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Dobbiamo recuperare una percezione qualitativa del mondo, come nell'infanzia

di Francesco Lamendola - 05/06/2009


Ci siamo chiesti molte volte che cosa, precisamente, conferisca quella caratteristica sensazione di unicità e irripetibilità a episodi e momenti dell'infanzia di per sé assolutamente normali, assolutamente quotidiani; e perché mai quelli, e proprio quelli, talvolta si imprimano così profondamente nel vivo stampo della memoria.
Idealizzare il passato, abbellire i ricordi dell'infanzia, sono - infatti - cose piuttosto frequenti, e che avvengono a dispetto dei meccanismi coscienti della mente. Ma che dire di ricordi che si riferiscono a circostanze estremamente semplici, quasi banali, e che tuttavia permangono nella coscienza per anni e per decenni, con forza e freschezza apparentemente inspiegabili? Se si tratta di una forma di idealizzazione, che senso avrebbe, dal momento che non coinvolge né persone, né situazioni legate a passaggi significativi della nostra vita affettiva?
La spiegazione che ci sembra di poter avanzare è che la percezione del mondo propria dell'infanzia è di tipo qualitativo, mentre quella propria dell'età adulta è di tipo quantitativo. Di conseguenza, i ricordi dell'infanzia sono tutti - i piccoli non meno dei grandi, quelli intensi non meno degli altri - legati a una caratteristica tonalità spirituale che li rende unici, irripetibili, «magici» e, in qualche modo, indefinibilmente misteriosi; mentre i ricordi dell'età adulta, anche i più vividi e significativi, hanno un certo qual carattere di prosaicità e intercambiabilità, come se facessero parte di una scala musicale perfettamente nota.
In altri termini, riteniamo che, per il bambino, tutto, ma proprio tutto, sia unico ed eccezionale; che, per lui, tutto sia possibile, in qualunque momento: anche che la fata turchina o il principe sul cavallo bianco entrino da quella porta, ora, in questo istante. Perciò, tutte le esperienze che il bambino immagazzina nella coscienza, siano esse legate a fatti esteriori o interiori (una distinzione che, per lui, non è così netta come lo è per l'adulto), tendono a qualificarsi come estremamente significative, specialmente se si riferiscono a cose o persone conosciute per la prima volta.
Questa disposizione d'animo non ha l'equivalente nella vita dell'adulto, che tende a razionalizzare tutto e a quantificare tutto, collocando e incasellando le proprie esperienze nelle coordinate di spazio e tempo, ma sempre partendo da un assunto irrinunciabile: che alcune cose sono possibili e altre non lo sono, senza vie di mezzo; e che solo le cose possibili sono reali e meritevoli di essere prese seriamente in considerazione.
Per il bambino, invece (per il bambino normale, s'intende: ossia per il bambino cui gli adulti consentano di esplicare la propria sfera di attività secondo i ritmi naturali, senza forzature tecnologiche o precoci processi di razionalizzazione), tutto è fonte di stupore, perché tutto è scoperta. Per lui, è come se il mondo venisse creato sotto i suoi occhi, per la prima volta, ad ogni nuovo mattino in cui si leva il sole.
L'adulto non si stupisce più di nulla, crede di sapere già ogni cosa e dà tutto per scontato. La sua è una visione nominalistica della realtà (anche se, in genere, non se ne rende conto): siccome è in grado di dare un nome a tutto o quasi a tutto, magari con l'aiuto dell'enciclopedia o del computer, pensa che ciò gli conferisca la reale conoscenza degli oggetti: il che significa realmente fare il passo molto più lungo della gamba.
Il bambino, sovente, non conosce il nome delle cose; e tuttavia le «riconosce» con intuito infallibile, le incorpora nella propria esperienza, come se non ci fosse una vera distinzione tra esse ed il suo proprio io. Questa è una percezione qualitativa del mondo: che a torto può sembrare panteistica o, addirittura, animistica; mentre è semplicemente intuitiva ed emozionale, piuttosto che razionale e oggettiva.
Non sempre rimangono maggiormente impressi nella memoria gli eventi o le situazioni più carichi di potenziale affettivo; e si sa che il profumo è, più ancora della vista o dell'udito, il senso che più di ogni altro è in grado di evocare, attraverso i misteriosi processi della coscienza, la vivida potenza del ricordo.
È normale, ad esempio, che il profumo del rosmarino abbia la facoltà di spiccare fra tutti gli altri, se ad esso è legato il ricordo della nonna e dei pranzi che ella aromatizzava con quella pianta. Altrettanto normale è che l'odore della vernice fresca susciti nell'anima dell'adulto una dolce tempesta di emozioni, se il ricordo di un momento felice dell'infanzia è legato all'epoca in la casa ove si abitava da bambini era stata ridipinta.
