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“Parti collaterali”

di Nicoletta Forcheri - 05/06/2009

Fonte: stampalibera

 

4217_1065984885068_1089411954_30136810_1009533_nRicordate Mario Resca, colui che, nominato nel 2008 allla carica di Direttore generale dei musei, vice di Biondi, aveva sollevato un piccolo polverone sulla stampa perché dal 1995 al 2007 aveva ricoperto la carica massima -  presidente e amministratore delegato - della Mc’Donalds Italia? Venta un curriculum di tutto rispetto, tale da confermare i peggiori indizi di “meritocrazia” del paese: Presidente di Italia Zuccheri SPA, del Casinò di Campione Spa, vice presidente e joint venture partner di McDonald’s development Italia Inc. Lavora cioé per la dipendenza dallo zucchero, mortifero ingrediente della nostra alimentazione, per l’economia casinò di quel cuneo svizzero in Italia, su cui è stato (s)versato tanto inchiostro, e per  costellare  il paese  dello slow food con tante centrali operative dell’epigono mondiale di fast food e grande distribuzione. Parla di aprire infatti 378 McDonalds rispetto ai 10 attuali e a giudicare dalla formula di Grandi Stazioni, le stazioni ferroviarie parzialmente privatizzate dove i proprietari (Caltagirone, Tronchetti e Benetton) stanno piazzando le loro catene in franchising sfrattando gli edicolanti indipendenti, sicuramente è lecito chiedersi se all’interno dei maggiori musei non dovremo sfamarci con i famosi burger. Un’esperienza culturale del “value adding” come lo chiama, di dubbio “valore aggiunto”.

E poi dovete dirmi che c’azzecca il CEO di McDonald con i beni culturali e il patrimonio storico del belpaese?resca

Forse una risposta la si evince dal  suo curriculum da cui risulta, oltre alle altre cariche societarie di cui una alla Mondadori S.p.A.- in compagnia di Bruno Ermolli della JP Morgan, Roberto Poli presidente Eni, Umberto Veronesi, Marco Spadacini di Fondiaria, Cariplo, Axa -  la sua natura eminentemente finanziaria:  Senior advisor di “Oaktree Private Equity Fund”, di Finance Leasing s.p.s. e di ARFIN s.p.a..

Ohinoi, non vorrà mica introdurre la finanza nei nostri beni culturali? Di sicuro egli afferma che “pubblico e privato devono collaborare” per la “valorizzazione” o il “value adding”. Oddio! sobbalzo nel pensare a come. Forse ipotecando  il patrimonio, pardon! gli assets, e rendendo “redditizi” gli investimenti in conflitto di interesse con qualche sua finanziaria? O mettendo al centro dell’attenzione la soddisfazione dei “clienti”, come lui li chiama, non certo unicamente per ($de)formazione professionale.

Qualche perplessità per la nomina è stata lievemente espressa - ma non abbastanza - da alcuni onorevoli in una  interrogazione del 18/11/2008 dove si chiedono le motivazioni per tale scelta, e le intenzioni del governo per i musei che versano in condizioni pietose, peggiorate  dopo i tagli decisi l’estate scorsa del 17%  sul bilancio totale. Soprattutto, dicono i deputati, non servono  solo elevate competenze manageriali per l’incarico ma ci vuole un tecnico “con elevate competenze tecnico-scientifiche e un’autorevolezza riconosciutagli in campo nazionale e internazionale”. Invece è facile intuire come il campo di specializzazione del tecnico sia  probabilmente agli antipodi da quello richiesto da deputati e addetti.

I primi passi della sua onorata carriera, come da copione, si legge che li mosse  in una delle banche azioniste della Federal Reserve, la Chase Manhattan Bank, la banca dei Rockfeller dove, come altri suoi confratelli,  deve avere fatto  qualche giuramento di sangue  per servire indefesso certi interessi - non il bene pubblico, men che mai quello dell’Italia - in cambio di lauti compensi e carriera stratosferica, a giudicare dalle successive cariche: nel 1974 Direttore della Biondi Finanziaria (Gruppo Fiat) e dal 1976 al 1991 è partner di Egon Zehnder, amministratore della Lancôme Italia del Gruppo Versace, oltre che come tutti i paracadutati nel nostro sistema produttivo non poteva mancare la stampa: società del Gruppo RCS e Corriere della Sera.

È stato anche Presidente della Sambonet S.p.A., della Kenwood Italia S.p.A., socio fondatore della Eric Salmon & Partners e, soprattutto, Presidente della Camera di Commercio americana in Italia.

Come se non bastasse, e a conferma dell’infiltrazione della finanza rockfelliana nell’ex istituto pubblico di Mattei è anche consigliere indipendente dell’Eni S.p.A. da maggio 2002 dove esercita le funzioni in conflitto di interessi per “le parti collaterali” - leggere familiari - in società collegate, prassi molto diffusa ma apparentemente poco criticata con l’eccezione notoria per quel che riguarda il Premier e suoi collaterali e che funge da provvidenziale parafulmini per tutti gli altri innumerevoli casi, oserei dire sistemici (cfr articolo sotto).

Naturalmente Resca il ragioniere è stato insignito dalla mano invisibile del mercato - o degli Invisibles (?) -  con l’onorificienza di Cavaliere del Lavoro; anche il fratello superiore  David Rockfeller avrebbe ricevuto una onorificienza dal nostro governo. Non si sa per quali recondite benemerenze. Di certo, non è che si curino neanche tanto di dare una parvenza di logica o di motivazione.

Di cosa si devono giustificare d’altronde? Gli unti del signore sono bravi e basta e sono la dimostrazione vivente che la meritocrazia esiste,  anche se solo per loro.

