Il Fine Giustifica i Mezzi: “Extraordinary Rendition”: Il Caso Abu Omar
di Lorenzo Ansaloni - 21/03/2006
Fonte: Disinformazione.it
Il 17 febbraio 2003 Abu Omar veniva sequestrato a Milano, in pieno giorno, come risultato di un’operazione gestita da 25 agenti della CIA. Stava camminando da casa alla moschea quando due uomini in uniforme della polizia italiana lo avrebbero forzato ad entrare in un furgoncino. Da qui è stato portato alla base di Aviano, il giorno successivo a Ramstein in Germania a infine in Egitto come meta finale. Circa un anno dopo, Abu Omar fu rilasciato e messo agli arresti domiciliari. Dall’Egitto telefonò a Milano alla moglie ed alcuni amici. Si lamentò di essere stato torturato con scosse elettriche fin quasi ad essere ridotto in fin di vita. Le telefonate furono intercettate e registrate dalle autorità italiane. In seguito a queste telefonate, evidentemente intercettate anche dalle autorità egiziane, Abu Omar fu rimesso in carcere e da allora non si sono avute molte notizie ma sembra essere ancora in Egitto stando alle ultime riluttanti comunicazioni del governo egiziano.
Abu Omar (vero nome Hassan Mustafa Osama Nasr), 43 anni, viveva in Italia, a Milano, dove aveva ottenuto asilo politico e quindi legittimamente residente sul suolo italiano. Assistente dell’Imam della moschea di via Quaranta, era sospettato dalla magistratura italiana di legami con ambienti terroristici e sotto controllo delle autorità italiane nel corso di un’operazione che avrebbe poi portato, dopo il suo rapimento, all’arresto di alcuni suoi presunti complici.
L’inchiesta aperta per il caso si basa su un cospicuo numero di indizi e prove a partire da una testimonianza oculare del rapimento, le ricevute di due lussuosi hotel cinque stelle dove gli agenti CIA avrebbero pernottato nei giorni precedenti l’operazione, intercettazioni di telefonate effettuate nell’area e nel momento del rapimento al quartier generale della CIA a Langley in Virginia con cellulari intestati compagnie inesistenti, fotografie delle macchine affittate dagli agenti per aver illegalmente attraversato una zona pedonale, tabulati dei voli, ecc. (cfr. Los Angeles Times 30/12/2005).
Oggi, a tre anni di distanza, i procuratori aggiunti Armando Spataro e Ferdinando Pomarici sono ancora in attesa della risposta alla richiesta di estradizione inoltrata al ministro di grazia e giustizia per 22 di quegli agenti.
E’ sicuramente una vicenda giudiziaria e, in seconda battuta, potrebbe sembrare anche una delicata vicenda diplomatica con possibili ripercussioni sulle relazioni bilaterali USA - Italia.
Ma è anche qualcosa di più se visto in un contesto che tende sempre più ad opporre
L’accesa polemica che ha animato i media inglesi, americani e non solo, è stata appena percepita delle maggiori testate giornalistiche italiane. I siti web di testate internazionali quali Washington Post, New York Times, The Guardian, Times, Le Monde, The Independent, The Telegraph, alla chiave di ricerca “torture” restituiscono una mole di articoli che se paragonata al risultato analogo per
In Inghilterra, da cui scrivo, il telegiornale di Channel 4 (a mio avviso uno dei migliori), in prima serata, ha costantemente dedicato un ampio spazio a questi temi nel corso degli ultimi tre mesi e più. Proprio oggi (9/03/2006) un ex-detenuto di Guantanamo è stato intervistato nel corso di una trasmissione “contenitore” paragonabile al nostro “I Fatti Vostri”. Alle 21 andrà in onda uno speciale su Guantanamo. Immagino quindi che in Italia questa inclusione del caso Abu Omar in un contesto più ampio che vede gli Stati Uniti sul banco degli imputati possa anche non sembrare così scontata.
Amnesty International, nel rapporto 2005, si esprime in questi termini:
“[…] More than 500 detainees of around 35 nationalities continued to be held without charge or trial at the US naval base in Guantánamo Bay on grounds of possible links to al-Qa’ida or the former Taleban government of Afghanistan”. (Amnesty International 2005)
(più di 500 detenuti di 35 diverse nazionalità continuano ad essere detenuti senza nessuna imputazione o processo alla base navale americana di Guantanamo sulla base di possibili collegamenti con al-Qa’ida o con il precedente governo talebano in Afghanistan).
