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Una mitologia da rivedere

di Luciano Fuschini - 25/04/2009

  

Ormai la tiritera sulla Resistenza e i suoi prodotti, la Repubblica Democratica e la Costituzione, è sempre più stanca e rituale. Questa ricorrenza potrebbe essere utilizzata più proficuamente riflettendo sui miti fondanti.
Un mito è un racconto di eventi straordinari, con un fondamento di verità storica ma amplificato e distorto, a differenza della leggenda che è solo costruzione fantastica. Il mito è fondante quando in esso si concentrano ideali in cui si riconosce una comunità. I miti fondanti nascono da forti emozioni collettive che segnano nel profondo il sentire comune. Quando un mito fondante perde il suo vigore, ne consegue un vuoto che deve essere colmato al più presto, pena la decadenza.
Il mito che fondò l’Italia unita fu il Risorgimento: un popolo in armi, dietro ai suoi Martiri e ai suoi Eroi, per riscattare l’Italia dall’oppressione straniera. Come in tutti i miti, c’era un fondamento di verità con un sovrappiù di retorica e di forzature propagandistiche. La realtà fu quella di una minoranza cittadina egemonizzata dalla Massoneria, che unificò l’Italia col contributo decisivo degli eserciti piemontese e francese, nonché della diplomazia franco-britannica, fra l’indifferenza o l’ostilità delle moltitudini contadine, l’80% della popolazione, più sensibili ai richiami della Chiesa che delle logge massoniche. Fu comunque un mito che funzionò per molti decenni e formò generazioni di italiani.
Dopo lo sconquasso della Grande Guerra e la crisi dello stato liberale, la nuova Italia fascista sovrappose al Risorgimento il suo mito fondante, quello della Marcia su Roma: l’Italia degli Arditi e del Piave spazzava via il vecchiume del ceto politico parolaio e inconcludente, e marciava verso la gloria di un rinnovato Impero di Roma. Per 20 anni questo mito eroico e guerriero ha coperto la realtà di una Padania piccolo-borghese che sognava la Balilla e le vacanze e di un’Italia meridionale e insulare che restava “uno sfasciume pendulo sul mare”. La seconda guerra mondiale svelò la retorica del mito.
L’Italia repubblicana aveva bisogno del suo mito fondante, che fu la Resistenza: il nuovo Risorgimento, il popolo compatto in armi contro l’invasore tedesco e i fantocci collaborazionisti fascisti, sadici aguzzini senza seguito. Come sempre c’era qualcosa di vero e molto di falso. L’esercito di Salò contava 300.000 effettivi. Se aggiungiamo a quei combattenti i loro familiari e i simpatizzanti, erano alcuni milioni di persone schierate col Duce. Altrettanti erano i combattenti e i fiancheggiatori della Resistenza, con un seguito popolare molto più vasto di quello dei fascisti. Insomma, un’Italia lacerata, spaccata in due, con la maggioranza del popolo occupata a sopravvivere in qualche modo, a barcamenarsi più che a schierarsi, come ovunque, come sempre. In una parola, una guerra civile, feroce e crudele come tutte le guerre civili. Fascisti e partigiani erano pedine manovrate dalle forze di occupazione, non dimentichiamolo. Non un esercito di invasori e uno di liberatori, ma entrambi eserciti invasori. Se avessero vinto le brigate nere, che non erano solo aguzzini torturatori ma anche giovani mossi da ideali di Onore e Fedeltà, l’Italia sarebbe diventata una provincia del Reich. Hanno vinto i partigiani, con i loro generosi ideali di Patria, Libertà, Socialismo, e l’Italia è diventata una provincia dell’Impero anglo-americano. Si potrà dire che è stato meglio così ma c’è poco da festeggiare, poco da celebrare.
Quello della Resistenza era un mito fondante piuttosto debole, perché alimentato quasi solo da una parte politica, la sinistra, e perché ad esso si sovrappose un mito d’importazione, quello americano, col suo pionierismo, il suo individualismo, i suoi modelli di consumo e di vita, vincenti anche attraverso la forza del cinema hollywoodiano, delle mode e della musica popolare.
Il Sessantotto non fu un mito fondante per la semplice ragione che non creò alcuna nuova realtà politica nella direzione del Paese. Fu però una tappa fondamentale nel processo di smantellamento di ciò che restava dei valori e delle istituzioni tradizionali.
La crisi della prima Repubblica si accompagnava al tramonto del mito resistenziale, ormai pallido ricordo di vecchi sopravvissuti. Occorreva un nuovo mito fondante. Si credette di trovarlo in Mani Pulite: un gruppo di magistrati coraggiosi che si facevano interpreti dello sdegno popolare contro la corruzione, per un’ Italia onesta e virtuosa. Durò lo spazio di un  mattino. La cosiddetta seconda Repubblica, inesistente proprio perché priva di un mito fondante, lo cercò  nell’europeismo, ma un mito fondante scaturisce da emozioni profonde che si incidono nelle coscienze e si tramandano con le memorie. L’Europa delle quote-latte non poteva esserlo. Ecco che nel vuoto di un vero mito fondante, le sfibrate passioni politiche si alimentano di berlusconismo e antiberlusconismo, speculari nel rimandarsi la vacuità del loro nulla.
Così ci aggiriamo disorientati in una crisi che è sociale, economica, ma soprattutto morale e spirituale. Abbiamo bisogno di un altro mito fondante. Abbiamo bisogno di nuovi simboli, di nuove bandiere, di nuovi inganni forse, per vivere ancora. In una parola, c’è bisogno vitale di una Rivoluzione. Noi vorremmo che non scaturisse più dalle illusioni del progressismo.