Berlusconismo di destra e di sinistra
di Andrea Cinquegrani - 13/03/2006
Fonte: www.lavocedellacampania.it
Se vince il centrodestra vince Berlusconi. Se ha la meglio il centrosinistra rischia di continuare il berlusconismo». Questa la lucida analisi di Achille Occhetto in vista del voto di aprile. Continua l’ex leader pci-pds, settant’anni appena compiuti: «Purtroppo il governo D’Alema ha fatto da apripista, svolgendo tutte le azioni preparatorie, dalla riforma della scuola e del mercato del lavoro, fino alla stessa devolution, poi portate a compimento con gli scempi del governo polista. Insomma, la cavalleria prima dell’esercito». Per non parlare del conflitto d’interessi: «Fu proprio Violante alla Camera, nel 2002, a ricordare la promessa di non toccare le sue tivvù». Eppure oggi Prodi dichiara: «sarò io a risolvere il conflitto d’interessi».
Musica per le orecchie di Sua Emittenza, che continua a intonare il leit motiv «chi comanda non è lui, ma D’Alema». Il quale - c’è da metterci tre mani sul fuoco - non ha alcuna voglia di risolverlo quel conflitto. Meglio continuare, invece, nella proficua strategia che dalla Bicamerale ha portato all’Inciucio Maximo, a base di velardismo off shore, in perfetto stile Cav. E’ lo stesso impavido Prodi a chiedere il cartellino rosso per Ferrando - prontamente accettato da un genuflesso Bertinotti - reo di aver rivelato che le truppe in Iraq sono di occupazione, italiani compresi. Intanto Fassino, sul nostro ritiro, ammicca: «potrebbero rimanere i carabinieri, dopo il 2006…». br>
Meglio chiedere il permesso a Bush. E vuoi vedere che l’ultimo, malefico parto dell’Inciucio è stata proprio questa legge elettorale che il Berlusca ha avuto gioco facile nel far digerire al suo avversario? Ma vuoi vedere che erano tutti d’amore e d’accordo nel più semplice dei meccanismi possibili, ovvero quello di resuscitare un proporzionale senza preferenze, per poter scegliere tutto intorno a un tavolo, senza il fastidio, per i candidati, di dover aspettare con trepidazione lo spoglio delle schede?
«E’ tornata in pieno la cultura partitocratrica senza i partiti», è un altro commento di Occhetto. I partiti, infatti, sono morti e sepolti. Esistono solo delle congreghe, massonerie bianche in grado di stabilire tutto sopra la testa di tutti, con un bel vaffanculo ai cittadini e alla loro speranza in un qualche scampolo di democrazia. Così il voto è già impacchettato: qui i Ds ne prendono 12, lì la Margherita 9, qua Forza Italia 11 e An 7. Le elezioni, quelle vere, si sono già fatte: per la graduatoria, per la famelica ricerca del posto più “in alto”. Il resto è briciole, il voto potrà solo in minima parte spostare quello che lorsignori hanno già pre-deciso.
E così tornano in campo i pezzi da novanta della prima repubblica, Pomicino e l’amico Conte sotto i vessilli della Dc più Psi a mò di Dixan lavatutto, Scotti col rinato Cristofori per dar vita al Terzo Polo (non bastavano già quei due), l’Italia dei Valori (poveri noi) che fa campagna acquisti a scapito dell’Udeur e candida capolista De Gregorio, che dal festival della canzone napoletana fa il balzo verso palazzo Madama. E quei poveretti che non hanno ottenuto l’agognata candidatura? No problem. Anche per l’oncologo-telefonista Pino Petrella, «una grande risorsa del centro sinistra», secondo D’Alema, che gli ha già prenotato la poltrona di titolare della Sanità nel prossimo governo. Sono le segreterie a dominare la scena? Le oligarchie? Nemmeno. Siamo al basso, bassissimo impero. La Napoli siamo noi di Giorgio Bocca, ormai, è quasi Londra…