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Vitaliano Brancati, nato cent’anni or sono

di Marco Iacona - 28/03/2009

 


Novità in vista fra i celebri “Meridiani” editi da Mondatori. Un novità che si fa in quattro e che già dal titolo sembra odorare di interesse oltre che di garantito successo. Si tratta di quattro volumi dal titolo classico che più classico non si potrebbe Giornalismo italiano, pubblicati dalla casa editrice milanese (oramai una bandiera come la Ferrari, la Nutella e poc’altro), per auto-celebrare il proprio centenario. Quattro volumi che dovrebbero offrire una selezione di testi giornalistici «riguardanti da un lato i grandi fatti della politica interna e internazionale, dall’altro la minuta fenomenologia del costume, le guerre e le calamità naturali, i delitti e i processi provocati da quei delitti, la letteratura, il teatro e la musica , lo sport e la moda…». Un po’ di tutto insomma.
Cari giornalisti, cosa saremmo senza di loro? Karl Kraus ne cantò quattro a esteti, politici, psicologi, sciocchi, studiosi e appunto giornalisti, i nipotini molto alla lontana di Johann Gutenberg : «Non avere un pensiero e saperlo esprimere - è questo che fa di un uomo un giornalista»; e poi: «I giornalisti scrivono perché non hanno niente da dire, e hanno qualcosa da dire perché scrivono»; «Il pittore ha in comune con l’imbianchino il fatto di sporcarsi le mani. Ed è proprio questo che distingue lo scrittore dal giornalista»; infine: «Comunque sempre meglio che gli artisti intervengano per la buona causa che i giornalisti per il bel periodo». Ma degli storici e soprattutto delle donne («le divido in due categorie: dolose e colpose») scrisse anche di peggio. Consolante.
Due tomi sono già in libreria (vol.I: dal 1860 al 1901, pp.1832 euro 55; vol.II: dal 1901 al 1939, pp.1920, euro 55; entrambi curati da Franco Contorbia), gli altri sono previsti per i mesi che verranno. All’interno nomi per ogni palato. Si va da Carlo Collodi a Edmondo De Amicis, da Antonio Gramsci a Luigi Salvatorelli, da Gabriele D’Annunzio a Luigi Pirandello, da Carlo Rosselli a Filippo T. Marinetti, da Leo Longanesi a Indro Montanelli, passando per Dino Buzzati e Luigi Albertini. Todos caballeros. Decine di autori con frammenti giornalistici a corredo per raccontare cos’è stata l’Italia dall’Unità ad oggi.
Un meraviglioso caos calmo con le vicende in agrodolce del glorisoso Stivale. Ogni autore dichiara (fra le righe e no) il proprio rapporto col potere. Ogni brano, lungo o breve, contiene una doppia verità da gustare col senno di poi per non lasciarsi sconfiggere dai pensieri molesti. Vitaliano Brancati, per esempio, catanese di Pachino (nato cent’anni or sono), negli anni delle decisioni irrevocabili, 1940 e oltre, si sentirà un uomo nuovo guarito da certo irrazionalismo giovanile (solo letture sbagliate?), dilettandosi a raccontare i siciliani, nero su bianco, con gran dose d’umorismo. Già, ma prima?
Trasferitosi a Catania nel 1920, esordisce nella poesia due anni dopo. Nel 1924 fiducioso nell’avvento di un mondo nuovo si iscrive al Partito Nazionale Fascista e fonda la rivista Erbe di ispirazione dannunziana. Nel ’28 scrive il dramma in un atto Everest ispirandosi al fascismo (fascismo che successivamente verrà polemicamente rifiutato). Nel 1929 se ne va a Roma e pubblica una serie di racconti su Il Tevere di un altro siciliano la cui eco del nome risuona oggi assai fastidiosa. Telesio Interlandi (peraltro, insieme all’autore del Contra Judaeos, Guido Piovene, incluso nelle antologie di Contorbia). Si tratta proprio di quel giornalista che guiderà la ben nota Difesa della razza.
Nel ’31 (il 16 giugno, per l’esattezza), c’è un’occasione che non si dimentica. L’incontro fra il ventenne Brancati e Sua Eccellenza Benito Mussolini, narrato dal giornalista-romanziere, per la prima (e non ultima) volta sulle colonne di Critica fascista. «Il quattordici parto da Catania», scrive il futuro autore di Don Giovanni in Sicilia, «con una valigia che mi sembra tutta piena di quella copia speciale di Everest, che devo consegnare a lui». “Lui” è quello che appena un lustro dopo proclamerà il ritorno dell’Impero sui colli fatali di Roma. Il dissenso brancatiano sarà però in atto già dal ’34 (qualche dubbio rimane leggendo e rileggendo il ben noto I redenti di Mirella Serri, Corbaccio 2005), appena il tempo, peraltro, di fondare con lo stesso Interlandi e Luigi Chiarini il periodico Quadrivio, che ancora nel ’38 (anno delle leggi razziali), ospiterà a puntate il brancatiano Sogno di un valzer.
