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Lode al grillo, minuscolo signore del regno incantato delle notti estive

di Francesco Lamendola - 29/05/2009


Vi sono delle notti, nella tarda primavera e soprattutto in estate, che hanno qualcosa di indefinibilmente inquietante, quasi di minaccioso.
Non è facile dire, sul momento, a che cosa sia dovuta una tale sensazione. Si esce in terrazza, o in giardino, o in strada; e, se si ha la fortuna di vivere in campagna, o comunque lontano dal centro cittadino, si percepisce un'atmosfera di sospensione, addirittura d'irrealtà: come se un elemento estraneo e assolutamente incongruo fosse penetrato fra gli orti e i giardini, si fosse acquattato tra le chiome degli alberi o dietro le colline che chiudono l'orizzonte.
Se ne avverte la presenza, ma a un livello di consapevolezza solo parziale; e ci si chiede se, ad esempio, quell'elemento alieno possa avere a che fare con la luna nuova e con l'insolita, profonda oscurità che avvolge le cose, magari accompagnata da un cielo basso e nuvoloso che nasconde le mille luci amiche della volta stellata. Ma poi, riflettendo meglio, ci si rende conto che non si tratta di questo, che deve essere qualcosa d'altro; ma che cosa?
Ed ecco, di colpo tutto appare chiaro: si tratta del silenzio. Un silenzio grave, pesante, decisamente innaturale.
Ma chi o che cosa dovrebbe rompere il silenzio, a quest'ora della notte, quando le rondini e ogni altro uccello sono già rientrati da un pezzo ai propri nidi, e solo il fruscio attutito di qualche isolato pipistrello potrebbe sbucare dal buio ogni tanto, per poi subito immergervisi di nuovo e scomparirvi, così com'era venuto?
Non c'è dubbio: si tratta dei grilli. I grilli, questi minuscoli signori di un regno incantato dai confini inafferrabili, la freschezza profumata delle notti estive: questi cantori prodigiosi e infaticabili, che con lo sfregamento delle elitre riempiono di gioia e di vita la profonda oscurità e lanciano incessanti segnali d'amore, che erompono da cento diverse direzioni.
È così che la notte d'estate, grazie al grillo, acquista profondità e spessore; è così che i suoi orizzonti si dilatano oltre i confini del visibile, si espandono illimitatamente, creano l'illusione dell'infinito, dell'eterno. Finché la notte risuona delle loro cento e cento armonie, sembra che nulla potrà mai finire: e la vita, simile a una dolcissima pesca matura, continua a suggerirci le sue lusinghe lievi e inafferrabili, sopravanzandoci sempre d'un passo.
Nel buio e nella pace delle notti estive, quando l'erba ondeggia nei campi al soffio leggero della brezza e par che frema sotto le languide carezze di un amante senza volto, il coro innumerevole dei grilli, che mai non rallenta e mai non diminuisce d'intensità, canta come ebbro la canzone della vita, della gioia, dell'ardore; di tutto ciò che ridesta nell'animo pensieri freschi e generosi, di tutto ciò che accende in cuore la nostalgia di una felicità lontana.
Le notti estive sono tanto esuberanti e gioiose, allorché le rallegra il canto scatenato de grilli, che talora si fa quasi assordante - e riempie di stupore il pensiero che l'artefice di un tale concerto sia un insetto così piccolo e apparentemente fragile -, quanto si rivelano cupe e quasi lugubri, se il minuscolo signore del prato, dalle elitre instancabili, le diserta e tace.
Soltanto la lucciola, creatura quasi mitica che porta ondeggiando la sua esile, commovente luce nelle serene notti d'estate, può contendere al grillo l'assoluta signoria di quel mondo incantato che pare alludere ad altri spazi, ad altri orizzonti, ad altre felicità.
È difficile dire perché, in certe notti, i grilli tacciano, così, tutti insieme, come se si fossero passata la voce da un nascondiglio all'altro, da una zolla all'altra. Forse dipende dalle condizioni atmosferiche, dal sopraggiungere di un'area di bassa pressione che preannunzia - ma agli umani ne sfuggono, sovente, gli indizi - un temporale in piena regola, o un acquazzone violento ed improvviso.
In genere, i grilli tacciono nelle calde notti che presagiscono un brusco cambiamento atmosferico, quando il cielo è rigato dall'albero splendente dei fulmini lontani, che brillano per un paio di secondi e poi si spengono, senza nemmeno portare l'eco del tuono.
Ma quando i giorni e le notti della bella stagione si susseguono senza mutamento, e scorrono via intrecciandosi gli uni alle altre come i fiori di una ghirlanda profumata, allora, sul fare del tramonto, il concerto dei grilli si accende e si propaga da ogni prato, da ogni albero, da ogni vigneto o frutteto, da ogni orto o fazzoletto di terra.
