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Sulla crisi, in breve

di Gianfranco La Grassa - 18/04/2009

Le crisi economiche di tipo capitalistico, affermatesi più o meno compiutamente con la rivoluzione industriale, hanno iniziato a manifestarsi, con aspetti simili fra loro, a partire all’incirca dagli anni ’20 del XIX secolo. Ogni crisi, però, è anche un unicum con le sue particolarità pur nell’ambito dei caratteri appunto generali. Ciò è soprattutto dovuto al fatto che il movimento oggettivo della crisi, con le sue ciclicità, non può non servirsi di portatori soggettivi; e questi non sono mai gli stessi nei successivi periodi ed epoche, in cui muta la cultura e l’ideologia (legate al mutamento sociale) e le strutture politiche, le forme economiche, ecc. A parte poi il fatto che vi è sempre una discreta dose di casualità – pur se appare come intenzione volontaria – nelle azioni dei vari gruppi di decisori soggettivi. In ogni caso, per ragioni che vanno spiegate altrove (e che si trovano pure in miei libri e in scritti sul sito), ogni crisi capitalistica – società della produzione generale di merci e del loro interscambio fondato sul denaro – ha le sue prime manifestazioni nei “reparti” finanziari.

Venendo a parlare della crisi odierna, si constata che – dopo aver lasciato fallire una prima grande banca, la Lehman – è stato generalmente deciso di salvare le altre con uno sforzo non indifferente (anzi veramente eccezionale) senza però voler ledere i “sacri principi” della proprietà privata e della “libertà di mercato”. Quale sembra essere il risultato? Le banche hanno approfittato del momentaneo sollievo con relativa (molto relativa) stabilizzazione; i loro dirigenti non hanno certo cambiato atteggiamento, giacché ogni agente capitalistico non è in grado di vedere se non il proprio tornaconto, conseguibile nel settore in cui opera e che meglio conosce. Di conseguenza, non sembra proprio che un salvataggio del genere spinga l’apparato bancario, e finanziario in genere, a rendersi maggiormente utile ai fini della produzione (l’economia detta reale); il credito non è stato accresciuto in modo adeguato (in Italia, soprattutto danneggiate sono le piccolo-medie imprese). Tutti (non il FMI) manifestano da qualche tempo ottimismo per il 2010; tuttavia i dati dell’economia reale (produzione industriale, disoccupazione, ecc.) sono tuttora sempre più negativi. Si è parzialmente, e temporaneamente, stabilizzato appunto il settore finanziario, e la Borsa continua con il suo tran tran di rialzi e ribassi. Se però dovesse continuare il peggioramento della situazione reale, è ovvio che avremo nuovi grossi problemi in questo settore (e Borsa).

Visto che si è effettuata la solita scelta di “socializzare le perdite”, sarebbe stato meglio, almeno credo, avere il coraggio di nazionalizzare le principali banche (oppure decidere un’operazione similare) onde orientarle, secondo modalità direttamente politiche, alla funzione di “servizio” della produzione e settori reali. Non che questo basti, a mio avviso; più volte si è rilevato in questo blog che la crisi, nel suo “profondo”, non è affatto soltanto, né principalmente, economico-finanziaria, poiché è legata alla fase attualmente multipolare con tendenza al policentrismo. Tuttavia, se si devono usare i “pannicelli caldi”, tanto vale che siano caldi abbastanza. Abbiamo più volte criticato la tendenza (solo ideologica) a vedere nel “pubblico” l’interesse generale, che si contrapporrebbe a quello “privato” propugnato dal neoliberismo. Non è affatto così. Anche il pubblico, cioè l’intervento più direttamente politico, non potrebbe far altro – essendo tale sistema fondato sul mercato e l’impresa capitalistica – che operare, come già rilevato, in direzione di una “socializzazione delle perdite”. Con la nazionalizzazione (o simile), però, il settore finanziario – se si manifesta una decisione politica – verrebbe almeno parzialmente piegato ai fini stabiliti secondo precisi criteri di priorità (pur sempre capitalistica, la si smetta di “credere alle fate” in questa specifica contingenza), e non lasciato ancora in balia degli interessi precipui dei suoi agenti capitalistici.

Quanto appena sostenuto in questo succinto intervento non lascia presagire nulla di buono circa l’andamento della crisi, proprio per carenza di volontà politica, che dovrebbe comunque scontrarsi con quella della potenza (Usa) cui la UE ancora si piega; la tanto conclamata cooperazione internazionale – e i vari G multi-numerati che si sono tenuti e si terranno – andrebbe sostituita da una più vigorosa autonomia dei diversi paesi con reciproca interrelazione e informazione in merito alle varie decisioni prese; così, invece, ci si impicca più o meno tutti alla stessa corda, quella tesa da chi ha ancora maggior voce in capitolo. Non a caso, gli unici paesi (fra quelli più potenti) a essere “benevoli” nella forma, facendo invece i propri interessi nella sostanza, sono Russia e Cina. Gli altri sono lamentevolmente confusi e poco incisivi.

Aggiungo, pur se non è proprio in tema, che ritengo demenziali le azioni di pura propaganda e agitazione scomposta, che vari gruppetti si preparano ad organizzare “assediando” (lo credono loro, superficiali quali sono) la Maddalena, dove si terrà la prossima riunione degli ex Grandi. Non sto qui a spiegare i motivi della mia contrarietà, anche perché penso sia inutile interagire con questi ottusi bisonti di una sinistra “bonsai”, che credono di salvare il mondo senza più capirne nemmeno il menomo funzionamento e predicando solo banali “buoni sentimenti” (uniti a cieche e inconsulte pseudo-violenze). Sono meno dannosi i mascalzoni intelligenti che i cretini di un qualsiasi genere.