“Photographic evidence of the torture and ill-treatment of detainees in Abu Ghraib prison in
(Evidenza fotografica di torture e maltrattamenti di detenuti nella prigione di Abu Ghraib in Iraq da parte di soldati americani, è stata resa di pubblico dominio in Aprile, causando diffuse preoccupazioni a livello nazionale ed internazionale).
“No investigation dealt with the
(Nessuna indagine si è occupata del presunto coinvolgimento USA in trasferimenti [di detenuti] tra paesi stranieri e di ogni tortura o maltrattamento che ne potrebbe essere derivato)
Human Rights Watch manifesta le medesime critiche e preoccupazioni:
The
(Il governo degli Stati Uniti è stato ampiamente condannato per le violazioni dei basilari diritti umani nel corso della lotta contro il terrorismo. Dal 2001, l’amministrazione Bush ha autorizzato tecniche di interrogazione generalmente considerate come tortura. Un numero sconosciuto di prigionieri sono stati detenuti come “fantasmi” impedendo di fatto la possibilità di monitoraggio da parte di tutte le associazioni, ivi compreso il Comitato Internazionale della Croce Rossa.)
Nonostante l’amministrazione Bush continui a negare ogni utilizzo sistematico della tortura allo stesso tempo si registrano sforzi tesi a “restringerne” il significato:
Authorized Central Intelligence Agency (CIA) interrogation techniques apparently include a notorious method the administration has renamed “waterboarding” (when practiced by Latin American dictatorships, it was called “the submarine”)-forcefully submerging a suspect’s head in water or otherwise making him believe he is about to drown. The director of the CIA has stated that waterboarding is a “professional interrogation technique.” (Human Rights Watch 2006, pag. 503)
(Le tecniche interrogatorie della CIA apparentemente includono un noto metodo che l’amministrazione ha rinominato “waterboarding” (quando praticato dalle dittature dell’America Latina era chiamato “il sottomarino”) - immergere con la forza la testa del sospettato in acqua o comunque fargli credere di stare per affogare. Il direttore della CIA ha affermato che il “waterboarding” è da considerarsi come una “professionale tecnica di interrogatorio”.)
Human Rights Watch è stata inoltre tra i primi a sollevare il caso delle “extraordinary rendition” (“consegna straordinaria”).
Additional evidence also emerged in 2005 about cases of “extraordinary rendition,” in which the
(Nel 2005 sono emerse ulteriori evidenze di casi di “extraordinary rendition” in cui gli Stati Uniti spedirono detenuti in paesi stranieri per interrogatori, compresi paesi con precedenti per tortura come Marocco, Giordania e Egitto.)
Ma le due più importanti associazioni per la difesa dei diritti umani non sono le sole a sollevare il problema. Il Council of Europe (Consiglio d’Europa) in due successivi rapporti si esprime in termini molto critici nei confronti della politica di detenzione messa in atto dagli Stati Uniti. Nel primo
On the basis of an extensive review of legal and factual material from a wide range of reliable sources, the Committee concludes that the circumstances surrounding detentions by the USA at Guantánamo Bay show unlawfulness on grounds including the torture and cruel, inhuman or degrading treatment of detainees and violations of rights relating to prisoner-of-war status, the right to judicial review of the lawfulness of detention and the right to a fair trial. The Committee also finds that the
(Sulla base di una ampia analisi di materiali legali e dati di fatto provenienti da un vasto spettro di fonti affidabili, il Comitato conclude che le circostanze inerenti la detenzione da parte degli USA a Guantánamo Bay evidenziano un’illegalità di base incluse torture, trattamenti crudeli, inumani o degradanti e violazioni dei diritti concernenti lo status di “prigionieri di guerra”, del diritto a un esame giudiziario, della legalità della detenzione e del diritto ad un equo processo. Il Comitato ritiene inoltre che gli Stati Uniti partecipino alla illegale pratica della detenzione segreta e “rendition” (per esempio il trasferimento di persone in paesi stranieri, senza supervisione giudiziaria e per fini come l’interrogatorio o la detenzione).
