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Il tribunale dei vinti

di Carlo Bertani - 13/03/2006

Fonte: Disinformazione.it

 

 

Non si comminano più sentenze capitali, non è bello, non è politically correct. E’ disgustoso osservare il miglio verde della vita di un condannato: no, meglio una fredda notizia che comunica la morte di Slobodan Milosevic, definito il “satrapo”, il “sanguinario” e via discorrendo.
Nello stesso giorno, il presidente del tribunale che sta giudicando Saddam Hussein dichiara che – qualora – Saddam sia condannato e – ancora qualora – sia condannato a morte, allora fra la sentenza e l’esecuzione non trascorrerà più di un mese.

Stupefacente consecutio d’eventi improbabili, verrebbe da dire: un magistrato previdente ed ossequioso del suo mandato.
La signora Carla Del Ponte – che dirige il tribunale dell’Aia – si è mostrata assai rattristata della morte di Milosevic: senza di lui sarà difficile giungere a delle conclusioni certe, alla tanto osannata verità processuale.
La realtà è diversa: diritto internazionale alla mano, Milosevic aveva dimostrato che quel tribunale non poteva condannare un ex capo di stato catturato come un ladro di polli, che la guerra del 1999 era stata una guerra d’aggressione senza il minimo straccio di giustificazione giuridica sul piano internazionale.

Milosevic era gravemente malato di cuore: qualsiasi tribunale avrebbe dovuto sospendere le udienze per un ricovero ospedaliero – ma così non è stato – e domani ci racconteranno che l’autopsia non ha nulla da rivelare, e che ognuno ha compiuto il suo dovere. L’operazione è riuscita, il paziente è morto.
Ricordiamo che la signora Del Ponte fu colei che avrebbe dovuto ritrovare il famoso “tesoro di Craxi” e che invece non trovò proprio niente: nel frattempo, Craxi era morto. Verrebbe da toccarsi quando la si nomina.

In ogni modo, se si sentisse disoccupata, le ricordiamo che sono tuttora nell’attesa d’essere giudicati Pinochet e la banda di generali argentini che attuarono il “piano Condor”: trentamila oppositori politici uccisi in un decennio nel silenzio totale dei tribunali internazionali. Sempre in America Latina, almeno una mezza dozzina di ex-capataz (Bolivia, Peru, Colombia, Ecuador, ecc) campano tranquilli con accuse di genocidio, traffico d’armi e di droga, corruzione, sterminio di indio, ecc. Dei “battaglioni della morte” salvadoregni la signora sa qualcosa?
Troppo distante l’America? Perché non richiamare all’Aia i comandanti del famigerato battaglione Buffalo, che seminò morte e distruzione fra i neri nel Sudafrica dell’apartheid? Potremmo continuare, ma sarebbe noioso e doloroso acclarare la scoperta dell’acqua calda, ossia che la giustizia internazionale si muove in una sola direzione.
Inviamo – metaforicamente – alla signora l’icona delle tre scimmiotte: non vedo, non sento e non parlo. Come dicono a Napoli: ma faciteme ‘o piacere…