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Il dono, in una società moderna che sottolinea l'utile e l'economico, sembra essere un residuo di una mentalità del passato. Invece, è presente in varie forme. Anzi, niente può crescere e funzionare se non nutrito da esso. C'è il dono in amore, in amicizia, il dono agli ospiti e agli stranieri. C'è il dono perfino nello spazio del lavoro, nel tempo e nel sostegno che si rivolge ai colleghi. Il dono è alla base della nostra società moderna, molto di più e di quanto non pensiamo. Marco Deriu, sociologo, è docente all'Università Cattolica di Piacenza e si è occupato recentemente della crisi delle società democratiche.
L'antropologo Louis Dumont era solito sottolineare che la differenza fondamentale tra le società tradizionali e la società moderna sta nel fatto che nelle prime i rapporti più importanti sono quelli tra esseri umani, mentre nella società moderna - e in particolare in quella che convenzionalmente e in maniera un po' approssimativa chiamiamo la moderna società occidentale - i rapporti tra esseri umani sono subordinati ai rapporti tra uomini e cose. In altre parole, il valore che orienta l'agire non è più identificato nelle relazioni tra persone, anche quando si scambiano cose, ma è localizzato proprio nelle cose prodotte in sé stesse.
LA SOCIETÀ DI MERCATO E I SUOI VALORI Nei lavori di Karl Polanyi e di Louis Dumont, è possibile rintracciare la genesi della società di mercato e dell'ideologia economica moderna. Questi autori hanno mostrato come la moderna società di mercato si sia andata costituendo attraverso una separazione radicale, una "scorporazione" degli aspetti economici dal più ampio tessuto sociale e quindi una loro costituzione in un ambito a se stante. L'economia si è costituita come ambito relativamente autonomo rispetto alla società o alla politica. Nelle società tradizionali gli aspetti economici erano innestati o incorporati (embedded) nel sociale, e dunque una distinzione tra l'economico e il politico non era nemmeno comprensibile. Il liberalismo economico, che ha accompagnato questa trasformazione, è stato innanzitutto una "rivoluzione nei valori" come l'ha chiamata Dumont; è stato cioè l'invenzione e la legittimazione di un sistema di valori emancipato dalla morale e dalle forme di solidarietà tradizionali. In particolare, a partire da Adam Smith, si iniziò a pensare che nel campo economico, e inizialmente solo in quello, il motore della ricchezza e del benessere fosse l'interesse individuale, il puro e semplice egoismo. Ai fini del benessere economico collettivo non conterebbe la solidarietà o l'altruismo, quanto quell'"armonia naturale degli interessi" che agisce come una "mano invisibile" dando forma al bene comune. Da allora il processo a cui abbiamo assistito è stato un vero e proprio ribaltamento, tale per cui sono il sociale e il politico che in gran parte sono stati incorporati nell'economico, e non viceversa. Allo stesso tempo, il primato dell'interesse individuale - dell'utilitarismo - uscendo dall'isolamento del puro ambito economico, si è andato talmente affermando che si è addirittura imposto come ideologia globale e pervasiva della società contemporanea. Come ha sottolineato Dumont, il risultato di queste trasformazioni è che noi oggi siamo abituati a pensare alla società come qualcosa che si risolve essenzialmente nelle sue dimensioni economiche e materiali, e al bene sociale come qualcosa di connesso alla crescita e allo sviluppo. Lo stesso benessere dei cittadini, è misurato in termini economici e monetari proprio perché le persone sono concepite come individui, ovvero esseri umani privati di ogni caratteristica sociale. Oggi non siamo abituati a chiederci, da questo punto di vista, se la prosperità individuale, raggiunta a prezzo del degrado sociale generale, sia in sé un fatto positivo o socialmente accettabile. Quello che la modernità ci ha consegnato, dunque, è un idea di prosperità che è al contempo materiale, economica, utilitaristica ed individualistica. La prosperità, il benessere, sono diventati sinonimo di ricchezza.
