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Il "fiat" sul collo

di Giovanni Petrosillo - 24/04/2009

 

 

Ancora una volta alla Fiat non dicono la verità e senza un vero piano di riassetto industriale, stanno mettendo a repentaglio, già nel breve periodo, migliaia di posti di lavoro. Dobbiamo però essere consapevoli che, quest’ultimi, in ogni caso e in un futuro nemmeno troppo lontano, sono destinati a scomparire proprio a causa di una irreversibile senescenza del mercato dell’auto le cui fortune appartengono ad una precedente rivoluzione industriale e a tutt’altra epoca storica.

Il matrimonio con Chrysler doveva essere a costo zero, una sorta di scambio tra tecnologia (italiana) e rete commerciale (americana), con ricadute positive per entrambi i partner. Oggi, invece, viene fuori che la Fiat dovrà versare denaro contante per ottenere quote dell’azienda diretta da Bob Nardelli.

Dove il Lingotto possa tirar fuori tali capitali non è dato saperlo considerato che i suoi debiti ammonterebbero a circa 6,7 mld di euro ed anche vedendo qualche pezzo pregiato come l’Iveco, l’operazione resterebbe di dubbia raggiungibilità. In più, le banche creditrici di Chrysler non vogliono ammorbidire i debiti di questa, anch’essi aggirantisi sui 6,8 mld, ma di dollari. Il livello dei debiti, peraltro, non sarebbe un problema così grande se solo le proiezioni sullo sviluppo del settore e sul possibile allargamento del mercato non fossero così negative.

Accettiamo pure il fatto che le banche non siano un problema in questa fase poiché Obama ha il potere di richiamarle ad un maggiore senso di responsabilità senza che queste possano sottrarsi, considerato il vento di fallimenti e di vendetta popolare che tira (così com’è montato congiuntamente agli spropositati aiuti che il governo americano ha già concesso agli Istituti finanziari, non ancora digeriti dalla gente).

Tuttavia, la sensazione che ci stanno per tirare un pacco (la Chrysler alla Fiat e la Fiat all’Italia) è troppo forte. Qualche dubbio, inoltre, si manifesta laddove Marchionne è stato subito individuato come il traghettatore unico e prossimo presidente della nuova intesa. Insomma, la cooptazione è evidente e le domande non fanno che moltiplicarsi. Per esempio, riprendo alcune di queste da un articolo apparso sul sito Dagospia:

“Quando la vicenda comunque sarà finita qualche giornalista italiano dovrà chiedersi la ragione per cui è scattato l'entusiasmo di Obama per la Fiat e per il suo management. Chi ha indotto il giovane, bello e abbronzato ad abbandonare di colpo l'American-buy per l'italian style? Chi ha fatto da tramite tra il quartier generale del Lingotto e la Casa Bianca?
Sono domande sulle quali nessuno ha indagato e che di fronte all'eventuale successo dell'operazione non avranno più alcun senso. Se invece l'operazione dovesse fallire allora la risposta andrebbe cercata tra i grandi competitor stranieri che si sono rifiutati di mettere le mani nel pozzo nero di Chrysler.

Anche qualora l’affare dovesse filare liscio è difficile credere che gli americani abbiano riposto le ultime speranze di salvare una loro grande azienda nazionale semplicemente regalandola alla Fiat. Se poi, effettivamente, il nuovo gruppo dovesse confermarsi tra quei 5 o 6 di livello mondiale  che concorreranno a spartirsi l’esangue mercato dell’auto, ci sarebbe sempre lo spazio per rimettere le cose a posto. Di fatti, pare che una delle clausole alla base dell’accordo disponga espressamente che Fiat non possa prendere il controllo di Chrysler almeno fino a quando il prestito del Tesoro americano non sarà interamente rimborsato. Quindi,  pur in presenza di segnali di ripresa i vertici del governo americano avrebbe tutto il tempo di scombinare le carte e bloccare la scalata dell’azienda italiana. Al contrario, se le cose non dovessero andare per il verso giusto la nave sarà abbandonata alla deriva senza troppi rimpianti.