Circa due anni dopo, sempre il Council of Europe ritorna sulla questione con un dossier che, dati i tempi più maturi, contiene molti dettagli interessanti:
On 5 December 2005 ABC reported […] the existence of secret prisons in
(Il 5 dicembre 2005 ABC riferisce l’esistenza di prigioni segrete in Polonia e Romania che apparentemente sono state chiuse in seguito alle rivelazioni del Washington Post.)
Il caso italiano del “rapimento” di Abu Omar, insieme ad un analogo caso svizzero, è tra i più documentati casi di "extraordinary rendition" e uno dei rarissimi casi in cui si è avviato un procedimento giudiziario (cfr. Los Angeles Times 30/12/2005). Il rapporto ne da notizia:
“Abu Omar’s is undoubtedly the best known and best documented case of “extraordinary rendition”. (Council of Europe 2006, pag 8).
(Quello di Abu Omar è indubbiamente il più conosciuto e meglio documentato caso di “extraordinary rendition”)
(L’indagine dei giudici italiani, stabiliva, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’operazione fu condotta da agenti della CIA - particolare che non è mai stato negato né messo in discussione)
Il rapporto prosegue indicando varie testimonianze di ex-agenti CIA. Alcuni dei nomi sono conosciuti Michael Scheuer (ex senior CIA officer), Robert Bear (ex agente CIA), Vincent Cannistraro (ex-agente del controspionaggio CIA) molti in carica all’epoca dei primi avvenimenti. Altre fonti ricorrenti nei vari articoli della stampa internazionale rimangono anonime.
Tutte le fonti in ogni caso convergono sui seguenti punti:
- i governi interessati dall’operazione “extraordinary rendition” venivano informati. O almeno ne venivano informati i loro rispettivi servizi segreti.
- Confermano che gli interrogatori nei paesi meta del trasferimento venivano condotti secondo metodi non ortodossi (per usare un eufemismo).
Anche l’ONU interviene sulla questione e 15 febbraio 2006 pubblica un rapporto dal titolo “Situation of detainees at Guantánamo Bay” che non passa inosservato e costringe alcuni leader europei ad una presa di posizione. Mentre il primo ministro italiano Silvio Berlusconi decantava le lodi dell’America dell’amministrazione Bush e invitava il Vecchio Continente a seguirne le orme, il primo ministro inglese Tony Blair definiva Guantanamo, pur con una certa cautela, un’anomalia (“anomality”) a livello internazionale.
Il rapporto viene redatto de cinque rapporteurs che seguirono la situazione fin dal 2002 e in 54 pagine documenta la realtà anomala di Guantanamo sotto diversi profili e chiavi di lettura.
Da un punto di vista giuridico, gli Stati Uniti hanno sottoscritto alcuni trattati internazionali: International Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR), the Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (Convention against Torture) e l’International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination (ICERD) finendo con la convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra (terza convenzione) e sulla protezione dei civili in tempo di guerra (quarta convenzion).
Per quanto riguarda le conclusioni il rapporto mette in luce come:
“[…] The legal regime applied to these detainees seriously undermines the rule of law and a number of fundamental universally recognized human rights, which are the essence of democratic societies.” (ONU 2006, pag 11).
(Il regime legale a cui questi detenuti sono sottoposti mina seriamente la regola di legge e un certo numero di diritti umani fondamentali universalmente riconosciuti che sono l’essenza di una società democratica)
La Convenzione contro
“Torture and other inhumane acts causing severe pain or suffering, or serious injury to the body or to mental or physical health are also prohibited under international criminal law and in certain instances can amount to crimes against humanity and war crimes” (ONU 2006, pag 21)
(La tortura o altri atti inumani che possano causare severa sofferenza o seri traumi al corpo o alla salute fisica o mentale sono altresì proibite sotto la legge criminale internazionale e in certi casi possono equivalere a crimini contro l’umanità o crimini di guerra).
I rapporteurs sembrano concordare con il Council of Europe:
“[…] Many detainees had been subjected to illtreatment amounting to torture, which occurred systematically and with the knowledge and complicity of the United States Government.” (ONU 2006, pag 25)
(Molti detenuti sono stati soggetti a maltrattamenti assimilabili alla tortura, occorsi sistematicamente e con la conoscenza e la complicità del Governo degli Stati Uniti).