IL FILO CHE TESSE LA RELAZIONE
La centralità dell'ideologia economica attuale, è tale da proporsi come il vero universalismo nei nostri rapporti con altre culture e civiltà. Noi siamo convinti che l'unico modo di guardare le cose, quello "realistico", sia attraverso la lente dell'interesse e dell'utile. "L'utilitarismo - scriveva Alain Caillé il principale animatore del Mauss (Movimento Antiutilitarista nelle Scienze Sociali) - non rappresenta un sistema filosofico particolare o una componente fra le altre dell'immaginario dominante nelle società moderne. Piuttosto, esso è diventato quello stesso immaginario; al punto che, per i moderni, è in larga misura incomprensibile e inaccettabile ciò che non può essere tradotto in termini di utilità e di efficacia strumentale. Nel migliore dei casi, quel che appartiene al campo peraltro enorme del non-utilitario, è pensato nel registro del lusso, più o meno del superfluo, o dell'ideale inaccessibile, perché non di questo mondo". Eppure negli anni venti, l'antropologo francese Marcel Mauss scrisse un saggio, il celebre "Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche" (1923-24) destinato a diventare un punto di riferimento per tutti i successivi studi antropologici e sociologici sul dono che poneva, a questo proposito, alcune questioni chiave. Non solo studiando materiali sulle tribù indigene sia americane che del pacifico, metteva in luce la centralità del dono e della reciprocità nelle loro società seppure in forme diverse (il Potlàc delle tribù indiane del Nord ovest americano, o il Kula diffuso attorno alle isole Tobriand, vicino alla Nuova Guinea); non solo Mauss sottolineava - prima ancora di Polanyi e Dumont - che l'idea dell'uomo come "animale economico" era in realtà un'invenzione recente e tipica delle società occidentali ovvero che l'homo oeconomicus non è inscritto nella nostra storia e nella nostra antropologia, ma è una creazione artificiale: "L'uomo è stato per lunghissimo tempo diverso, e solo da poco è diventato una macchina, anzi, una macchina calcolatrice". Ma soprattutto sottolineava per primo, che il perseguimento brutale degli scopi individualistici nuoce al benessere dell'insieme e "di rimbalzo" all'individuo stesso, e che la logica del dono, per fortuna, è ancora presente nella nostra società. Essa ha ancora a che fare con un intramontabile principio di saggezza, quello dell'uscire da se stessi, del dare assieme "liberamente e per obbligo". Lo spirito del dono, infatti, si basa su una triplice obbligazione: l'obbligo di dare, l'obbligo di ricevere, l'obbligo di ricambiare. Il dono è un circolo. Il dono è il filo che tesse la relazione, che costruisce l'amicizia, il legame sociale, perché "obbliga" nel tempo, ci rende costantemente e irrinunciabilmente dipendenti gli uni degli altri. Noi moderni, tuttavia, sembriamo non essere attrezzati culturalmente per riconoscere l'importanza, e tanto meno la presenza del dono nella nostra vita reale. In un certo senso, per noi il dono non esiste, poiché ogni forma di gesto gratuito non sarebbe altro che egoismo mascherato, oppure qualcosa che si da solo come caso eccezionale, come parziale trasgressione alla normalità degli scambi basati generalmente sul principio dell'utilità. Sarebbe facile concludere, dunque, che il dono non è altro che un residuo di una mentalità del passato, di un modo di concepire le cose adeguato a società tradizionali e oggi del tutto anacronistico nell'epoca della globalizzazione e dei flussi finanziari. Da questo punto di vista, si pongono immediatamente due questioni. La prima questione fondamentale è dunque comprendere se una società può tenersi insieme solamente grazie al perseguimento di obiettivi economici privati ed individualistici di imprenditori, lavoratori e consumatori, oppure se l'erosione della concezione sociale sottostante ad ogni società, non coincida in qualche modo con l'erosione della società stessa e delle possibilità di una reale convivenza. La seconda questione, connessa alla precedente, è se effettivamente il dono sarebbe un residuo destinato via via ad esaurirsi man mano che si diffonde l'economicizzazione del mondo. O piuttosto, se il principio del dono rappresenta un altro senso delle cose, un altro spirito che continua a essere presente - anche se scarsamente riconosciuto - anche nelle nostre società moderne - e qualcosa, per giunta, che continua a riprodursi e a confrontarsi dialetticamente con altre forme di scambio. Nell'ipotesi di Karl Polanyi, per esempio, esistono diverse forme di scambio - reciprocità (dono), redistribuzione (stato) e mercato - e ogni società, compresa quella contemporanea, conterrebbe in se tutte queste forme, in misura maggiore o minore. Da questo punto di vista, molti degli studiosi contemporanei che fanno riferimento al movimento antitutilitarista sostengono, da questo punto di vista, che il dono è tanto arcaico quanto moderno. Che non solo non è scomparso dalle nostre società, ma costituisce ancora oggi il fondamento implicito e dato per scontato del vivere comune. Certo, un fondamento che è necessario riconoscere se non si vuole mettere in crisi le condizioni stesse della convivenza.
