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Ritorno al nucleare: quelle strane zone oscure

di Virginia Greco - 21/07/2009

Ritorno al nucleare: la popolazione non potrà neppure esprimersi riguardo all’allocazione delle nuove centrali. Il parere degli enti locali, infatti, non sarà vincolante. In questo panorama, si torna a parlare di una serie di vicende politiche ed economiche che ruotano intorno alle vecchie centrali, il loro smantellamento, i depositi delle scorie. Nessuno dimentica Scanzano Jonico, ma forse non tutti sono al corrente di quanto sta avvenendo a Borgo Sabotino.


 

Scorie nucleari
E' proprio il caso di dire che il governo ha deciso di puntare sulla scommessa nucleare...
La ratifica da parte del Parlamento italiano del ritorno all’energia di origine nucleare ha giustamente riacceso polemiche, discussioni e contestazioni, che il Governo cerca di mettere a tacere e di contrastare con dichiarazioni e gesti non sempre coerenti.

 

Il 6 luglio scorso la Camera ha bocciato una proposta dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) nella quale si chiedeva che i Comuni e le Regioni avessero maggior voce in capitolo sulla scelta dei siti per le nuove centrali. Essi non potranno quindi esprimere alcun parere vincolante rispetto alla decisione di costruire impianti nucleari nel territorio di propria pertinenza. In pratica, il Governo stabilirà in autonomia i siti e qualcuno si sveglierà una mattina al rumore delle escavatrici, scoprendo di risiedere in una delle zone fortunate vincitrici di una centrale.

D’altro canto, il 9 luglio il nostro Ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola, in una conferenza stampa ha dichiarato che “molti Comuni italiani hanno già manifestato la loro disponibilità ad accogliere le nuove centrali nucleari”. Fantastico! Allora che bisogno c’era di esautorare i governi locali dall’autorità di accettare o meno la localizzazione di un impianto nucleare nel proprio territorio, se ci sono così tanti Comuni che non vedono l’ora di accoglierli?

L’impressione è che il Governo sappia benissimo che sarà osteggiato in tutti i modi, in primis dalle associazioni ambientaliste, ma anche da tanti “semplici cittadini” preoccupati della propria salute e della qualità della vita nel territorio in cui risiedono. La faccenda della scelta dei siti è tutt’altro che semplice e richiede un esame attento e approfondito, nonché una consulta con le autorità locali. Cose che non avvennero nella ben nota vicenda di Scanzano Jonico.

 

Scajola
Il Ministro per lo Sviluppo Economico Claudio Scajola
Era il 2003 e il nostro Governo dichiarò le quattro centrali nucleari italiane dismesse “obiettivi sensibili per la sicurezza nazionale”, a causa delle problematiche di terrorismo di quegli anni, pertanto ritenne urgente dare il via a procedimenti di messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi presenti sul nostro territorio. Si tratta delle scorie prodotte durante l’attività degli impianti, come anche i materiali contaminati provenienti dalla passivazione delle stesse, in seguito alla cessazione della produzione di energia. Fu così che nel giro di due mesi venne individuato il sito di Scanzano Jonico, in Basilicata. La prorompente sollevazione popolare riuscì a far sì che il Governo facesse dietro-front in quindici giorni.

 

Da allora la questione non ha trovato ancora una soluzione. Fondamentalmente perché fino ad oggi non è ancora stata definita scientificamente una procedura capace di assicurare uno stoccaggio ed una messa in sicurezza dei rifiuti nucleari veramente affidabile. Ne consegue che nessuno abbia voglia di accettare il rischio di qualcosa di non ben noto, soprattutto dato che gli interessi economico-politici che vi ruotano intorno lasciano adito al dubbio che nozioni importanti vengano taciute alla popolazione.

