Ogni volta che la nuova stagione porta con sé nuove ondate di prodotti digitali sempre più high-tech, mi viene in mente Mark Twain. Oltre a esser stato un brillante scrittore, egli era anche uno sfortunato investitore: affascinato, al volgere del XIX secolo, dalle ultime innovazioni tecnologiche, inclusi i progressi nella progettazione di macchine da scrivere funzionali e delle apparecchiature di composizione. Twain sarebbe rimasto sbalordito da un normale PC, che noi diamo per scontato. Ma cosa avrebbe pensato dell’invadenza dell’odierna tecnologia digitale – per non dire dei suoi contenuti ripetitivi?
Sta diventando sempre più difficile sottrarsi al raggio di ricezione dei cellulari (sempre che lo si voglia, ovviamente). E a giudicare dalle scene in cui si assiste in certe remote località, molta gente non vorrebbe mai prescindere dalla ricezione telefonica 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, per conversazioni che verranno involontariamente origliate per metà da malcapitati passanti (praticamente sempre, la metà più noiosa, chissà perché).
In questi giorni, il fascino che i media mainstream stanno dimostrando nei confronti dei blog e dei bloggers che li frequentano sembra lasciare intendere che Internet serva principalmente a esaltare il contenuto o lo stile di ciò che vi viene scritto. È una seducente cyberfantasia. La velocità è utile, e lo stesso si può dire per gli link di ipertesto e i video-on-demand; tuttavia – fortunatamente o meno, dipende dal punto di vista – non esiste nessuna invisibile mano digitale che può trasformare un qualunque scritto in una buona lettura.
Un paradosso fondamentale nella rapida avanzata delle tecnologie digitali risiede nel fatto che i salti quantici negli hard-disk e nei software dei computer sono stati accompagnati da un avanzamento praticamente nullo delle capacità mentali umane – ovvero, di ciò che noi chiamiamo “intuito”, “saggezza”, “compassione”. Non si può andare in un centro commerciale o in un sito internet e comprare con la carta di credito un po’ di materia grigia o una manciata di rapporti umani.
Il monumento alle comunicazioni digitali ha convogliato un senso di ineluttabilità. Mentre quegli aggeggi affila-coltelli usciti l’anno scorso diventano obsoleti, ogni resistenza appare inutile. Ma la questione non è se si debba essere pro-tecnologia o anti-tecnologia. Più pertinenti sono domande come: che senso ha tutta questa roba ipercomputerizzata? Come la si collega alle cose che davvero contano nella vita?
Per scandagliare le risposte a queste domande, anche i laptop più costosi e i migliori motori di ricerca non potranno esserci d’aiuto. Mega-compagnie come Microsoft e Google offrono comodità e velocità incredibili. Quando siamo in cerca di informazioni o immagini, loro possono fare quasi tutto meglio e più velocemente rispetto a noi – eccetto pensare e riflettere, sentire e creare, amare e soffrire...
Mezzo secolo fa, si faceva un gran parlare della paura che, un giorno, le macchine avrebbero sostituito l’uomo nei posti di lavoro. Ora, la parola “automazione” ha un suono quasi d’altri tempi. Ma la spinta a velocizzare l’agenda lavorativa affonda le sue radici decenni addietro: “In un’epoca di tecnologia avanzata”, profetizzò Aldous Huxley, “l’inefficienza è il peccato contro lo Spirito Santo”.
In tempi recenti, l’enfasi aziendale circa l’uso efficiente – e, diciamocelo, lo sfruttamento – degli esseri umani è diventata più dispotica. Ad oggi, nessuno si aspetta che una grossa società dimostri, sul lungo periodo, molta lealtà nei confronti dei suoi dipendenti. E le onnipresenti tecnologie digitali nel mondo lavorativo - dai computer ai telefoni cellulari, fino al Blackberry - hanno facilitato le croniche richieste dei datori di lavoro per una maggiore “produttività”. Nel momento in cui un nuovo aggeggio digitale può essere utile al lavoratore, ci si attende invece che questo accontenti, più efficientemente che mai, le insaziabili richieste di profitto della dirigenza.
Nuovi punti-vendita presentano quotidianamente resoconti mozzafiato degli ultimi splendori digitali. Ma l’attenzione di questi preziosi piccoli strumenti si concentra sulle più profonde qualità dell’esperienza umana, il contenuto delle comunicazioni alla velocità della luce o l’ultimo prodotto. I flussi di dati si muovono più velocemente di quanto l’occhio possa registrare. Le informazioni non si muovono, volano. Ma a che serve tutto questo?
Anche le più strabilianti tecnologie digitali non possono fornire un briciolo di pensiero. Eppure, i mass media continuano ancora a paragonare le svolte digitali con quelle umane. È una posizione davvero discutibile
L’ultimo libro di Norman Solomon, ‘War Made Easy: How Presidents and Pundits Keep Spinning Us to Death’, è appena uscito. Nuovi Mondi Media ne ha pubblicato la versione italiana, ‘MediaWar. Dal Vietnam all'Iraq, le macchinazioni della politica e dei media per promuovere la guerra'
*Common Dreams
Fonte: http://www.commondreams.org/views06/0307-35.htm
Tradotto da Paolo Cola da Nuovi Mondi Media