Ecco due libri per capire come funziona la società dei consumi.
Il libro di Juliet B. Schor, Nati per comprare. Salviamo i nostri figli ostaggi della pubblictà (Apogeo, 2005 pp. 291, www.apogeoline.com), ricercatrice della Boston University è importante per scoprire come la pubblicità sia ormai diventata un elemento della socializzazione infantile. Secondo le sue ricerche il bambino americano medio a 18 mesi è capace di riconoscere i loghi pubblicitari, e a due anni di chiedere ai genitori prodotti pubblicizzati in televisione, con parole proprie e indicandone "col ditino" la marca. Questo indica che negli Stati Uniti la pressione sociale al consumo sui bambini è fortissima. Il che implica enormi investimenti nel marketing per l'infanzia. Ad esempio, alcuni canali televisivi, come Channel One, hanno stipulato accordi con le scuole primarie, scambiando la fornitura di materiale audiovisivo e attrezzature con la visione obbligatoria, nei luoghi di ricreazione se non addirittura in classe, di dieci minuti giornalieri di pubblicità. La Schor esamina anche il rapporto, purtroppo di causalità diretta, tra bombardamento pubblicitario e comportamenti antisociali. Dal momento che i bambini sottoposti a stress da acquisti forzati, non crescono in ambienti familiari sani e creativi, ma mercificati e votati "istituzionalmente" al culto del possesso. E ciò accade a prescindere dalla qualità e dal livello del reddito familiare. In tal senso si può parlare per il bambino medio americano di una vera e propria perdita dell'infanzia. Il "disadattamento" da stress pubblicitario non potrà perciò non avere pesanti conseguenze sul futuro della società americana. Queste le pessimistiche conclusioni dell'autrice. Sarebbe molto interessante condurre un analogo studio sulla situazione dell' infanzia europea italiana, per individuare, si spera, possibili dissonanze con la realtà americana, e comunque, eventuali rimedi.
Il testo di James F. English, The Economy of Prestige. Prizes, Awards, and Circulation of Cultural Value (Harvard University Press, 2005, pp. 409 www.hup.harvard.edu/catalog/engeco), professore di letteratura della Pennsylvania University, è utile per scoprire i meccanismi che regolano l'industria culturale. L'autore riprende e sviluppa le tesi sul "capitale sociale" del sociologo francese Pierre Bourdieu. I premi letterari, artistici, cinematografici, musicali, eccetera, sono studiati come meccanismi riproduttivi di un valore economico che attribuisce, moltiplicandosi, a vincitori, produttori e organizzatori, un enorme potere sociale analogo a quello degli oligopoli di mercato. Di qui la necessaria "commercializzazione" a ogni livello del "valore sociale di riproduzione" del "bene sociale-premio" Un processo che si estende a tutti. Anche agli stessi avversari del consumismo culturale. I quali, pur istituendo "contropremi" e "controfestival", finiscono inghiottiti, appena le "contromanifestazioni hanno successo (e l'autore cita, tra gli altri, il caso del "Sundance Festival") nel circuito mediatico della commercializzazione e della riproduzione del valore sociale di mercato. L'analisi di English non assume mai alcun connotato moralistico, ma pecca probabilmente di economicismo (come del resto anche l'analisi del suo maestro Bourdieu; notevole a riguardo la polemica, tutta francese, negli anni Ottanta tra Bourdieu e Alain Caillé...). Si tratta, comunque, di un libro interessante perché documentatissino e ricco di informazioni, in particolare sull' industria anglo- americana dei premi. E di cui si raccomanda la traduzione italiana.