L’analisi, prevalentemente incentrata sul caso Guantanamo, tocca di sfuggita anche la cosiddetta “extraordinary rendition”:
“On the basis of the information available to him, the Special Rapporteur takes the view that the
(Sulla base dell’informazione disponibile, lo Special Rapporteur ritiene che la pratica degli Stati Uniti conosciuta come “extraordinary rendition” costituisca una violazione dell’articolo 3 della Convenzione contro
A completare il quadro interviene una massiccia copertura mediatica, forse troppo assente e latitante in Itala, che sarebbe dispersivo ripercorrere qua nel suo evolversi ma che ha una svolta fondamentale in un articolo del Washington Post del 2 novembre (cfr. The Washington Post 2/11/2005) nel quale Dana Priest riporta le testimonianze di alcuni fonti interne CIA e documenta un sistema di carceri segrete in paesi stranieri (Polonia e Romania principalmente) ideate allo scopo di recludere prigionieri al di fuori di ogni tutela della legge internazionale, in assoluto isolamento e probabilmente a consentire metodi di interrogatorio non consueti (cosa impossibile su territorio statunitense). Il progetto “extraordinary rendition” comincia ad apparire qualcosa di più di una mera congettura. Alcuni paesi europei (Spagna, Norvegia, Svezia) aprono inchieste per appurare se alcuni dei loro aeroporti siano stati utilizzati dalla CIA per questi voli “illegittimi”. L’Islanda chiede ufficialmente delucidazioni al governo statunitense in merito a 67 atterraggi “sospetti” sul suo territorio ma sarebbe ancora in attesa una risposta soddisfacente. Il governo inglese, nega di essere a conoscenza di ogni operazione di questo tipo ma Mr Angus Robertson (parlamentare) invia al Consiglio Europeo un dettagliato rapporto di voli CIA avvenuti in vari aeroporti scozzesi e nuova evidenza arriva anche dal caso dei plain-spotters. In Belgio, in risposta ad una interrogazione parlamentare, si apre un inchiesta e in Germania e Svizzera si aprono indagini per episodi simili al caso italiano di Abu Omar. In Germania inoltre il 17 gennaio 2005 il parlamento apre un’inchiesta e si sospetta che un numero di voli CIA superiore al centinaio abbia interessato gli aeroporti di Berlino e Francoforte (cfr. Council of Europe 2006, pag. 6,7). Un altro volo avrebbe fatto scalo in marzo a Copenhagen e il ministro degli esteri danese chiede ufficialmente a Washington di evitare il territorio della Danimarca per simili operazioni (cfr. The Washington Post 17/11/2005) mentre il ministro degli esteri francese dichiara di stare investigando con l’aviazione civile il caso di due voli CIA che avrebbero fatto scalo su territorio francese (cfr. Council of Europe 2006, pag. 7). A proposito dell’Irlanda, Amnesty International in una nota stampa (AMR 51/198/2005 disponibile a: http://web.amnesty.org/library/Index/ENGAMR511982005) dichiara che:
“[…] six planes used by the CIA for renditions have made some 800 flights in or out of European airspace including 50 landings at Shannon airport in the
The information contradicts assurances given last week by the US Secretary of State Condoleezza Rice to the Irish Foreign Minister Dermot Ahern […]”.
(sei aerei usati dalla CIA per operazioni di extraordinary rendition hanno fatto qualcosa come 800 voli fuori e dentro lo spazio aereo europeo inclusi 50 atterraggi all’aeroporto irlandese di Shannon.
Questa informazione contraddice le assicurazioni fornite la scorsa settimana dal Segretario di Stato americano Condoleezza Rice al ministro degli esteri irlandese Dermot Ahern).
