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Berlusconi e l’"amico americano"

di Massimo Fini - 08/03/2006

Fonte: lineaquotidiano.it

 

Sono penose queste
polemiche da cortile
che hanno accompagnato
il discorso del presidente
del Consiglio davanti
al Congresso americano: se
si sia trattato di propaganda
preelettorale, di uno
spot, di violazione della ‘par
condicio’. Il discorso di un
premier davanti al Congresso
degli Stati Uniti, che non
è cosa che capiti tutti i giorni,
non può che essere un
discorso istituzionale, da
statista. E come tale va preso.
Ma è proprio sui suoi contenuti
politici che, personalmente,
non sono per nulla
d’accordo. Nel passaggio
più importante della sua
prolusione, Berlusconi ha
affermato: “Il Vecchio Continente
non può definire la
sua identità in contrasto con
l’America... Una concezione
dell’Europa fondata sulla
velleitaria volontà di autosufficienza
sarebbe politicamente
pericolosa... non possono
esistere due Occidenti”.
Se si guarda agli interessi
reali dell’Europa di oggi,
non a quelli dell’America,
vero il contrario. E dal
1989, dal crollo dell’Urss,
che i Paesi europei avrebbero
dovuto capire quel che del resto è intuitivo:
che la nostra posizione nei
confronti dell’“amico americano”
è radicalmente cambiata.
Finché, infatti, è esistita l’Unione
Sovietica, l’alleanza con
gli Stati Uniti era obbligata,
perché erano i soli a possedere
il deterrente nucleare necessario
per dissuadere l’“orso russo”
dal tentare avventure militari
nell’Europa dell’Ovest. Il
ricatto atomico incrociato proteggeva
anche noi. Per la verità
nemmeno questo era certo
fino in fondo, da quando a
metà degli anni Ottanta
Ronald Reagan si era lasciato
sfuggire che l’Europa avrebbe
potuto essere teatro di un “conflitto
nucleare limitato”. E cioé
che non era affatto scontato
che se i sovietici avessero sganciato
un’atomica su Parigi, o
su Bonn o su Roma, dall’America
sarebbero partiti immediatamente
missili nucleari diretti
a Mosca, ma sarebbero piuttosto
stati colpiti altri Paesi del
Patto di Varsavia. Insomma
Usa e Urss si sarebbero fatti la
guerra nucleare per interposta
persona.
Comunque sia, nonostante questa
dichiarazione di Reagan,
la convinzione europea era
rimasta quella che noi eravamo
protetti dall’ombrello
nucleare americano. Naturalmente
questa difesa, o supposta
difesa, gli americani, giustamente
dal loro punto di
vista, ce l’hanno fatta pagare
a caro prezzo, tenendo i Paesi
europei in uno stato di minorità,
di sovranità nazionale limitata
e di sudditanza innanzitutto
militare, attraverso la
Nato e le varie basi Usa, extraterritoriali,
disseminate per
tutto il Vecchio Continente, e
quindi politica, economica e,
alla fine, anche culturale.
Oggi l’Europa dileguatasi la
minaccia sovietica, non ha più
bisogno della difesa degli Stati
Uniti e ha l’ovvio interesse a
svincolarsi da una sudditanza
di cui paga ancora i prezzi senza
averne più i benefici... L’Europa
non ha più interesse a
essere alleata ‘fedele’ degli
americani (fedeli sono solo i
cani), ma non ha più nemmeno
interesse a essere alleata. Perché
gli americani sono diventati,
oggettivamente, dei nostri
avversari. Lo sono sicuramente
in campo economico, dove fanno
valere senza scrupoli le infinite
rendite di posizione acquisite
con la vittoria nella Seconda
guerra mondiale. Il prezzo
per averci liberato dal nazifascismo
lo abbiamo pagato per
più di mezzo secolo, mi pare
abbastanza, ora, come dice la
Littizzetto, “il mutuo è scaduto”.
Ma avversari, gli americani,
lo sono anche dal punto di
vista politico. L’Europa non ha
alcuna convenienza a seguirli
nel loro avventurismo postsovietico,
aggressivo e violento
soprattutto nei confronti del
mondo arabo-musulmano, se
non altro perché noi - e l’Italia
e la Spagna in particolare -
questo mondo l’abbiamo sull’uscio
di casa, per non parlare
dell’immigrazione, e non a diecimila
chilometri di distanza.
In Europa alcuni Paesi, Germania,
Francia e Spagna, sembrano
aver finalmente capito,
soprattutto dopo la guerra
all’Iraq che è venuta l’ora,
peraltro suonata con molto
ritardo, di prendere le distanze
dall’“amico americano”. Berlusconi,
purtroppo, no.