Ma che dire di ricordi, o frammenti di ricordi, legati a sensazioni in se stesse prive di risonanza emotiva; e, più ancora, che dire di sensazioni che il bambino avverte con particolare intensità, e che conserva poi per tutto il resto della vita da adulto, benché si riferiscano a oggetti, persone o situazioni apparentemente del tutto ordinari?
Perché, ad esempio, un bambino è rimasto talmente colpito dalla curva del bracciolo di una panchina pubblica, da non poter mai più scordare quel particolare, in verità piuttosto insignificante, anche dopo moltissimi anni?
La risposta che ci sembra di poter dare è che quel dato oggetto si è impresso così profondamente nella memoria perché era diverso, e sia pure lievemente diverso, dagli altri oggetti di quella medesima categoria, noti al bambino; in altre parole, perché gli si è presentato in termini di novità, magari accentuata dal contesto emozionale complessivo (quella panchina era stata vista durante una vacanza, in una cittadina balneare, e quindi associata alle vacanze, al mare, ai giochi, alle lunghe giornate di sole, ecc.).
In effetti, tutto o quasi tutto, per il bambino dotato di normale fantasia - normale per gli standard dell'infanzia, s'intende, e non per quelli dell'adulto - si presenta con caratteri di novità; e, per ciò stesso, con una particolare tonalità emozionale, il più delle volte gioiosa, perché ogni scoperta reca all'anima un senso di appagamento e la inonda di benessere, nel momento stesso in cui la tiene dolcemente sospesa ai confini dell'ignoto: perché ogni vera scoperta rinvia sempre ad un ulteriore mistero, più grande ed affascinante del precedente.
Per l'adulto, cose e persone hanno cessato di essere misteriose; fanno eccezione i poeti, gli artisti e coloro che conservano la capacità di innamorarsi dell'altro perché non lo vedono, prosaicamente, così come appare a tutti gli altri, ma perché ne colgono al volo quel certo non so che di unico e irripetibile, che è legato al mistero dell'anima.
Tale caratteristica è propria dell'infanzia: i bambini non vedono le cose in una luce crudamente oggettiva, ma trasfigurate dalla luce interiore. Per il bambino che ama sua nonna, la nonna è bella, anche se il suo volto è pieno di rughe, i suoi capelli sono divenuti tutti bianchi e la sua figura è ormai cadente.
Il bambino sa vedere le cose- in una certa misura - come se fossero staccate dal tempo e dallo spazio, perché non le «vede» semplicemente con l'occhio del corpo, ma con quello dell'anima; la sua, dunque, è una percezione qualitativa del mondo, e non meramente quantitativa. «Bello» e «brutto» non sono, per lui, delle categorie estetiche oggettive ed estrinseche, ma forme del giudizio che scaturiscono da ragioni molto più profonde di quelle formulabili attraverso il pensiero calcolante.
L'adulto non è capace di tanto: non sa vedere con l'occhio interiore, se non in rare circostanze eccezionali.
Se concentra la mente sul proprio passato, è probabile che quasi chiunque riesca a cogliere il momento preciso in cui la propria percezione del mondo infantile, e quindi qualitativa, è divenuta una percezione adulta, e perciò quantitativa.
Noi lo abbiamo fatto e non è stato difficile. Un ragazzino, che da pochi giorni frequentava la scuola media inferiore, era rimasto affascinato dalla carta geografia dell'Europa, che il professore aveva fatto acquistare ai propri alunni in cartoleria. Quelle forme, quei vividi colori - il verde chiaro delle pianure, il giallo delle zone collinari, il marroncino delle montagne, più o meno carico, a seconda della loro altezza; il celeste e il blu scuro dei mari, sempre secondo la loro profondità: il tutto sulla superficie lucida della carta plastificata, ebbene ciò aveva avuto su di lui un impatto così forte e gioioso, così carico della sensazione della scoperta, che se ne era estasiato e camminava per la strada, meditandovi, quasi in stato di ebbrezza.
Quel ragazzino pensava che era stupefacente, e semplicemente meraviglioso, il fatto che tante nuove cognizioni potessero immagazzinarsi così, nella sua mente, l'una accanto all'altra; e che esse entrassero a far parte di lui, del suo mondo interiore, come dei nuovi amici che prima non c'erano. E quanto più le cognizioni apprese dallo studio di quella carta geografica gli si erano presentate con un aspetto di novità - e, quindi, di scoperta -, tanto più esse lo avevano colpito, con la forza di una rivelazione.
La Penisola di Kola, ad esempio, lassù, oltre il Circolo Polare Artico: la prima volta che il professore aveva pronunziato quel nome strano ed esotico, mentre il ragazzino seguiva con gli occhi, come ciascuno dei suoi compagni, il periplo delle coste del continente europeo, lo aveva folgorato con la potenza di una formula magica. Sulla carta geografica essa appariva come una terra dalla forma tozza, colorata di un verde molto chiaro, e, nell'interno, contrassegnata da tanti puntini verde scuro, i quali - come spiegava la «legenda», al margine del foglio - stavano a simboleggiare la superficie ricoperta dalla tundra.
