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Contro le manie della neuroscienza

di Andrea Valdambrini - 24/04/2009




Gli autori criticano la riduzione della mente al cervello, la psicologia alla biologia. Un atteggiamento falsamente moderno e fuorviante quando viene divulgato con travisamenti e salti logici. Ma non bisogna dimenticare gli eccessi di quando la spiegazione di tutto, anche della malattia mentale, era l'ambiente sociale.

Ricordate quando Leporello, all'inizio del Don Giovanni, mette in guardia sulla "passion predominante" del padrone? Se il personaggio mozartiano potesse mai essere l'assistente di un neuroscienziato anziché il servitore di un libertino, oggi rimarcherebbe forse un cambio di prospettiva. La passione che predomina sembra essere quella della la neuro-mania
Sempre più spesso, sui siti e sui giornali leggiamo notizie come: individuato il neurone dell'amore, piuttosto che il centro cerebrale dell'invidia. Oppure troviamo titoli sensazionali come: fotografata per la prima volta l'area del cervello in funzione quando ascoltiamo il discorso di un politico che ci sta antipatico. Non sempre la divulgazione fa bene alla scienza, e anzi spesso l'ansia di dare in pasto al grande pubblico scoperte altrimenti ostiche, finisce per travisare il vero significato della ricerca.
Rispetto a questo rischio vogliono mettere in guardia Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà, rispettivamente professori di psicologia cognitiva a Venezia e di neuropsicologia a Padova, che firmano insieme Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo (Il Mulino 2009, pp. 125, euro 9). Il loro è un saggio sintetico e tagliente, che dividerà nettamente le opinioni di chi lo legge tra favorevoli e contrari ma che farà sicuramente parlare di sé. Il pamphlet porta infatti un attacco frontale ad una delle convinzioni principali della scienza degli ultimi trenta anni, quella secondo cui la mente (ovvero il comportamento, il linguaggio, l'agire sociale e molto altro) si spiega soprattutto se non principalmente attraverso il cervello. Nell'alternativa tra "salvare" la mente dalla sua dipendenza verso il corpo come faceva Cartesio, cioè dividendo le due e rendendo autonoma l'anima, o al contrario pensare l'uomo come un essere esclusivamente materiale, come suggeriva Julien de La Mettrie nel suo settecentesco L'uomo come macchina, pare che siamo tutti ben disposti ad abbracciare la proposta del secondo. Cosa sono i pensieri in fondo? Aria sì, ma comunque prodotti delle cellule, dei neuroni, delle sinapsi. O almeno così ci piace credere.
A partire dalla tacita condivisione della nostra natura come uomini-macchina si installa l'attuale riscossa del corpo (inteso come cervello) sulla mente (intesa come cultura). E tutto sembra prendere, nella scienza, una base più solida e convincente. Senonché quando vediamo sulle pagine di una rivista scientifica o su quelle di un quotidiano, le zone del cervello colorate a rimarcare l'attivarsi dei neuroni in presenza di un dato stimolo, non sappiamo di trovarci in realtà di fronte a un artificio grafico e probabilmente anche ad una forzatura. Le cellule grigie colorate indicano il maggior afflusso di sangue, a sua volta segno della loro attivazione. Che poi l'attivazione porti al sorgere di un pensiero, questa è materia controversa. Non solo perché si può riscontrare come più aree, non una sola, possono attivarsi nel cervello quando proviamo disgusto o pensiamo che è ora di pranzo. Ma soprattutto - e qui entriamo nel campo dell'errore logico - perché la relazione tra due cose non significa che una è la causa dell'altra. C' è sicuramente un nesso tra l'amigdala e il senso di disgusto, ma questo non significa, secondo gli autori, che proprio lì ha sede la causa di quell'emozione.
La neuro-mania è dunque la tendenza a ridurre tutti i nostri pensieri al cervello, e a spiegare con le cellule grigie una serie di fenomeni socio-culturali. Questo trend scientifico ha fatto sorgere, negli ultimi anni, una serie imprecisata di nuove branche del sapere, tutte accompagnate da un unico prefisso: neuro-economia, neuro-marketing, neuro-estetica, neuro-etica e perfino neuro-teologia e neuro-politica. Tutte a ben vedere riproposizioni della scienza dell'era del positivismo, che da Broca, lo scienziato francese che dà il nome all'area preposta alla produzione linguistica, al bresciano Golgi, nobel per gli studi sulla struttura del cervello, abbracciavano l'idea che i neuroni possono spiegare quello che pensiamo e che facciamo. Ai nostri giorni si chiama neuroimaging, la tecnica tanto in voga di fotografare il nostro cranio e sezionarne le funzioni (questi sono i neuroni dell'amore, appunto). Ma in fondo cosa altro faceva il fisiologo Angelo Mosso, quando misurava l'afflusso sanguigno che aumentava nel momento in cui un povero contadino ascoltava suonare le campane della chiesa a mezzogiorno? Cosa cercava allora il medico nella testa del suo paziente se non quello che il neuroscienziato cerca oggi con tecniche giusto un po' più sofisticate? Un'area di neuroni provoca un determinato pensiero. Tanto facile, dicono Legrenzi e Umiltà, da essere sbagliato.
Se insomma «il futuro ha un cuore antico», frase che gli autori prendono in prestito da Carlo Levi, la modernità scolora in qualcosa che sembra molto meno moderno. Se poi la correlazione cervello-pensiero non è così prodigiosamente lineare come sembra, questa moderna antichità sembra anche molto meno scientifica di quanto pretende di essere. Il prefisso neuro affascina, piace e fa vendere libri e consulenze. Le immagini del cervello attraggono l'attenzione e la curiosità di tutti come i vecchi mirabilia o le wunderkammer dentro cui si vedeva quanto mai mostrato prima. Ma sempre di un bluff si tratta.
È probabile che sia tempo ormai di riflettere sugli eccessi della neuro-mania. C'è una domanda, tuttavia, che non trova risposta nelle pagine di Legrenzi e Umiltà, ed è la seguente. Abbiamo forse dimenticato che per molti anni l'opinione pubblica adesso avida di spiegazioni neuroscientifiche ha avallato l'idea che tutto, dal rubare in una casa fino alla malattia mentale, dipendeva dall'ambiente sociale in cui le persone si trovavano? La passione predominante, all'epoca, era una psicologia che con la materia, il corpo, il cervello non voleva avere niente a che fare. Forse ora abbiamo toccato l'estremo opposto. Ma diversamente dagli autori di Neuro-mania, noi continuiamo a pensare che La Mettrie, preso con le dovute cautele, sia meno dannoso di Cartesio. Al libertino Don Giovanni, tra l'altro, sarebbe stato certamente più simpatico.