Ed è un concerto possente, intrepido, baldanzoso, che non conosce pause o stanchezze, che non s'indebolisce mai, neanche per un istante; ma prosegue sempre uguale, fino alle prime ore del mattino, quando, finalmente, si placa e si azzittisce.
Nell'ora in cui le fate ed i folletti ripongono le loro minuscole bacchette magiche e scivolano, anch'essi, nel sonno, sulle foglioline bagnate di rugiada o nei calici dei fiori pensosamente ripiegati su se stessi, poco innanzi il primo chiarore del mattino, anche i grilli si lasciano andare al sonno e sospendono, temporaneamente, il loro coro straordinario; e una quiete carica di raccoglimento e trepidante di attesa scende sulla campagna, propiziando i primi raggi di sole del giorno che sta per sorgere.
E quando, infine, il mattino erompe vittorioso, e una leggera foschia, diradandosi, lascia apparire il rigoglio della vegetazione, mentre le cose riemergono dal sogno voluttuoso della notte, una struggente nostalgia sembra indugiare fra l'erba e lungo i corsi d'acqua: la nostalgia di un perduto bene inestimabile, e quasi l'incredulità per la sua repentina scomparsa.
Di colpo ci si sente soli, ci si sente quasi abbandonati: divenuti orfani non solo delle meraviglie della notte, ma anche della parte più profonda e misteriosa di se stessi; di quella parte ove maturano, in segreto, i presentimenti di ciò che la lingua non sa esprimere a parole, e che la mente non sa formulare in pensieri netti e precisi, ma verso cui l'anima aspira con slancio irrefrenabile e con intatta freschezza.
Pure, la lunga giornata estiva sembra promettere che, al coricarsi del sole, sarà di nuovo tutto vero, come il rinnovarsi di un incantesimo arcano: di nuovo cesserà lo stridio delle rondini e si accenderanno le stelle, una ad una; di nuovo un mantello color della notte si poserà sulle colline e sui giardini, accarezzandoli e cullandoli dolcemente; di nuovo le piccole creature addormentate sui fili d'erba e sui petali dei fiori si ridesteranno, e intrecceranno danze nel lume argentato della luna.
E, su tutto, di nuovo si leverà il canto del grillo, il minuscolo signore del regno fatato delle brevi, ma intense notti estive.
Coraggioso e commovente, quel canto si spanderà nel buio, riempirà ogni orecchio e ogni cuore, colmerà l'anima di dolcezza e di una infinita tenerezza, mentre le grandi foglie della catalpa oscilleranno nella brezza lieve e le fronde del sambuco e dell'acacia stormiranno e si protenderanno le une verso le altre, per darsi la mano ed abbracciarsi in silenzio.
Benevoli, gli spiriti dell'aria si incontreranno con quelli dell'acqua e della terra; e si sorrideranno nell'ombra sulle rive del fiume, là dove la corrente s'increspa in mille scaglie di luce e le foglie del pioppo cipressino, tremolando sui loro lunghi piccioli come minuscole mani innumerevoli, faranno cenno a quelle del salice piangente, che si chinano pensose e malinconiche per abbandonarsi alle carezze del ruscello, che scorre placido sotto di esse.
Il mirto sussurra parole d'amore al lauro, e la fragile tamerice alle fronde eleganti della felce maschio: come se ogni pianta, ogni arbusto, ogni fiore, nella notte tiepida di mezza estate, profumata di menta e di lavanda, si animasse di una vita segreta e misteriosa, che sfugge completamente allo sguardo distratto degli umani, ma che è in perfetta sintonia con la gioiosa vitalità delle fatate creaturine del bosco.
Intanto il canto del grillo si spande trionfante da ogni dove, vicino e lontano, come il gioioso richiamo ad una più piena aderenza alle cose, ad una più perfetta fusione di noi con la totalità, con l'Essere da cui ogni cosa è scaturita e al quale ogni cosa anela a ritornare.
Sia lode al grillo, il cui canto riempie di armonia, di forza e di bellezza ogni momento delle notti estive cariche di effluvi, e penetra nei recessi più profondi dell'anima, facendola sussultare e trasalire; lode al piccolo, al minuscolo signore del crepuscolo, che intona la sua canzone vigorosa mentre il sonno appesantisce le ciglia degli umani, e riempie i loro cuori affaticati con il balsamo della speranza e del conforto.
Lode al grillo, minuscolo nocchiero di una navigazione oscura e pericolosa, che, per richiamare la femmina nelle tenebre fitte ove giace insonne, non esita a segnalare la sua presenza ai predatori notturni, esponendosi ad un rischio mortale.
Non gioca al risparmio, non cerca di nascondersi, di occultarsi; non gl'importa di vivere più a lungo, pur che possa diffondere per l'aria il suo trillo instancabile, obbedendo ad un istinto della vita che è più forte dello stesso pericolo di morte.
Quanti esseri umani potrebbero vantare il suo stesso coraggio, la stessa tenacia, la medesima perseveranza? Ben pochi, in verità.

