conoscono in anticipo tutte le
possibili interazioni tra i geni introdotti nel patrimonio genetico di una pianta e
l'intero ecosistema, dovrebbe guidare l'azione dei governi europei, per poter
garantire la sicurezza alimentare, la salvaguardia dell'ambiente, la difesa della
biodiversità. Solo ricerche sperimentali a lungo termine ed in campo, sottoposte
a controlli pubblici rigorosi e trasparenti, potranno produrre serie valutazioni di
impatto ambientale delle piante transgeniche e chiarire alcune delle incognite
che i bioingegneri non riescono a calcolare a causa della complessità degli
ecosistemi.
I geni della morte.
Nell' agricoltura moderna alcune colture, tra cui il mais, non sono
riseminate utilizzando i semi prodotti dal raccolto precedente, ma sono
regolarmente vendute ogni anno agli agricoltori dalle grandi industrie
sementiere che selezionano sementi ibride per l'agricoltura intensiva. Molte
altre colture importanti, come riso, grano, soia, cotone, non sono invece
coltivate da semi ibridi, e spesso i contadini, specialmente nei paesi più poveri,
utilizzano la pratica antica di seminare i campi con i semi prodotti dal proprio
raccolto. Questa pratica non sarà più possibile se un brevetto americano del
1998 sarà utilizzato per costruire piante geneticamente modificate perchè
uccidano i loro stessi semi di seconda generazione. Tale brevetto è stato
denominato "Terminator Technology" dal RAFI (Rural Advancement
Foundation International), una organizzazione internazionale dedicata alla
conservazione ed allo sviluppo sostenibile della biodiversità in agricoltura ,che
ha analizzato le possibili implicazioni sociali, economiche ed ambientali
dell'invenzione. Non è questa la sede per descrivere nel dettaglio il complicato
processo che induce i semi al suicidio invece che alla germinazione. In sintesi,
la pianta ingegnerizzata contiene il gene per la produzione di una tossina che
ucciderà il seme prodotto dalla pianta stessa. Tra le tante tossine possibili, gli
inventori di Terminator suggeriscono di utilizzare una proteina che inibisce la
sintesi delle proteine, in mancanza delle quali ogni pianta muore in tempi brevi,
e che sostengono non essere attiva contro organismi diversi dalle piante.
Per quanto sopra discusso riguardo ai rischi di propagazione del polline
transgenico nell'ambiente e di impollinazione incrociata con piante vicine della
stessa specie, possiamo facilmente immaginare il disastro ecologico che
potrebbe derivare dal rilascio nell'ambiente agrario di semi transgenici
contenenti "geni della morte". Inoltre tali semi potrebbero avere effetti
imprevedibili sugli organismi che se ne cibano, come uccelli ed insetti, e sui
microrganismi del suolo, che li utilizzano dopo averli degradati. Siccome si
conosce ancora molto poco di come i geni siano attivati e disattivati nei vari
organismi, e sono noti casi di geni introdotti in una pianta per una precisa
funzione che in realtà hanno funzionato in tutt'altro modo, potrebbe avvenire
che i geni della morte siano attivati improvvisamente in tempi diversi ed in siti
diversi dal seme.
Come sostiene Martha Crouch, Professore di Biologia all'Università
dell'Indiana, gli inventori di Terminator nella descrizione del loro brevetto
mostrano un modo di pensare pericolosamente riduzionista, omettendo di
considerare qualsiasi effetto sulla ecologia di tutti gli organismi che possono
venire in contatto con i geni della morte. Certo è che interferire così
pesantemente su processi naturali fondamentali della vita senza conoscere
niente delle lunghe catene di relazioni tra componenti diversi e lontani degli
ecosistemi, può produrre effetti globali inaspettati, imprevedibili e disastrosi.
A questo punto si impone una riflessione sulle possibili conseguenze che
l'utilizzazione e diffusione della tecnologia Terminator potrebbe avere sulla
sopravvivenza delle popolazioni dei paesi più poveri. L'introduzione dei geni
della morte in colture fondamentali come il riso o il grano potrebbe consegnare
nelle mani delle multinazionali delle sementi la sorte di interi paesi. Le
implicazioni di Terminator sono quindi anche di natura sociale e politica, oltre
che economica.
Sarebbe opportuno che l'interesse di politici e studiosi di bioetica, così
forte per la sorte degli embrioni oggetto di studio o frutto di fecondazioni in
vitro si estendesse anche ai geni della morte, dalla cui commercializzazione può
dipendere la sorte di milioni di persone.
BIBLIOGRAFIA
- Mikkelsen, T. R., Andersen B., Jorgensen R. B. 1996. The risk of crop
transgene spread. Nature, vol. 380, pag. 31.
- Bergelson, J., Purrington C. B., Wichman G. 1998. Promiscuity in transgenic
plants. Nature, vol. 395, pag. 25.
- Losey, J. E., Raynor L. S., Carter M. E. 1999. Transgenic pollen harms
monarch larvae. Nature, vol. 399, pag. 214.
- Hilbeck, A. 1998. Environemental Entomology, vol. 27, pagg. 480-487. ???
- Rissler, J., Mellon M. 1996. The ecological risk of engineered crops. The MIT
Press, Cambridge, Massachussetts, U. S. A.

 

*Università di Pisa.
IL PONTE, Anno LV, n. 9, settembre 1999, pagg. 104-110.