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Ogni gesto, ogni parola orientano la nostra strada nel cammino misterioso della vita

di Francesco Lamendola - 22/05/2009


Generalmente noi dividiamo i gesti, le parole, i pensieri e, insomma, tutto ciò che viviamo, in due grandi e frettolose categorie: quella delle cose importanti e quella delle cose insignificanti. Nella prima mettiamo gli incontri decisivi della nostra vita affettiva e sentimentale, i momenti fondamentali della nostra carriera professionale, i traslochi e i trasferimenti, che hanno impresso una svolta alla nostra esistenza; nella seconda, le cose ordinarie, le cose quotidiane, quelle che si perdono nel mare indistinto di cui è fatto il sottofondo della nostra vita.
Tutt'al più, con l'aiuto di quella forma di magia nera che è la psicanalisi, ci sforziamo di riportare in superficie una terza categoria di eventi, quelli che credevamo di avere dimenticato, ma che, in realtà - a giudizio degli stregoni laureati sul Vangelo di Freud - hanno inciso in profondità, e a nostra insaputa, sul nostro mondo interiore; e così, con il loro aiuto, estraiamo dal fondo torbido e fangoso dell'inconscio quei traumi infantili, che avevamo debitamente rimossi.
Ma la verità è che la ripartizione degli eventi in «notevoli» e «insignificanti» (che la psicanalisi non contesta, poiché si limita a proporre una ridistribuzione dei primi rispetto ai secondi) è frutto di una semplificazione che noi operiamo «a posteriori»; di una razionalizzazione «a posteriori». In effetti, nella vita di un individuo non esistono fatti di serie A e fatti si serie B (o C), perché, anche se è certamente vero che esistono dei fatti più rilevanti di altri sul piano emozionale, è altrettanto vero che nessuno può esprimere un giudizio sull'importanza di un evento, e sia pure sulla sua importanza relativa, fino all'ultimo giorno di vita del soggetto che l'ha esperito.
Quel che vogliamo dire, è che un evento somiglia ad un seme affidato alla terra. A seconda delle circostanze, esso può germogliare presto, o molto tardi, o mai: nessuno può avere la certezza assoluta, né al momento della semina, né al momento della mietitura, che quel determinato seme darà vita ad una pianta. Un evento, sul momento, può passare inosservato, scivolando insieme a mille altri, apparentemente insignificanti; poi, a distanza di giorni, mesi o anni, può accadere che esso acquisti una risonanza enorme, tanto da contribuire in maniera decisiva all'orientamento della vita di quell'individuo; cosa che, sul momento, era assolutamente imprevedibile.
La gerarchia delle migliaia e migliaia di eventi, grandi e piccoli, di cui è intessuta la vita di un essere umano, non può essere stabilita in base ad un criterio estrinseco; anzi, sarebbe forse più esatto parlare non di una gerarchia, ma di una rete strettamente interrelata, di un sistema di vasi e capillari che s'irradiano in tutte le direzioni, s'intrecciano, si accavallano e si influenzano reciprocamente, anche in maniera retroattiva, secondo leggi misteriose e inafferrabili, che una filosofia materialista e meccanicista non può attribuire che al caso; ma il fatto che noi non riusciamo a comprenderle non significa affatto che non siano regolate secondo un principio superiore ben definito.
L'aspetto caotico, magmatico, apparentemente dispersivo delle esperienze che si accumulano nella coscienza (di nuovo, una filosofia materialista direbbe: nelle circonvoluzioni cerebrali; scambiando l'organo per la funzione), potrebbe dipendere non dalla loro realtà intrinseca, ma dall'incapacità della coscienza stessa di leggerle e interpretarle secondo un codice conveniente: più o meno come accadrebbe ad un cane o a una scimmia i quali, trovandosi in presenza di una scultura greca, non possiedono gli strumenti per vedere in essa altro che una pietra di colore bianco, in cui a stento, forse, possono ravvisare una figura umana; mentre tanto la somiglianza, quanto il significato del manufatto, risultano evidenti per un osservatore della nostra specie.
Sia come sia, caso o piano preordinato, la rete innumerevole delle esperienze, delle emozioni, dei pensieri, occasionata da eventi specifici, cresce come un albero gigantesco che continua a ramificarsi, gettando sempre nuovi germogli e arricchendosi di milioni di foglie, ciascuna delle quali può avere una risonanza sulle altre.
Ogni gesto, ogni parola nella vita umana, sono suscettibili di maturare in silenzio e di riemergere, magari a distanza di anni, imprimendo nuove direzioni a quella vita, orientandola verso nuove scelte, spalancando nuovi orizzonti. Nessuna esperienza, per quanto minima, scivola nel nulla; tutte vengono depositate in qualche piega della coscienza e, al momento opportuno, si ripresentano in maniera più o meno esplicita, sollecitando tasti quasi dimenticati e traendo dall'anima armonie inimmaginabili.
