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Darfour: semplificazione e moralizzazione del conflitto

di Voltaire, édition internationale - 22/03/2006

Fonte: voltairenet

Il conflitto nel Darfour è particolarmente complesso e comprende un gran numero di dimensioni in base alle quali valutarlo. Le violenze hanno, in primo luogo, un’origine locale e sono legate al tradizionale confronto che oppone le tribù di pastori a quelle di agricoltori, sedentarie. Di questi conflitti è piena la storia del Darfour ma, da venti anni, la regione conosce una spettacolare esplosione demografica (passando da 3 a sei milioni di abitanti) che rende più aspra la lotta per il controllo delle risorse. Una guerra mortale aveva già colpito la regione alla fine degli anni ’80, senza mai spegnersi veramente. A questa dimensione locale vengono ad aggiungersi delle problematiche nazionali. Così, si sono viste nel Darfour le conseguenze dei giochi di potere tra fazioni nel Sudan, un paese che non ha mai conosciuto veramente la pace dall’indipendenza ottenuta nel 1965. La guerra che oppone il governo di Khartoum ai ribelli del Sud dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan ha avuto spesso del ricadute nel Darfour, avendo il movimento del defunto John Garang sostenuto spesso in passato i movimenti ribelli del Darfour contro le forze governative e contro le milizie ad esse associate. Alla crisi del Darfour può essere aggiunta una dimensione regionale, dal momento che la Libia ed il Ciad sono intervenuti in questo conflitto (il presidente del Ciad Idriss Déby vi ha dei contatti, perché è da tale regione che egli condusse la sua offensiva per prendere il potere a Ndjamena nel 1990, imitando quello che il suo predecessore Hissen Habré aveva fatto prima di lui. Infine, va notato che in questi ultimi anni il Sudan non ha mai cessato di sviluppare la sua produzione petrolifera. La Cina vi è fortemente inserita e conta in loco decine di migliaia di operai cinesi. Anche la Chevron è installata nel Sud, come la TotalFina-Elf. La produzione di petrolio può essere ancora considerata di media entità se paragonata ai grandi siti di estrazione petrolifera, ma i siti sudanesi hanno il vantaggio di essere ancora poco sfruttati e potrebbero continuare a fornire petrolio per altri buoni quindici anni. L’estrema complessità della situazione non risulta nelle analisi e nei commenti della stampa dominante occidentale, soprattutto negli Stati Uniti. Gli analisti mediatici statunitensi non trattano la questione del Darfour che sotto l’angolazione del conflitto etnico o, più precisamente, del « genocidio » degli « Africani » da parte degli « Arabi ». Se il conflitto sfocia in massacri che colpiscono crudelmente le popolazioni sedentarie, è falso pretendere che l’opposizione si faccia su basi etniche oppure « razziali » e che questa divisione sia la fonte del conflitto. In realtà, le popolazioni sedentarie e nomadi sono tutte popolazioni nere ed arabizzate (più o meno da lungo tempo) che si sono ampiamente mescolate. Tuttavia, questa distinzione tra popolazioni permette di sviluppare una retorica con maggiore potere di mobilitazione delle opinioni pubbliche occidentali e di maschera sotto l’emotività e il terrore gli interessi sul petrolio del Sudan.



Dall’inizio del mese di febbraio, gli Stati Uniti occupano la presidenza di turno del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Iniziata la presidenza, la questione del Darfour, che era in gran parte scomparsa dalle prime pagine, ha ritrovato un’importanza di primo piano. I responsabili statunitensi hanno così moltiplicato le dichiarazioni in richiesta di un massiccio intervento militare. Il 3 febbraio, il segretario di Stato aggiunto per le questioni africane, Jendayi Frazer, ha dichiarato alla stampa che gli Stati Uniti contano di approfittare della presidenza del Consiglio di sicurezza dell’ONU « per tentare di rafforzare l’incarico dell’Unione africana nel Darfour ». Poi, progressivamente e con il sostegno di Kofi Annan, gli Stati Uniti hanno richiesto un dispiegamento di truppe della NATO, ossia la messa in applicazione di una vecchia domanda di Washington.



Queste dichiarazioni ufficiali si accompagnano a dibattiti sulla stampa, i quali provengono principalmente dalle fila dei democratici o da organizzazioni vicine a George Soros e che chiedono un impegno degli Stati Uniti nel conflitto, utilizzando una retorica simile a quella adottata in passato per giustificare i bombardamenti della Serbia in reazione ai disordini nel Kosovo.

Il capo della minoranza democratica alla Commissione Esteri del Senato, il senatore democratico del Delaware, Joseph R. Biden Jr, non fa mistero di questa affinità. Sul Baltimore Sun e su Gulf News, egli chiede un’operazione della NATO diretta dagli Stati Uniti, paragonabile alle operazioni in Bosnia e nel Kosovo. Riprendendo la retorica del dovere d’ingerenza o, nella sua più recente versione, della « responsabilità di protezione », egli assicura che Khartoum ha perduto de facto ogni sovranità attaccando la sua popolazione. In base a questo, la sorte delle popolazioni del Darfour appartiene alla responsabilità della collettività delle società civilizzate, che troverebbe la sua incarnazione nella NATO.