In questo quadro di crescente attenzione sul progetto extraordinary rendition, di qua e di la dall’Atlantico, la risposta dei governi sembra essere il diniego di ogni addebito o l’ammissione di certe mezze verità ormai evidenti, ma non delle loro implicazioni illegali. Condoleezza Rice ha di fatto ammesso i trasferimenti di prigionieri ma negato con forza tutte le accuse inerenti tortura, maltrattamenti e carceri segreti. Ha ribadito l’utilità di questi “provvedimenti” asserendo che nulla è stato fatto senza informare i governi degli altri paesi coinvolti. La tattica è quella di utilizzare la lotta al terrorismo come grimaldello retorico per rendere accettabile qualche eventuale strappo alla legge: in sostanza si sposa il machiavellico adagio “il fine giustifica i mezzi” mettendo le mani avanti cercando di limitare i danni preventivamente qualora la crescente mole di prove e indizi dovesse portare all’esplosione del bubbone. L’ultima spiaggia (a scandalo avvenuto) potrebbe essere quella di identificare uno o più capri espiatori (nella CIA ovviamente) che avrebbero agito all’insaputa dell’amministrazione e su cui ricadrebbe l’intera colpa: tattica già collaudata nel mancato ritrovamento di tecnologie nucleari in territorio iracheno e nello scandalo del falso dossier relativo ad una vendita di uranio dal Niger (in cui anche i servizi segreti italiani hanno giocato la loro parte). In ogni caso le ripetute smentite ufficiali che si sono susseguite negli ultimi mesi e il viaggio europeo di Condoleezza Rice testimoniano se non altro una notevole attenzione al problema da parte dell’amministrazione Bush.
I governi europei, come si evince dal rapporto del Consiglio Europeo 2006, molto probabilmente erano a conoscenza di questi voli clandestini o almeno lo erano i loro servizi segreti e verosimilmente almeno alcuni esponenti del governo: stando all’Washington Post (2/11/2005) solo il primo ministro e un ristrettissimo numero di alti ufficiali dei servizi segreti erano resi partecipi del progetto. Ciò non toglie che molti paesi sembrino prendere le distanze in misura proporzionale alla crescente disponibilità di prove e testimonianze che corroborerebbero l'operazione illegale dei servizi segreti americani. Tra i paesi in cui la linea negazionista è più intransigente (e non sono molti) sicuramente l’Italia e l’Inghilterra sembrano assumere il ruolo delle protagoniste. Anche se il ministro degli esteri Fini è sembrato in più di un’occasioni intenzionato a chiedere chiarimenti del “comportamento” americano (non ultimo il caso Calipari) questo non sembra modificare la linea “ufficiale” del governo nel suo complesso.
Il caso Abu Omar, inserito in questo contesto internazionale, assume nuovi contorni e la vera posta in gioco sembra prendere forma. Il progetto extraordinary rendition continua a beneficiare del supporto di nuova evidenza di giorno in giorno ma manca ancora la prova definitiva dell’operazione internazionale (e illegale) condotta dalla CIA che permetta di passare dal piano dell’evidenza e della plausibilità a quello della certezza. Il candidato più promettente a ricoprire questo ruolo di “prova finale” è proprio quello di Abu Omar e della relativa indagine condotta dai magistrati milanesi essenzialmente per due ragioni:
- Non in tutti i paesi europei è stata aperta un’inchiesta giudiziaria per uno specifico caso di “extraordinary rendition”.
- Il caso italiano appare (come ci ricorda il Consiglio Europeo nel rapporto 2006) il meglio documentato.
La mole di indizi a disposizione dei giudici italiani è così consistente che non vi sono state smentite: né esponenti dell’amministrazione americana, né il governo italiano, a mia conoscenza, hanno mai negato l’accaduto né la responsabilità degli agenti dei servizi segreti americani. Se ne deduce che, se il processo dovesse concludersi con una qualche forma d’imputazione, allora potremmo avvalorare definitivamente il teorema dell’“extraordinary rendition” come operazione clandestina internazionale condotta su territorio europeo in violazione alla legge internazionale. Come si vede non si tratta di un mero incidente diplomatico tra Italia-USA (semmai un conflitto Europa-USA) e si comprende come, per un governo filo-americano come quello italiano, l’inchiesta di Milano sia qualcosa di più di una “patata bollente”.