Negli Stati Uniti l’identificazione di un sito geologico per stoccare le scorie nucleari (che portò all’individuazione del deposito di Yucca Mountain, scelta comunque poi abbandonata) richiese un’istruttoria condotta per ben 20 anni. Nel caso di Scanzano Jonico, invece, due mesi senza alcuna consulta formale, né indagine scientifica indipendente: l’unica presentata fu infatti quella condotta della Sogin, SOcietà Gestione Impianti Nucleari, la stessa azienda che si sarebbe occupata della messa in opera del sito e già responsabile dello smantellamento delle centrali dismesse.

Se dopo anni non si è ancora giunti ad un accordo per la definizione del luogo in cui deporre tutte le scorie e i materiali radioattivi, conservati attualmente in depositi temporanei, come si pensa di arrivare in tempi utili all’individuazione dei siti per nuove centrali nucleari? Evidentemente l’unica strada possibile è quella dell’imposizione da parte del governo centrale in barba all’opinione popolare.

Per altro anche chi si dichiara oggi favorevole al ritorno del nucleare in Italia, spesso non è altrettanto entusiasta se gli si prospetta l’ipotesi che una centrale venga costruita nell’orto di casa sua. Ma del resto l’Italia ha un territorio limitato e molto densamente popolato e la maggior parte delle regioni sono dichiarate territorio sismico. Siamo geologicamente inadatti ad ospitare impianti nucleari. Ma anche depositi di scorie.

 

Nucleare Scanzano Jonico
Le proteste riuscirono a fermare la costruzione del deposito di scorie di Scanzano Jonico. Tocca a Borgo Sabotino?
In relazione a ciò una forte inquietudine anima la popolazione di Borgo Sabotino, frazione di Latina, dove è localizzata la prima centrale nucleare entrata in funzione in Italia. I siti che ospitano le centrali dismesse sono inevitabilmente, infatti, i primi ai quali si rivolge l’attenzione. Non perché gli impianti in disuso possano essere ripristinati (la tecnologia è assolutamente obsoleta e anche lo smantellamento è ad uno stato già piuttosto avanzato), bensì in quanto le considerazioni che indussero alla scelta di tali luoghi potrebbero essere ancora valide e poiché si pensa che sia più facile far accettare la messa in attività di una centrale a popolazioni che hanno imparato a conviverci in almeno quarant’anni di storia.

 

Durante la prima era del nucleare in Italia, Borgo Sabotino fu scelta in quanto vicina al mare e situata sulle sponde di un canale (le centrali necessitano di ingenti quantità d’acqua per il raffreddamento), perché l’area era poco abitata e in quanto zona non sismica. Ad oggi la situazione è ben diversa: gli insediamenti umani nella zona sono molto aumentati e Borgo Sabotino è stata inserita di recente nella mappa delle aree soggette a fenomeni sismici.

Ciò indurrebbe a concludere che allora la cittadina latina è salva, ma non è così. Prima di tutto il CIPE, Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica, non ha a disposizione un documento aggiornato da sostituire all’indagine e mappatura che furono realizzate negli anni Settanta, ossia nel momento in cui si decisero le localizzazioni delle prime quattro centrali. In secondo luogo, le articolate vicende legate allo smantellamento della centrale e, soprattutto, allo stoccaggio dei materiali radioattivi di scarto lasciano pensare che a Borgo Sabotino si stia cercando di realizzare tacitamente ciò che non è riuscito dichiaratamente a Scanzano Jonico.

Legambiente Lazio da sempre si batte per la difesa e la riqualifica dell’area occupata dall’impianto e tiene d’occhio i movimenti politico-economici in atto, senza però poter far molto di più che richiamare l’attenzione sul problema. Un ottimo dossier prodotto dall’associazione riassume la storia della centrale dalla sua nascita ad oggi e mette in luce come molte azioni siano state fatte non in trasparenza e in condizioni di conflitto di interessi. Inoltre la popolazione è oramai da tempo esclusa da qualunque consultazione.