Nelle parole del giovane siciliano, la visita a Mussolini è né più e né meno la vista prolungata di un oggetto d’amore. Inizia la giornata particolare del candido emigrante: «Mi sveglio. È l’alba. L’aria s’è addolcita. So che, di mattina, Mussolini in blusa bianca cavalca per i viali di Roma. La luce deserta ne isola meglio l’immagine. Penso: “Fra poco lo vedrò”». A sera avviene l’incontro a Palazzo Venezia: «una voce “Vitaliano Brancati” e un usciere mi guida attraverso delle sale, al cui fondo brilla una porta bianca. La porta si ingrandisce, si isola, s’avvicina e nello stesso tempo si sottrae, come se, fra poco, dovesse sfuggire alla mano, rimanere sempre a destra o a manca del gesto con cui si vorrà aprirla». Poi «s’apre e vedo Mussolini. Tutta la sala intorno a lui brilla - pavimento, mobili scuri, pareti - e si ha per un attimo l’impressione che debba specchiarlo». E Mussolini? Com’è Mussolini? «la figura di lui è grande», spiega Vitaliano, «sola, unica, nella sala, in mezzo a questi riflessi che non avvengono, in mezzo a questa inutile volontà di specchiarla, ch’è nelle cose intorno».
Si celebrano i convenevoli. Mussolini è onnisciente (non sarà lui ad avere sempre ragione?). Conosce gli autori stranieri uno ad uno: Balzac, Tolstoi, Zola. «Mentre egli parla, ora appoggiato al tavolo, ora diritto, con una semplicità di squisita eleganza civile», continua il collaboratore di Rossellini e Visconti in anni neorealisti, «io penso a tutti i luoghi comuni che sono fioriti anche introno a lui». Mussolini sarebbe forse «l’ombra» del grande Napoleone. Ma la risposta di chi lo ama è intuibile. «La più dura offesa che si possa fare a un grande uomo moderno, creatore di sé, è quello di paragonarlo a un altro, sia pur colossale, di un’epoca diversa o anche della stessa epoca». Mussolini «somiglia all’ottocentesco, per metà romantico, per metà fastoso, ornato di sciabola e bruciato dalla tisi, ancora non guarito dei sogni affannosi del borghese che odia e adora il sangue blu, violento deificatore della sua famiglia e confusamente preoccupato dei confusi “diritti dell’uomo”, sognatore di un impero e incosciente creatore di nazionalismi, chiaro ed amaro nella sua grandezza, Napoleone Bonaparte, come una quercia somiglia ad un pino o un fiore di agosto somiglia ad un fiore di maggio».   
Al margine di una eccitazione meritevole d’approfondimento (magari un Bruno Vespa…), il giovane catanese si spinge sulla cima del delirio psicologico. Poi passa al capitolo quasi-teologico: «sotto quella semplicità d’uomo moderno, un’altra semplicità si nasconde», scrive. «È la liscia nettezza della personalità eccezionale e potente; l’esterno dell’uomo che non sarà mai dominato, esterno senza appiglio, alto, quasi monotono, su cui è inutile tentare la scalata. E allora quest’uomo, in giacca estiva e larga, si presenta come il monolite. Tutto un pezzo: ma se un tal pezzo si trova in una sala, la sala pare gli giri intorno; se si trova in mezzo ad una folla, la folla gli rigurgita e bolle introno; se si trova in mezzo a un popolo, il popolo gli fa cerchio, si dispone a piramide e lo accetta spontaneamente per vertice…».
Dopo un numero incerto di ore o minuti, Brancati lascia l’edificio. La sbornia è di quelle che non passano con un solo caffé amaro: «Io sono nato in un’epoca d’asfissia», dice. «Ricordo che non c’era nulla da fare; che sedevo, bambino, in un mondo ove tutto pareva finito; e il dubbio di vivere era così grande da togliere anche il pensiero della morte. Egli, l’uomo che ho visto pochi minuti fa, apparve come un nuovo senso della vita». Senso della vita… Uomo inviato dalla Provvidenza aveva già detto qualcun altro. Ripassando la prosa dei “Meridiani” riesce difficile spiegare perché, in Italia, si siano attesi anni per proclamare il mussolinismo religione ufficiale dei passionali anni Trenta. Ah già… in mezzo c’era - e c’è ancora - la politica.
E poi rimane sempre Karl Kraus a spiegarci come va il mondo...