Il nostro governo ha negato ufficialmente ogni coinvolgimento e in particolare di essere a conoscenza di ogni operazione CIA o di esserne stato informato in alcun modo:
Né Palazzo Chigi né alcuna altra istituzione italiana sono mai stati avvertiti né tanto meno informati del sequestro di Abu Omar. Del resto, la stessa fonte dalla quale qualcuno vorrebbe trarre indicazioni, non solo esclude che gli Stati Uniti abbiano informato l’Italia, ma addirittura rivela un preciso piano di depistaggio nei confronti delle autorità italiane. (nota dell’ufficio stampa del Governo http://www.governo.it/notizie/not_notizia.asp?idno=1429)
Il depistaggio citato nella nota è stato attuato nei confronti della magistratura non nei confronti del governo che non ha mai richiesto chiarimenti ufficiali alla controparte americana. Del resto è perfettamente congruente con l’ipotesi di un accordo segreto tra servizi segreti e vertici del governo: è logico che magistratura e polizia siano fatte oggetto di tentativi di depistaggio in casi simili e personalmente mi meraviglierei del contrario.
Per quanto riguarda la fonte che confermerebbe il non coinvolgimento italiano, non è chiaro a chi ci si riferisca. Nell’articolo “Italy Knew About Plan To Grab Suspect” (L’Italia sapeva dei piani per afferrare il sospetto) sullo stesso Washington Post da cui è partita l’inchiesta, più di una fonte (agenti CIA o ex-agenti CIA) sostiene che sarebbe stato impossibile per i servizi segreti statunitensi operare in territorio italiano (nazione legata agli USA da ottimi rapporti) senza prima avvisare almeno i nostri servizi segreti. Sulla stessa linea l’articolo di Repubblica del 4/7/2005.
In effetti, il fatto che 25 agenti dei servizi segreti americani si muovano tranquillamente nel nostro paese senza preoccuparsi di avvisare il nostro governo ha un ché di incredibile e che non può non far sorgere qualche dubbio. Il Consiglio d’Europa si pone la medesima domanda:
“Is it conceivable or possible that an operation of that kind, with deployment of resources on that scale in a friendly country that was an ally (being a member of the coalition in
[…] A further interesting point is that the Italian justice minister has so far not forwarded to the American authorities the
(E’ concepibile o possibile che una operazione di questo tipo, con dispiegamento di risorse su questa scala in un paese amico e alleato (essendo un membro della coalizione in Iraq) sia stata portata a termine senza che le autorità nazionali ne siano state informate?
Un ulteriore fatto interessante è che il ministro di giustizia italiano, finora non ha inviato alle autorità americane la richiesta di estradizione dei giudici di Milano”)
A questo si aggiunga che, secondo fonti CIA, citate da numerose testate, il negare ogni addebito, conoscenza, coinvolgimento da ambo le parti costituisce una sorta di prassi in questi casi (cfr. The Washington Post 30/6/2005). Prassi che nessun governo europeo per ora ha disatteso.
Forse le stesse parole di Miss Condoleezza Rice sono le più illuminanti su questo punto: “Anything the CIA did on European soil was with the support of the host governments” (Telegraph 6/12/2005) (niente che
Visto che nessuno mette in discussione il coinvolgimento CIA nel rapimento milanese, ne deduciamo facilmente che:
a) O il governo italiano ha mentito
b) Oppure ha mentito Miss Rice
tertium non datur! Pur rimanendo nella convinzione che il governo italiano abbia mentito asserendo di non essere a conoscenza del rapimento di Abu Omar, mi chiedo se nessuno abbia tratto le conclusioni da questa presa di posizione. Potrebbe sembrare un modo per togliesi dagli impicci e mantenere fede all’impegno assunto con gli Stati Uniti, ma tenendo sempre presente che i fatti di Milano non sono in questione, questo vorrebbe dire che agenti dei servizi segreti di un altro paese hanno operato indisturbati sul territorio italiano rapendo una persona che godeva di asilo politico e che era sotto indagine della nostra magistratura senza avvisare né i nostri servizi segreti né il nostro governo. Se non è violazione della sovranità nazionale questa, allora penso sarebbe opportuno ridefinirne il significato nella giurisprudenza del diritto internazionale.
In questa cornice interpretativa, la titubanza del ministro Castelli appare comprensibile, seppur non giustificabile. I fatti sono apparsi su tutti i principali organi di stampa. A quattro mesi dalla richiesta di estradizione degli agenti CIA inoltrata al guardasigilli, dopo non aver ricevuto nessuna notizia, la procura milanese ha inoltrato una seconda richiesta: implicitamente un sollecito affinché il ministro si esprimesse in un modo o nell'altro.