 

Centrale Latina
Esistono davvero territori pronti ad accogliere in casa loro scorie nucleari?
Rimasta attiva tra il gennaio 1964 e il novembre 1986, la centrale di Borgo Sabotino (la prima messa in opera in Italia) fu chiusa definitivamente nel dicembre ‘87, in seguito al referendum popolare che decretò la fine dell’approvvigionamento da energia nucleare nel nostro Paese. Nel 1991 la licenza di esercizio dell’impianto fu modificata in modo da poter dare inizio ai procedimenti per la sua messa in custodia passiva. Di fatto, però, la centrale entrò ufficialmente in fase di “decommissioning”, ossia di dismissione, solo alla fine del 2003.

 

Proprio in quell’anno, infatti, il Governo decise che - a causa dell’urgenza di mettersi a riparo da rischi terroristici in relazione alle centrali nucleari - la messa in sicurezza delle centrali sarebbe stata affidata ad un Commissario, il quale avrebbe potuto agire in via straordinaria. In pratica, come chiarisce il su citato documento di Legambiente Lazio, le opere potevano essere realizzate in deroga alle procedure di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), alle concessioni urbanistico-edilizie, a quelle per le deviazioni di corsi d’acqua ad uso industriale, per il trasporto di merci pericolose e in materia di appalti. Ventidue leggi e decreti (inclusi quelli regionali) vennero sospesi per questo tipo di materia e i pareri delle istituzioni locali del tutto ignorati. Il ruolo di Commissario Straordinario – guarda caso – fu affidato al generale Carlo Jean, già Presidente della Sogin: un conflitto di interessi di nulla!

Fu così che si generò la vicenda di Scanzano e fu così che due anni più tardi a Borgo Sabotino venne attuato un piano di messa in sicurezza della centrale che prevedeva una procedura accelerata, ossia ancora una volta in deroga alle leggi ordinarie. Non esistendo ancora un deposito nazionale, ovviamente era necessario realizzarne sul luogo uno temporaneo, in cui depositare tutti i materiali, fanghi e rifiuti radioattivi conseguenti allo smantellamento. Nel 2006 venne così autorizzata la costruzione, presso la centrale in questione, delle infrastrutture per l’estrazione e il condizionamento dei fanghi radioattivi, di altri edifici di supporto alle operazioni, nonché di un deposito temporaneo per i rifiuti.

Le dimensioni del deposito in costruzione, secondo quanto valutato da Legambiente Lazio, appaiono eccessive per il contenimento esclusivo dei materiali provenienti dalla dismissione della centrale di Borgo Sabotino. In più, nel frattempo il problema dell’individuazione del sito definitivo per lo stoccaggio delle scorie e dei materiali di scarto appare non risolto (nonostante l’urgenza dichiarata negli scorsi anni, con cui sono state giustificate le azioni straordinarie che hanno ignorato le leggi vigenti). Per giunta, alcune scorie che anni or sono vennero inviate all’estero per subire processi di condizionamento, presto dovranno rientrare nel territorio nazionale.

 

Scorie radioattive
Tutto questo fa pensare alle associazioni ambientaliste, ma anche a parte delle istituzioni locali, che il deposito nazionale definitivo di cui tanto si parla (o non si parla) sia destinato ad essere collocato proprio a Borgo Sabotino, passando per sotterfugi e sotto la cortina di provvedimenti speciali e temporanei.

 

Torniamo dunque al quesito di partenza: se, a detta di Scajola, c’è un grande entusiasmo della popolazione all’idea del ritorno al nucleare, come mai si deve ricorrere a procedimenti speciali, segreti di Stato e colpi di mano?

Coloro invece che sono eventualmente davvero favorevoli al rifiorire delle centrali in Italia, sono realmente a conoscenza di tutti i retroscena e delle conseguenza? E alla luce di ciò, accetterebbero una centrale e un deposito di scorie e rifiuti vicino alla loro abitazione?

Con i soldi di qualcun altro, son tutti bravi ad offrir cena.

Per approfondimenti:

“Nucleare, strada obbligata?”, servizio di Giovanni Valentini e Fabio Tonacci – La Repubblica Radio TV

“Goletta verde a Borgo Sabotino (LT) – Dossier No Nucleare”, a cura di Legambiente Lazio