A volte si cerca tanto lontano, a me sembra che la  mafiomassoneria ce l’abbiamo proprio in casa, in un istituto apparentemente anonimo come quello dell’onorificenza, forse massima esposizione pubblica di una premiazione simil massonico privata calata in un istituto dello stato, con tanto di pompa magna. Naturalmente parlo per ipotesi. Non ho le prove. Ho solo indizi. Ma non essendo giudice, quelli mi bastano… e avanzano.

Fatti concreti, non pompini, veline, favori agli amici con i quali la presunta opposizione ha solo dimostrato di essere della stessa pasta dell’oggetto da essa tanto ipocritamente biasimato.

Nicoletta Forcheri

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[fonte: http://phastidio.net/2009/06/03/lo-chiamavano-mercato/ ]

Lo chiamavano mercato

Quello che segue è un brano tratto da “La paga dei padroni“, il libro di Gianni Dragoni e Giorgio Meletti che dovrebbe essere adottato come testo obbligatorio nelle scuole italiane. Non focalizzatevi sui nomi dei protagonisti: non è rilevantissimo, e potreste sostituirli con quelli di altri grandi manager ed imprenditorti italiani, come potrete constatare leggendo il libro. Concentratevi piuttosto sui meccanismi adottati. Solo così potrete afferrare appieno la realtà del capitalismo predatorio (italiano e non solo, come dimostrano le vicende degli ultimi anni), e l’intima essenza del concetto di conflitto d’interesse, oltre a realizzare che il capitalismo ed il mercato sono altra cosa. A partire da un rigoroso e virtuoso disegno degli incentivi che, in un mondo ideale, sarebbe compito del legislatore.

Mario Resca, l’arbitro della retribuzione

 

«A questo punto vale la pena di conoscere Resca, l’uomo messo dal governo a vigilare sulla congruità delle buste paga di Scaroni. E’ un imprenditore da sempre molto vicino a Berlusconi e con un’attività poliedrica. Commissario straordinario del gruppo Cirio dal 2003 e consigliere d’amministrazione della Mondadori, è stato a lungo presidente di McDonald’s Italia, è presidente della società Italia Zuccheri e del Casinò di Campione d’Italia, è advisor per l’Italia del fondo statunitense Oaktree. Ma il dettaglio più curioso si trova a pagina 223 del bilancio consolidato dell’Eni per il 2007, dove si legge:

Si segnala inoltre l’acquisizione di servizi di ingegneria, di costruzione e di manutenzione da società del gruppo Cosmi Holding, correlato a Eni per il tramite di un componente del consiglio di amministrazione.
Che cosa significa correlato? E perché il bilancio fa questa segnalazione, sia pure seminascosta a pagina 223? Il linguaggio certo non aiuta a capire alcunché, e per arrivare al nocciolo del problema costringe ad una lunga investigazione. Si scopre così che una serie di norme, a partire dalla famosa legge Draghi del 1998, regolano i conflitti d’interesse introducendo alcuni obblighi di trasparenza. Per cominciare, le società quotate devono evidenziare gli affari con le “parti correlate”, ma è difficile trovare un bilancio che spieghi cosa sono. Bisogna allora andare a leggersi il regolamento della Consob n.11971 del 1999, per scoprire che le “parti correlate” sono società con cui ci siano stretti legami azionari (controllate, controllanti, collegate e via dicendo), o che siano connesse alla società in oggetto attraverso “familiari stretti” di consiglieri di amministrazione o importanti dirigenti.

 

Comunque è solo andando a leggere i regolamenti Consob che possiamo fare qualche deduzione, visto che il bilancio dell’Eni non dice (per rispetto della privacy?) chi sia il consigliere d’amministrazione “correlato” con Cosmi Holding. Ma il “libro soci”, consultabile attraverso la banca dati Cerved, che contiene tutte le notizie sulle società italiane, rivela che il 48 per cento della società è posseduto in parti uguali dall’amministratore unico, Sonia Resca, nata a Ferrara nel 1964 e da Milena Resca, nata a Ferrara nel 1970. Gli altri soci si chiamano Secondo Negri e Alba Vaccari. Sonia e Milena sono probabilmente “familiari strette” di Mario Resca, nato a Ferrara nel 1945. Per l’Eni le somme spese con la società dei Resca sono briciole, ma per Cosmi Holding sono significative.
“I rapporti commerciali, regolati alle condizioni di mercato, sono ammontati a circa 18, 13 e 18 milioni di euro rispettivamente nel 2005, nel 2006 e nel 2007″
dice il bilancio. Secondo i dati consultabili nella banca dati Cerved, il gruppo Cosmi Holding, che ha sede a Ravenna e 351 dipendenti, nel 2006 ha fatturato 49 milioni, e nel 2005 40 milioni di euro: il cliente Eni gli procura circa un terzo del giro d’affari.
Dunque l’attività di una società delle sue “familiari strette” dipende per quote importanti dalle forniture dell’Eni, dove Resca, qualificato come consigliere “indipendente”, presiede il “comitato remunerazioni” che propone al consiglio d’amministrazione gli stipendi con cui retribuire i top manager, tenendoli “in linea con quelli delle migliori prassi nazionali ed internazionali”. [...]
E’ possibile parlare di conflitto d’interessi, quando Resca si trova a sovrintendere al comitato che propone lo stipendio del capo di un’azienda che dà lavoro alla società delle sue “familiari strette”? Il giudizio è libero, e sicuramente nel capitalismo italiano si vede di peggio. Ma il punto è un altro. Questi comitati per le remunerazioni, costituiti all’interno dei consigli d’amministrazione, ai quali spetta comunque l’ultima parola, non danno mai l’impressione di volere, o potere, tenere sotto controllo gli stipendi dei top manager. E i risultati di questo atteggiamento sono sotto gli occhi di tutti»