Ora, camminando per la strada e ripensando alla scoperta eccezionale delle coste dell'Europa, quel ragazzino continuava a ripetere fra sé e sé: «La Penisola di Kola!»; e gli sembrava incredibile, commovente, il fatto che quella nuova cognizione fosse entrata a far parte del suo bagaglio, e che egli se la portasse dietro, per così dire, insieme a tante altre, delle quali poteva considerarsi ora il legittimo proprietario.
Strano!, a tanti anni di distanza, non solo quel monologo interiore é rimasto intatto nel ricordo di quella persona, ormai adulta, ma non uno dei particolari cui si accompagnava è andato smarrito, nonostante la povertà complessiva dei suoi ricordi. Egli potrebbe indicare il punto preciso della via lungo la quale stava camminando, nella sua città natale, allorché fu colpito da quella folgorazione, e ne ritrasse un'impressione indelebile.
Ebbene: quello è stato il punto di svolta tra la visione qualitativa dell'infanzia e la visione quantitativa dell'età adulta. Di infantile c'erano ancora la trepidazione, la gioia, il senso emozionante della scoperta di cose nuove; di adulto, la riflessione che su tali cose stava già operando la coscienza, la sua catalogazione di esse, la sua ingenua fierezza di essersi arricchita mediante il «possesso» di nuove verità, prima ignorate.
Quando la mente non si limita ad accogliere il mondo con infinita ammirazione e con stupita gratitudine, ma incomincia a riflettervi sopra e, soprattutto, ad operare una attività ordinatrice, volta a sistematizzare le nuove cognizioni all'interno di un quadro preciso e ben definito, vuol dire che si è passati dal regno dell'infanzia a quello dell'età adulta: dove non tutto è possibile, ma lo sono solamente alcune cose, e non altre.
Continuando con l'esempio precedente: per il bambino, che ascolti una fiaba in cui si dice, per esempio, che la fanciulla dovette camminare sulla neve per giorni e giorni, onde liberarsi dall'incantesimo della fata cattiva, e giunse fino alla remota Penisola di Kola, questo dato geografico: «la Penisola di Kola», non ha, per lui, una valenza spaziale precisa; potrebbe riferirsi a qualunque luogo, in uno spazio assolutamente indefinito, perché illimitato. Ma quando il bambino scopre, guardando la carta geografica, che la Penisola di Kola è un luogo geografico ben preciso, che si trova in un punto determinato della superficie terrestre: allora vuol dire che, per lui, l'infanzia è finita e sta incominciando l'età adulta.
A partire da quel momento, la persona non potrà mai più guardare al mondo con quello stupore assoluto di chi ritiene che ogni cosa è possibile, anche l'irrompere dello straordinario nella vita quotidiana; ma potrà ancora, mediante la creatività e la fantasia, adornare di lontananze misteriose le cose ormai note, ricoprendole come di un velo di poesia.
Del resto, la vera domanda che l'adulto dovrebbe porsi è questa: siamo proprio sicuri di conoscere realmente le cose, solo perché sappiamo dar loro un nome e collocarle con precisione in un contesto definito di spazio e di tempo?
Siamo proprio sicuri che, in questo senso, la nostra percezione del mondo, la percezione del mondo propria dell'età adulta, sia più veritiera, più adeguata, e insomma più «seria» e affidabile, di quella del bambino?
E non sono affatto domande relativamente oziose: ne va della qualità del nostro rapporto con il mondo, e quindi anche con gli altri esseri umani.
Siamo sicuri, perciò, che una persona sia solo quello che ci appare, sia solo un insieme di caratteristiche fisiche e psichiche; e che non vi sia invece, in essa, un mistero immenso, insondabile, tale da «far tremar le vene e i polsi» (ma non necessariamente in senso negativo), come a chi si affacci sul bordo di un abisso, in fondo al quale potrebbe occultarsi anche un tesoro d'incalcolabile valore?
Siamo sicuri che, spogliando i nostri rapporti interpersonali di ogni poesia, di ogni arcana risonanza, in definitiva di ogni fascino, potremo trarre da essi tutte le potenzialità che vi giacciono racchiuse; o non dovremo piuttosto accontentarci delle briciole, restando sulla porta come dei mendicanti, mentre al di là di essa vi sarebbe, a nostra portata, ogni ben di Dio?
Vale la pena di riflettere su questi interrogativi, almeno per qualche istante.
È chiaro che nessuno, nell'età adulta, potrebbe ritrovare l'intatto stupore davanti alle cose, che è proprio della fanciullezza.
Nondimeno, potremmo scoprire che quel bambino, come aveva intuito anche il Pascoli, forse è ancor vivo entro di noi, e ancora non ha smesso di stupirsi; ancora si protende verso di esse con infinita nostalgia, con infinita meraviglia, con illimitata capacità di fondersi con loro, penetrandone la misteriosa essenza.