Il ministro Castelli ha accusato i magistrati milanesi di indebite “pressioni” (alludendo a un tentativo di forzare la legge che assicura al guardasigilli il diritto di decidere se dar seguito alla richiesta di estradizione o meno) accennando poi di aver a che fare con magistrati “militanti”. Tuttavia risulta particolarmente oscuro quale dovrebbe essere, per contrapposizione, il comportamento di un magistrato “non militante” in un caso come questo.
Il nocciolo della polemica verte sull’articolo 720 comma 3 del codice di procedura penale, vale quindi la pena riportarne il contenuto:
3. Il Ministro di grazia e giustizia può decidere di non presentare la domanda di estradizione o di differirne la presentazione dandone comunicazione all’autorità giudiziaria richiedente.
Pregevole il tentativo del ministro di ricondurre la materia del contendere al tema molto caro all’esecutivo delle temibili “toghe rosse” che da tempo insidierebbero il governo in carica ma come si vede la questione è puramente tecnica. Castelli semplicemente non ha dato, per sua stessa ammissione, nessuna comunicazione all’autorità giudiziaria dichiarando che la legge non prescrive tempi precisi entro cui il ministro debba fornire tale comunicazione Forse il ministro non disdegnerebbe poter comunicare la sua decisione tra le volontà del testamento, procrastinando così ad un tempo non prevedibile la decisione finale quando solo i più attenti e gli storici ricorderanno il caso. Ed in effetti la tattica attuata da Castelli sembra la sola possibile per uscire dall’impasse e comunque non senza danni e non senza sfidare un "buon senso" che si presuppone nell’interpretazione di una norma di legge. Personalmente, quando la mamma raccomanda al bambino di fare i compiti e rincasando la sera dopo il lavoro sente il bambino obbiettargli: “Si ma tu non avevi specificato se i compiti li dovevo fare oggi o domani” sarei più propenso a premiare l’arguto giovincello con una sberla piuttosto che con un riconoscimento alla sua capacità interpretativa.
Ovviamente il ministro non fa sfoggio di innocente ingenuità neanche quando si domanda retoricamente: “Che immagine diamo? Di un Paese che lascia liberi i terroristi, costantemente assolti, e si occupa solo di arrestare i cacciatori di terroristi?” (Il Giornale 3/3/2006)
Trascurando, forse volutamente, che:
- I complici di Abu Omar saranno poi incriminati dopo il suo rapimento.
- Esistono leggi internazionali e convenzioni (sottoscritte da ambo le parti) che nessun crimine autorizza e violare.
- Ammesso e non concesso che alcuni giudici siano di manica larga con presunti terroristi questo non costituisce una valida giustificazione per non perseguire un crimine. Se Tizio e Caio rubano un autoradio ma la giustizia per qualche motivo si accanisce solo su Tizio, si può a ragione rimproverarne il comportamento parziale ma rimane il fatto che Tizio ha rubato l’autoradio.
- A livello di immagine, che sembra preoccupare il ministro, la sua risposta viene vista dalla stampa internazionale (americana in particolare) con sospetto e non come una forte risposta al terrorismo. Semmai a livello di immagine siamo visti come quelli che pieghiamo la testa ogni volta che dobbiamo chieder conto di azioni compiute dagli Stati Uniti a danno dell’Italia: strage del Cermis, Nicola Calipari, Ustica e ora anche Abu Omar (cfr. Los Angeles Times 30/12/2005)
- Senza il rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali si crea un far west che ha già le sue vittime: Khaled al-Masri, cittadino tedesco, è stato rapito dalla CIA nel 2003 mentre era in vacanza con la famiglia in Macedonia. Imprigionato e torturato per cinque mesi e poi rilasciato senza nessuna imputazione solo per un caso di omonimia (cfr. The Economist 8/12/2005 a The Washington Post 4/12/2005).
Il diritto a un equo processo sotto la tutela della legge è uno di quei principi garantisti che noi consideriamo profondamente connessi al concetto stesso di civiltà e per cui non abbiamo derogato, in linea di principio, neanche nel caso dei gerarchi nazisti o di Saddam Hussein.
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