Gli autori di un rapporto dell’ONG Physician for Human Rights dedicato al Darfour, John Heffernan e David Tuller, fanno anche loro appello, sul San Francisco Chronicle, per una mobilitazione internazionale. Per loro, non vi è alcun dubbio che il governo di Khartoum armi le milizie janjawid e che sia il solo responsabile. Di conseguenza, gli autori chiedono che siano subito messi in atto dei sistemi di risarcimento per le vittime, essendo il governo sudanese considerato l’unico responsabile. Facciamo notare che Heffernan è anche membro del partito democratico (è stato presidente del National Democratic Institute for International Affairs a Guyana) e ha diretto la Coalition for International Justice a Washington. Quest’ultima ha avuto un ruolo centrale nell’organizzazione dei processi sull’ex Jugoslavia ed è stata fondata da George Soros.

Riferimento inevitabile della stampa statunitense quando si tratta del Darfour, il democratico John Prendergast, pure membro dell’International Crisis Group, di cui George Soros è amministratore, denuncia sul Los Angeles Times, assieme all’attore Don Cheadle, l’atteggiamento degli Stati Uniti nel Darfour. I due autori rimproverano in particolare la compiacenza della CIA nei confronti di Salah Abdallah Gosh, capo dei servizi segreti sudanesi. Gosh è presentato come un ex partner di Oussama ben Laden e come uno dei responsabili del « genocidio » nel Darfour. Per Prendergast e Cheadle, non vi è alcun dubbio che gli Stati Uniti debbano intervenire nel Sudan al fine di ristabilire il loro primato morale.



Tuttavia, questa retorica non sembra fare presa al di fuori degli Stati Uniti. Anche il tradizionale alleato britannico pare essere su di un’altra linea di condotta rispetto a Washington. Così, il ministro degli Esteri del governo di Tony Blair, Jack Straw, da un’immagine ben diversa della situazione nel Darfour in un articolo pubblicato dall’International Herald Tribune. Da Abuja, in Nigeria, dove si tengono i negoziati tra i movimenti ribelli del Darfour e le autorità sudanesi (negoziati totalmente ignorati dagli analisti mediatici statunitensi), il capo della diplomazia britannica presenta gli avvenimenti nel Darfour non come un genocidio, ma come una guerra civile per la quale soffre la popolazione. Per Straw, l’atteggiamento delle autorità di Khartoum e dei ribelli può essere messo alla pari. Del resto, egli si mostra particolarmente virulento contro i ribelli del Darfour che non si recano ai negoziati e sono, per lui, responsabili della maggior parte delle violazioni del cessate-il-fuoco.

Su AlarabOnline, il portavoce dell’esercito di liberazione del Sudan (nuovo nome dell’esercito di liberazione del Darfour), Aissam Eddine Al Hajj, plaude al discorso di Jack Straw ad Abuja, ma lo vede a suo modo. Egli afferma così che sono le autorità di Khartoum ad essere i soli responsabili della crisi e che il ministro questo ha voluto sottolineare.



Sullo stesso quotidiano, il giornalista Moukhtar al Dobabi ricusa anch’egli il punto di vista statunitense e vede in questo improvviso attivismo di Washington sulla sorte del Sudan, una manovra destinata a far esplodere il paese. Per lui, la volontà di far intervenire delle forze non africane nel Darfour va compresa come una nuova volontà di dividere un paese produttore di petrolio. Ricordando il precedente iracheno, l’autore ritiene che gli Stati Uniti abbiano dimostrato la loro volontà di attaccare tutti gli Stati petroliferi arabi, al fine di dividerli. Il giornalista mette in guardia le minoranze etniche sudanesi : promettendovi di difendere i vostri diritti, Washington cerca di dominarvi.



Réseau Voltaire



22 febbraio 2006



Autori e fonti


« U.S. must act now to end genocide in Sudan », di Joseph Biden Jr, Baltimore Sun, 9 febbraio 2006.

« Some hope for Darfur », Gulf News, 13 febbraio 2006.


« Ending the genocide in Darfur », di John Heffernan e David Tuller, San Francisco Chronicles, 12 febbraio 2006.



« Our friend, an architect of the genocide in Darfur », di John Prendergast e Don Cheadle, Los Angeles Times, 16 febbraio 2005.



« Darfur : Stop the killing, or pay the price », di Jack Straw, International Herald Tribune, 17 febbraio 2006.f



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« أزمة دارفور لا يمكن حلّها بالحرب », di Aissam Eddine Al Hajj, AlarabOnline, 16 febbraio 2006.





« السودان على خطى العراق », di Moukhtar al Dobabi, AlarabOnline, 18 gennaio 2006.