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Identità e Comunità

di Manuel Zanarini - 28/06/2009

 

 

Domenica 31 Maggio scorso, si è tenuta a Varese, presso la festa organizzata dall'associazione “Terra Insubre” (www.terrainsubre.org), la conferenza “Federalismo, Identità ed Etnocultura in Europa”. Penso che tra i vari interventi, quelli più interessanti siano stati quelli di Pietrangelo Buttafuoco e del “nostro” Eduardo Zarelli.

 

Buttafuoco ha sottolineato come sia vitale fare un “carico” di Identità, e che bisogna “svegliare le coscienze”, allo scopo di “costruire la città della politica”. Questa è un'emergenza ancora più vitale oggi, dove assistiamo a una vera e propria resa identitaria dei popoli nei confronti dell'Europa dei burocrati. Bisogna che ogni comunità difenda la propria irriducibilità, opponendosi all'omologazione dilagante, sia esistenziale che politica. Purtroppo, allo scopo di mistificare tale bisogno vitale, viene squalificata la ricerca delle radici comunitarie col “pittoresco”; tipico è l'esempio siciliano, dove ai bambini delle scuole viene insegnata “Ciuri, ciuri”, ma non vengono mai portati a visitare la tomba dell'Imperatore Federico II. Il risultato di queste politiche globalizzanti è la cancellazione delle vere radici dei popoli, sostituite con quelle artificiali, come il cosiddetto “Occidente”, che cammina insieme allo svuotamento politico e alla perdita della sovranità delle varie comunità, come per esempio è capitato agli stati nazionali come l'Italia. E' fondamentale, quindi, riscoprire le millenarie tradizioni popolari europee, che sono greco-romane, e non certamente quelle giudaico-cristiane. Come fare? Bisogna rafforzare gli elementi vivi delle tradizioni comunitarie, come la lingua, la storia e la mitologia dei singoli popoli.

 

Zarelli, confermando la necessità di una riscoperta delle identità, ha spostato l'attenzione sull'ecologia, in un'ottica olistica di critica all'attuale paradigma di “sviluppo” economicista e globalizzante. La questione ecologica è, infatti, quella centrale nell'analisi dell'attuale sistema culturale e di produzione globale; infatti, l'intero sistema si regge sull'idea che possa sussistere uno sviluppo illimitato, pur essendo in presenza di risorse limitate. Col finire del secolo scorso, si è assistito alla morte delle ideologie, o alla fine delle grandi narrazioni, e si è affermata  la visione unilaterale della globalizzazione, che vede il locale solamente attraverso l'universalismo. Per ripensare la società umana, bisogna invertire i fattori di questo ragionamento; bisogna tornare a pensare l'universale partendo dal locale, dell'uno rispetto al totale, dell'identità rispetto all'omologazione, ponendo alla base del nuovo paradigma l'olismo, cioè l'idea che il bene totale non sia dato dalla somma di quello dei singoli. Al centro di questo cambiamento c'è la rivisitazione del rapporto, oggi perverso, tra natura e cultura. In una situazione naturale, nessuna cellula di un organismo si riproduce all’infinito, anzi, quando tale fenomeno avviene si manifestano effetti cancerogeni e, quando possibile, l’organismo stesso espelle queste cellule malate;. allo stesso modo, all’interno di un universo finito, è impensabile credere a uno sviluppo infinito, illimitato. La situazione attuale non è sottoposta alla naturale gerarchia, cioè un rapporto ordinato tra i vari esseri; ma ci troviamo in una situazione di eterarchia, in cui un fattor esterno (per esempio i grandi centri della globalizzazione) decide l’ordine degli elementi interni al sistema globale, creando una situazione che porta inevitabilmente al deperimento dell’organismo nel suo insieme.

Per far sì che le singole parti riacquistino il loro naturale posto all’interno della società globale, è fondamentale affermare il principio dell’autodeterminazione dei popoli, i quali, secondo la teoria dei “grandi spazi” di Carl Schmitt possano implementare l’idea di “Imperium”, il quale è realmente un concetto universale, poiché al suo interno le singole parti sono reciprocamente complementari; a differenza, del sistema globalizzante, che è totalitario e unilaterale (basti pensare alle differenze tra l’Impero Romano, nel quale i vari popoli potevano manifestare le proprie peculiarità, e l’Impero Americano, in cui il mondo è schiacciato dall’unica verità dei “portatori di democrazia”); infatti,

è fondamentale, per evitare sterili nazionalismi di ritorno, capire che la propria identità si rispecchia unicamente in quella altrui.

Anche i rapporti tra singoli popoli e potere deve mutare in senso partecipativo. Il modello a cui fare riferimento è quello della polis greca, in cui era centrale l’idea della partecipazione, grazie alla quale è l’intera comunità a deliberare. In questo senso, si trova la soluzione a uno dei grandi problemi posti dalla modernità. Per combattere il fenomeno dell’omologazione generale, figlia della globalizzazione e della ragione economicista, bisogna riaffermare il principio della civlità cosmopolita, costituita di singole comunità autodeterminata e con forte spirito identitario.

 

La conferenza, oltre che per il buon numero di pubblico e l’alta qualità dei relatori, è stata sicuramente un’ennesima buona occasione per proseguire sulla riflessione riguardo il comunitarismo, l’identitarismo e la lotta alla globalizzazione che stiamo faticosamente, ma con sempre maggior successo, portando avanti.