IL DONO ALLA BASE DELLA SOCIETÀ
Per Jacques T. Godbout il dono - ovvero, secondo la sua definizione, ogni prestazione di beni o servizi effettuata, senza garanzia di restituzione, al fine di creare, alimentare o ricreare il legame sociale - "non concerne soltanto momenti isolati e discontinui dell'esistenza sociale, ma la sua stessa totalità. Ancor oggi non è possibile avviare o intraprendere alcunché, niente può crescere e funzionare se non nutrito dal dono". Il dono è assolutamente presente nelle società contemporanee: c'è il dono in famiglia, nel gesto della madre verso il bambino, o negli innumerevoli servizi, aiuti e gesti quotidiani compiuti da membri della rete familiare verso altri membri, o anche nelle famiglie che adottano un bambino. C'è il dono in amore: donarsi tempo, emozioni, felicità; il dono in amicizia, gli aiuti e il sostegno, le cose e gli oggetti che circolano fra amici; il dono in occasione di eventi: nascita, compleanni, esami, fidanzamenti, matrimoni, ecc.; il dono in occasione di festività come il Natale, la Befana, la Pasqua, e le varie feste della donna, degli innamorati; il dono agli ospiti e agli stranieri, il dovere dell'accoglienza, dell'offrire cibo, vino, ospitalità che in molti posti è ancora molto forte. C'è il dono nella forma del volontariato sociale, volontariato con anziani, bambini, immigrati, poveri, persone vittime di violenza; il dono in gruppi di aiuto reciproco, i gruppi di autoaiuto, gli alcolisti anonimi, basati sul principio che non si può riuscire da soli, che c'è bisogno dell'aiuto degli altri e del dono di una forza superiore che si riceve e si trasmette ad altri; il dono agli sconosciuti, ovvero quel dono senza legame tra donante e ricevente, che è in gran parte una specificità moderna e che si ritrova per esempio nel dono del sangue, degli organi, nella beneficenza, nelle sottoscrizioni; il dono. C'è il dono perfino nello spazio del lavoro, nel tempo e nel sostegno che si rivolge ai colleghi, alla ditta o all'impresa. Dunque, il dono è estremamente diffuso anche tra di noi, seppure non trova spesso un adeguato riconoscimento simbolico. Il dono è alla base della nostra società moderna, molto più di quanto non pensiamo. L'importante è saper riconoscere la presenza del dono nelle nostre società. Da questo punto di vista, la sfida è rompere lo schermo dell'utile, dell'interesse come criterio di riconoscimento, interpretazione, valorizzazione della realtà ambientale e sociale, e della definizione delle priorità politiche e sociali. È importante portare alla luce le dimensioni dello scambio sociale e dell'azione individuale e sociale non dettate principalmente dall'interesse. Si tratta infatti di un passaggio fondamentale nel tentativo di limitare e contrastare il dominio dei criteri del profitto e della competizione economica. Si deve continuare a interrogarsi su cosa tiene insieme una società, su cosa costituisce il benessere reale o la qualità della vita delle persone e anzi risottolineare l'importanza delle persone, delle relazioni in quanto tali, e non come strumenti o scopi per qualcos'altro.
MARCO DERIU IL MAUSS
Il Movimento Antiutilitarista nelle Scienze Sociali (MAUSS) nasce a Parigi nel 1981. Ne fanno parte numerosi intellettuali di spicco francesi, ma non solo, tra cui Alain Caillé, Gérald Berthoud, Serge Latouche, Jacques Godbout, Jean-Luc Boilleau. Caillé in particolare è l'animatore del movimento, il direttore della rivista La revue de Mauss e autore del manifesto dell'antiutilitarismo "Critica della ragione utilitaria". Il nome del movimento rappresenta anche un chiaro riferimento all'antropologo Marcel Mauss, il cui saggio sul dono come "fenomeno sociale totale" costituisce un punto di riferimento cruciale. Per la divulgazione del pensiero antiutilitarista in Italia un ruolo importante è stato giocato da Alfredo Salsano che fa parte del Mauss e ha fatto pubblicare per Bollati Boringhieri vari autori e testi antiutilitaristi. Recentemente è stata fondata anche un'associazione italiana - autonoma ma in accordo con il Mauss internazionale - denominata "Associazione Anti-Utilitarista di critica sociale". Per contatti: deriumarco@tin.it. |