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Democrazia alimentare e nuovi colonialismi

di Valerio Pignatta - 05/06/2009

L'espansione coloniale di alcuni paesi in Africa e in Asia sta provocando la dipendenza alimentare di questi ultimi a causa della loro estrema povertà. Nei paesi ricchi l'impatto sulle superfici coltivabili per l'allevamento è davvero insostenibile. Dove vogliamo arrivare?



 

deforestazione
La deforestazione è uno dei problemi più gravi che sta colpendo molti paesi del nostro pianeta
Un paio di mesi fa fece notizia sui vari media la dichiarazione del presidente della Coldiretti Sergio Marini che chiedeva ai G8 di prendere provvedimenti di fronte a un nuovo tipo di espansione coloniale di alcuni stati in Africa e in Asia. Vennero infatti forniti alcuni dati di questo fenomeno: stati asiatici in forte crescita demografica e industriale come Cina, Giappone e Corea del Sud ma anche paesi arabi con sistemi economici sempre più “sviluppati” come Qatar, Bahrein, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait vanno acquistando ampie superfici di terreni coltivabili in paesi poveri sia africani (i primi) che asiatici (i secondi) mettendo in condizione di dipendenza alimentare e squilibrando la bilancia del commercio estero di interi paesi che a causa dell'estrema povertà si svendono in cambio di presunti aiuti tecnologici di tipo agricolo.

 

Questi, però, poi si condensano in esportazione delle derrate alimentari prodotte nei paesi che possiedono le aziende agricole stesse. E le cifre di questo affare non sono piccole. Secondo alcuni calcoli gli agricoltori cinesi stabilmente insediati in Africa potrebbero arrivare a un milione entro il 2010. 14 le aziende agricole africane della Repubblica Popolare Cinese ripartite in vari paesi come Uganda, Zambia, Zimbabwe, Tanzania.

7,6 i milioni di ettari acquistati dai paesi “colonizzatori” all'estero nel 2008, pari a circa la metà della superficie coltivabile italiana.

La motivazione più evidente di questa moderna politica coloniale è quella di far fronte alla crisi mondiale con adeguate riserve alimentari, dato che molti di questi paesi dipendono in proporzioni diverse, ma comunque elevate, dall'importazione di generi alimentari (la Corea del Sud ad esempio vi dipende per più del 60%). Ovviamente la forte crescita demografica di alcuni di essi è un fattore altrettanto valido di spinta in questo senso.

Fin qui le informazioni dovute e il quadro delineato dai media.

Poi possiamo provare a fare delle riflessioni aggiungendo qualche altro dato.

 

allevamento
L'impatto sulle superfici coltivabili che hanno gli allevamenti è davvero enorme
La prima annotazione dolente che va fatta è che non ci sono citazioni da parte di Coldiretti del problema del consumo alimentare di carne nel mondo. Come dimostrano molti studi, un pianeta con miliardi di persone in costante aumento non può più permettersi di cibarsi in maniera sconsiderata di carne da allevamento. L'impatto sulle superfici coltivabili (e non) che hanno gli allevamenti è davvero enorme. La stessa quantità di superficie coltivata ad uso cerealicolo per umani consente rese in termini di sostentamento maggiori e produce meno danni ambientali. Testi ormai divenuti classici come Ecocidio di Jeremy Rifkin o The Food Revolution di John Robbins (solo per citarne due) hanno ampiamente supportato questa visione con una mole di dati scientifici considerevole.

 

Il World Watch Institute segnalava già nel 2001 che “Nell'America centrale e meridionale, l'allevamento è responsabile di quasi la metà della perdita di superficie della foresta pluviale”. (1)

Senza contare quando i terreni vengono usati per colture che producono biocarburanti. Anche in questo ambito ormai si sta sempre più facendo chiarezza. I dati sul risparmio effettivo di CO2 e sulla resa energetica con i biocarburanti non sono così entusiasmanti. L'inquinamento chimico del terreno dovuto alla coltivazione di queste piante e il consumo enorme di acqua necessaria depauperano il territorio (per produrre un litro di biodiesel servono 4000 litri di acqua tra irrigazione e processo chimico di trasformazione). Alcuni esperti delle Nazioni Unite hanno recentemente affermato che la coltivazione di colture per i biocarburanti rappresenta un crimine contro l'umanità.

 

ogm
Non aspettiamo che le multinazionali degli Ogm ci costringano a mangiare la pozione magica che stanno preparando
Va ripensato dunque il nostro rapporto col cibo. E su più fronti. I dati sullo spreco di alimenti nelle cucine delle famiglie occidentali (o con stile di vita simile) sono raccapriccianti. I nordamericani lasciano nei rifiuti ogni anno circa il 40% del cibo prodotto (ma anche qui i dati sono difformi e vanno secondo le fonti da un 25 a un 45%). In Italia secondo i dati della Onlus Last Minute Market finiscono nell'immondizia 4 mila tonnellate di cibo al giorno tra cui il 15% del pane e della pasta, il 18% della carne e il 12% di frutta e verdura. La media italiana di rifiuti di cibo ancora perfettamente consumabile è dell'11% (dati ADOC – Associazione per la difesa e l'orientamento dei consumatori). In Gran Bretagna la quantità di cibo che finisce nella spazzatura potrebbe sfamare circa 150 milioni di persone l'anno. La cifra di questo spreco è pari a cinque volte quello che la stessa Gran Bretagna spende in aiuti internazionali...

 

Quanti terreni in meno servirebbero se si avesse una maggiore coscienza del cibo e del proprio stile di vita?

Cosa stiamo aspettando? Che le multinazionali degli Ogm colgano l'occasione al volo implementando le loro “ragioni” e ci prendano per l'orecchio costringendoci a mangiare la nauseante pozione “magica” che ci hanno preparato?

Oppure ci aspettiamo che i potenti dei G8, o chi per loro, di punto in bianco superino il concetto di economia di mercato e di lauti profitti ai vincenti e condividano ciò che rimane del pianeta ex-azzurro con i fratelli africani e asiatici? Ci crediamo davvero nel fondo dell'animo?

Non è “per caso” solo una contagiosa rivoluzione del quotidiano quella che può sollevare in noi stessi la coscienza e nel mondo la sofferenza agli altri? I grandi “verbi” innovatori del passato che hanno portato un vento nuovo nell'umanità come si sono diffusi? Con i G8 d'altri tempi? Non mi pare proprio. Anzi. Sempre dal basso, checché se ne dica.

Zappiamo e seminiamo nel nostro pezzetto di terra, mangiamo vegetali, non sprechiamo e non ingrassiamo. Il resto si metterà in moto. Meglio lentamente ma durevolmente. In maniera orizzontale e non verticale. Perché la terra è di tutti.

 

(1) Halweil, Brian, “L'incremento numerico degli animali da allevamento”, in World Watch Institute, I trend globali 2001. Futuro, società e ambiente, Edizioni Ambiente, Milano, 2001, p. 45.