La nostra coscienza custodisce, nel tesoro della memoria, tutti gli istanti della sua vita; la memoria, a sua volta, non è paragonabile ad una immensa, polverosa biblioteca o ad un archivio, nei cui schedari si accumulano i faldoni delle esperienze passate: bensì a un luogo vivo, vibrante, ove il confine tra presente e passato tende a sfumare, e la realtà dei singoli eventi si trasforma in un eterno presente, che è la vita più vera e profonda dell'anima. Una vita, cioè, che va al di là del tempo e dello spazio, e che supera gi angusto confini della mente concettuale.
Le storie dei padri del deserto ci narrano come Pacone, monaco di Scete, a più di cinquant'anni fu tentato dal demonio, il quale aveva assunto l'aspetto di una ragazza etiope che egli aveva visto in gioventù, mentre spigolava in un campo. Ecco un esempio di come una esperienza quotidiana, in se stessa banale, può ripresentarsi con forza straordinaria a distanza di decenni. Che cosa si può immaginare di più comune dello spettacolo di una donna intenta a spigolare in un campo, nelle regioni rurali dell'Egitto tardo-antico? Eppure, un uomo non più giovane, che aveva fatto una scelta di vista estremamente rigorosa, «rivede» proprio quella donna che, ai tempi della sua infanzia, gli era apparsa e, forse, lo aveva oscuramente turbato.
Ciascuno di noi può facilmente rendersi conto, riandando indietro con la memoria, di come fugaci esperienze infantili si siano segretamente depositate nella coscienza e abbiano prodotto risultati importanti, influenzando scelte e orientamenti dell'età adulta.
Un bambino di forse otto anni, durante una passeggiata con papà, si imbatte in qualche cosa che lo colpisce profondamente. Il padre gli ha comperato un giornalino per ragazzi e, poi, i due si sono seduti al tavolo di un bar; sfogliando la rivista, il bambino trova una pagina di argomento storico che lo affascina, e si immerge nella lettura e nella contemplazione delle illustrazioni.
«Culqualber», un nome strano ed esotico, un nome mai sentito (1): il bambino non capisce bene nemmeno dove si trovi quel luogo, sa solo che è in Africa; ma che emozione, leggere della disperata battaglia che un pugno di eroici soldati italiani vi ha sostenuto contro soverchianti forze britanniche ed indigene, facendosi uccidere fino quasi all'ultimo uomo, pur di non arrendersi! E come rimane colpito da quel particolare altamente drammatico, di un ufficiale inglese che, ammirato dal valore del nemico, giunge al punto di fare scudo col proprio corpo ad un ufficiale italiano, contro il quale sta per abbattersi la lancia di un gigantesco Sudanese!
Poi il papà finisce di bere il suo bicchiere di vino, i due si alzano e tornano a casa: niente di eccezionale, un pomeriggio assolutamente comune della tarda primavera o sul principio dell'estate. Anche quella lettura viene presto dimenticata; e il giornalino, chissà dove va a finire. Pure Culqualber viene dimenticata: ci sono le vacanze imminenti; le corse all'aperto, con i compagni di giochi; e, poi, qualche giorno di vacanza con la famiglia, in un albergo in riva al mare… Tuttavia  quel bambino, nel giro di pochi anni, matura un interesse straordinario per la storia, un interesse che non lo lascerà più, fino alla laurea e oltre, per sempre… Culqualber è stata dimenticata: ma, come uno strumento a orologeria, ha prodotto i suoi effetti decisivi, negli anni a venire.
Finché, un giorno, tanto tempo dopo, quell'uomo -  che, come il monaco Pacone di Scete, ha passato i cinquant'anni - si ricorda del lontano pomeriggio con suo padre, del giornalino illustrato, dell'articolo di argomento storico: rivede tutto, compreso quel bar nella viuzza della città vecchia, una viuzza pedonale, percorsa solo da qualche rara bicicletta.
E chissà che quel singolo episodio, in apparenza insignificante, abbia contribuito non solo a destare nell'animo di quel bambino la passione per la storia, ma lo abbia aperto anche ad altri sentimenti, di carattere più ampio e spirituale: come il rispetto e l'ammirazione per il valore, anche se sfortunato; il senso del dovere da compiere, se necessario fino al sacrificio di sé; la coscienza che l'unica battaglia veramente perduta è quella in cui non si crede e in cui non ci si impegna sino in fondo…
Tali sono le dinamiche insospettabili della coscienza: non esistono eventi neutri, che scorrano via senza lasciar traccia; tutti sono importanti, tutti sono presenti. Rimane peraltro inafferrabile il meccanismo per cui taluni emergono prima, altri dopo; ma non vi è un solo evento della coscienza che non sia significativo per la vita futura dell'individuo.
