La moria dei ciclisti e il Paese cafone
di Debora Billi - 27/05/2009
Altissimo il rischio di mortalità per chi pedala, superiore al rischio moto. Ovviamente, non in tutto il mondo è così. I luoghi in percentuale più sicuri sono quelli dove circolano più ciclisti. E in Italia? Centinaia di morti ammazzati e milioni di feriti. Il solito Paese cafone…
In Italia i ciclisti non possono pedalare sicuri
Chiunque sia stato in Olanda sa perfettamente che ci sono bici ovunque. Mamme coi bimbi, anziani, adolescenti con l'iPod, belle ragazze, andare in bicicletta non è considerato cosa da poveracci che non possono permettersi il SUV o lo scooterone, come accade invece nel nostro Paese cafone. E il turista italiano si scandalizza persino per la "sfacciataggine" dei ciclisti, che sfrecciano noncuranti a tre centimetri dal malcapitato pedone. Che maleducazione! Probabilmente non riusciamo a ricordare che qui da noi la stessa maleducazione, la stessa prepotenza è esercitata dagli automobilisti che, padroni della strada, si sentono in diritto di sfoggiare i loro mezzi frutto di dura conquista sociale terrorizzando ogni "sfigato" pedone si pari loro davanti. Figuriamoci il ciclista.
E così, scopriamo che la morìa è probabilmente legata al solito problema dello status sociale. Vale ovviamente il discorso della politica, che scoraggia l'uso di qualsiasi altro mezzo non siano le quattroruote e possibilmente autarchiche (Fiat), ma come per moltissimi altri temi l'opinione pubblica la si forma dando e togliendo patenti di status symbol.
Lo sfacciato ciclista olandese è sicuro di sé, della sua protezione sociale, del suo posto in una società che valorizza l'ambiente e l'indipendenza energetica. Viceversa, il povero biciclettaro italiano condannato a morte certa vive nel terrore dei furgoni a 4 ruote motrici che lo considerano uno sfigato invisibile. Prima o poi, ripone il mezzo o lo riserva a gite domenicali, gettando la spugna.
Siamo in un Paese "libero" d'altronde, abbiamo scelto così.
Articolo di Debora Billi tratto da Petrolio