Un poeta delicato e schivo, oggi messo in soffitta dal radicale cambiamento del gusto, il milanese Clemente Rebora (1885-1957) - professore di lettere, soldato nella prima guerra mondiale, poi traduttore dal russo e conferenziere, infine sacerdote dal 1936 -, ha descritto il commosso stupore che produce nell'anima il canto notturno dei grilli, paragonando la loro preghiera inconsapevole all'umana nostalgia dell'innocenza e della purezza dei primi anni di vita.

SERENATA DI GRILLI

O dei grilli in cadenza solitaria
ai poggi senza stelle
dentro il bagnato alitare dell'aria
tenui serenatelle!

Cos'è la vita con le sue rabbie a voi
persi nei solchi fuori
all'ombra inerte, o di silenzi a noi
dolcissimi cantori?

Anima intona la tua voce e nulla
non domandare più:
càntati la canzone della culla
mentre declini giù.

Non, però, con malinconia, non con un velo di tristezza, vogliamo congedarci dai piccoli amici del prato notturno, dai compagni del lento crepuscolo estivo, che intonano la loro festosa canzone allorché gli ultimi raggi del sole calante inondano d'oro e di porpora l'ultima striscia di cielo, lassù dietro le creste dei monti.
Quel trillo instancabile che si spande nel buio non reca soltanto la dolce impressione di non essere più soli, di essere in presenza di tanti piccoli, invisibili compagni di viaggio; ma suggerisce anche all'anima pensieri vasti e profondi, evoca ricordi dimenticati ed apre prospettive armoniose e solenni, come di un fiume dalle acque terse che, accompagnato da filari maestosi di pioppi, scorre all'infinito nella verde campagna.
Lode al grillo, dunque, che ci restituisce alla nostra vera, profonda umanità; che, talvolta, nei momenti di scoraggiamento, getta riflessi di luce entro la notte dell'anima.