Alla luce di tutto questo, bisognerebbe riflettere sulla estrema serietà e sulla estrema importanza di tutto quello che pensiamo, diciamo, facciamo, specialmente quando siamo in relazione con i nostri simili.
Le implicazioni di quanto siamo venuti dicendo sono particolarmente notevoli nell'ambito del processo educativo. Quello che noi diciamo o facciamo - e anche, ovviamente, quello che NON diciamo e quello che NON facciamo - esercita un influsso sugli altri, che ci piaccia o no: e dobbiamo esserne consapevoli. Non esistono azioni neutrali, non esistono azioni che scivolino via senza lasciare qualche traccia. Abbiamo una responsabilità: e, se è evidente che non possiamo essere considerati responsabili per TUTTE le conseguenze che le nostre parole e le nostre azioni potrebbero avere su quanti ci stanno intorno, è altrettanto chiaro che dovremmo sforzarci di agire sempre in modo responsabile, così da evitare di dare deliberatamente occasioni di sconcerto o di cattivo esempio, specialmente ai più piccoli.
Questa è, se si vuole, la serietà della vita: che nessuna nostra azione, nessuna parola, per quanto frivola, è priva di peso specifico: a maggior ragione, non lo sono i nostri comportamenti continuativi o i nostri discorsi ricorrenti.
Tutto questo implica una notevole responsabilità da parte di ciascuno; ma, per un altro verso, è profondamente consolante. Significa, infatti, che anche i gesti più piccoli di affetto, di comprensione, di solidarietà o di amore, non sono destinati a scivolare nel nulla; ma che tutti, prima o dopo, possono dare luogo ad effetti benefici. Uno sguardo compassionevole, una carezza, una frase d'incoraggiamento, possono maturare nell'ombra e poi sbocciare in un magnifico fiore, illuminando la vita di qualcuno.
Così, giorno dopo giorno, anno dopo anno, il gigantesco albero continua a crescere e ad emettere nuove gemme e nuove foglie, che stormiscono nel vento profumato, con il suono di milioni di piccole mani che applaudono al superbo spettacolo della vita.
La psicanalisi, partendo dallo studio della psiche malata, ha costruito un'immagine dell'uomo orribilmente deformata, e un modello dell'infanzia popolato di spettri erotici e criminali e funestato da pulsioni d'incesto e parricidio (o matricidio); spettri e pulsioni destinati a logorare la vita psichica, a farla precipitare nella nevrosi o nella schizofrenia. Al contrario, noi pensiamo che l'infanzia sia popolata anche da innumerevoli immagini splendenti e amorevoli, da infinite piccole luci destinate ad accendersi, per rischiararci il cammino negli anni dell'età matura, e fino all'ultimo giorno della nostra vita.
Si tratta di comprendere la ricchezza, la bellezza e la grandiosità di questo bagaglio di eventi che formano, un tassello dopo l'altro, il mosaico della nostra esistenza; di riconoscervi, se possibile, un disegno, alla luce della chiamata cui ciascuno, individualmente, è chiamato; di saper esprimere gratitudine per tutto quello che abbiamo ricevuto, anche per le cose apparentemente insignificanti, ma suscettibili di produrre benefici e duraturi effetti nel corso del tempo.
Non è giusto evidenziare solo le cose negative e lamentarsi continuamente per quello che la vita non dà, quando non si possiedono occhi per vedere tutti i doni da lei ricevuti: la colpa di una tale distorsione prospettica non è della vita, ma del nostro sguardo.
La vita è più generosa di quel che non siamo disposti ad ammettere o che tanti cattivi maestri, come gli esistenzialisti alla Sartre o poeti grandi, ma irriconoscenti, come Montale, hanno creduto ed  insegnato.
Ed è anche più saggia, probabilmente, di quanto tutta la nostra filosofia ultra razionale possa immaginare: perché c'è una ragione, anche se non sempre la cogliamo, affinché ogni singolo evento produca una determinata foglia.
Lo si capisce dal meraviglioso stormire dell'albero, con la sua immensa chioma lucente, nell'aria fresca della sera estiva …

(1) Presso la Sella di Culqualber si combatté, dal 6 agosto al 21 novembre 1941, uno degli episodi risolutivi della battaglia di Gondar, nell'Africa Orientale Italiana: due compagnie di carabinieri, una di zaptié  e un battaglione di Camicie Nere tennero testa, combattendo fino all'estremo, a una forza britannica dieci volte superiore di numero (circa 20.000 uomini).