Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Possiamo mentire a parole, ma il nostro corpo dice chiaramente anche quello che non vorremmo

Possiamo mentire a parole, ma il nostro corpo dice chiaramente anche quello che non vorremmo

di Francesco Lamendola - 14/08/2009


A dispetto dell'antica massima di insuperabile saggezza, «conosci te stesso», la maggior parte degli esseri umani si sforza in ogni modo di nascondere accuratamente, a sé e agli altri, la propria verità interiore, ossia quel nucleo originario e luminoso da cui siamo chiamati a sviluppare i semi di onestà, rettitudine, benevolenza e compassione per l'altro, che rendono la vita degna di essere vissuta.
La ragione di questa dissimulazione va ricercata essenzialmente in una percezione negativa del proprio essere, accompagnata da sfiducia, indolenza e amore del quieto vivere, per cui si preferisce negare il problema, o camuffarlo, piuttosto che affrontarlo alla radice e tentare di risolverlo. In altre parole, chi possiede un basso grado di autostima, chi non si piace e non si ama a livello profondo, trova più semplice ricorrere alla scorciatoia della menzogna, invece di sobbarcarsi l'onere di affrontare un lungo e faticoso lavoro per migliorare se stesso.
Una delle forme che prende codesta menzogna esistenziale, mirante a far credere a tutti di essere una persona ben diversa da quella reale, è la parola ingannevole, la bugia deliberata; e, subito dopo, lo sono anche l'espressione del viso, cui si può, fino a un certo punto, comandare, e soprattutto gli espedienti offerti dal trucco, dall'abbigliamento, dalla chirurgia estetica.
Naturalmente, esistono sfumature, talvolta sottili, che fanno la differenza tra un comportamento menzognero ed uno, invece, assolutamente autentico: quel che conta è essenzialmente la motivazione. Così, ad atteggiamenti simili possono corrispondere motivazioni profondamente diverse: non è detto che il trucco, l'abbigliamento o la chirurgia estetica, siano sempre e soltanto rivelatori di una volontà di nascondimento; anche se è certo che l'uso pesante di questi strumenti indica un rapporto poco equilibrato con il proprio vero Sé, o, nei casi più gravi (ma oggi, purtroppo, relativamente frequenti), una totale ignoranza di esso e una strategia consapevole per ingannare se stessi o gli altri e per coprire il proprio vuoto spirituale.
In linea generale, potremmo dire che la persona capace di guardarsi dentro con un certo grado di onestà, di riconoscersi e di accettarsi, eventualmente cercando di correggersi e di perfezionarsi, può ricorrere all'aiuto del trucco, dell'abbigliamento e della stessa chirurgia estetica (almeno nei casi più delicati, come in presenza di traumi dovuti a gravissimi incidenti stradali o ai postumi di devastanti malattie), così come può farne a meno; non vive in funzione di essi, non li considera parte irrinunciabile del proprio modo di essere e di presentarsi.
Per la persona squilibrata interiormente, incapace di leggere in se stessa e di fare i conti con la propria verità interiore, al contrario, l'ausilio di strumenti esterni atti a modificare la propria immagine corporea risulta come una componente indispensabile della propria vita, in mancanza dei quali subentra uno stato di ansia che può degenerare fino al panico vero e proprio e a un incoercibile desiderio di fuga.
Per fare alcuni esempi banali: una donna sicura di sé potrà fare uso del rossetto oppure no, senza che, nel secondo caso, si senta in uno stato di accentuato disagio; potrà fare uso dei tacchi alti oppure no (indipendentemente dalla sua statura, perché la vera statura è quella che ci si sente); potrà fare uso dei cosmetici per sembrare più giovane, oppure no (indipendentemente dalla sua età anagrafica, perché la vera età di un essere umano è quella che egli sente di avere).
Certo, siamo sul filo del rasoio: non esiste una linea netta di separazione tra bisogno compulsivo di nascondersi dietro le apparenze, e normale desiderio di piacersi e di piacere; possiamo solo dire che uno stato di piena consapevolezza di sé rende superfluo, e perfino sgradevole, l'eventuale ricorso a forme di camuffamento estetico. In linea generale, accettare il proprio Sé equivale ad accettare anche il proprio aspetto fisico, poiché quest'ultimo non è che la manifestazione visibile, se così possiamo esprimerci, della propria anima.
Né si deve confondere la forza di carattere, espressione in se stessa vaga ed ambigua, con il raggiungimento della pace e dell'armonia interiori. Ecco qui una bella ragazza, dinamica, piena di vitalità, decisa nelle sue scelte: non esce mai di casa prima di essersi lungamente truccata e, in particolare, di aver depositato un abbondantissimo strato di rossetto, di un vermiglio quanto mai acceso, sulle proprie labbra, in modo da renderle non solo più vistose e sensuali, ma anche da ritoccare la loro forma, accentuandone le curve.
Siamo proprio sicuri che si tratti di una persona così sicura di sé e così forte di carattere, come tutti la ritengono? Questa è l'immagine che ella vorrebbe offrire agli altri; tuttavia, si tratta di un'immagine dalle basi estremamente fragili, per non dire posticcia: c'è qualcosa che non torna, in quel bisogno maniacale di ricorrere all'aiuto del rossetto prima di azzardare anche un solo passo fuori di casa.
Una persona realmente sicura di sé, ossia realmente pacificata con le proprie contraddizioni, è abituata a contare solo su se stessa: si mostra per quello che è, e si sente a proprio agio entro l'immagine naturale del proprio corpo.Sa, inoltre, che il fascino non è una qualità che si possa ottenere con il semplice ricorso ad espedienti artificiali, per il semplice fatto che è qualcosa di molto diverso, e di molto più profondo, della bellezza puramente fisica.
Se così non fosse, una quarantenne dovrebbe sempre sentirsi inadeguata rispetto a una ventenne; ma questo non è vero. Le rughe possono essere affascinanti, se portate con grazia e naturalezza; mentre diventano patetiche e sgradevoli, se nascoste dietro uno strato pesante di trucco che invano si sforza di occultarle.
Vale sempre la semplice massima secondo la quale è affascinante chi sta bene con se stesso; mentre può essere bello, ma di una bellezza fragile e transitoria, destinata comunque a sfiorire, chi punta solamente sull'apparenza o sui vantaggi dell'età giovanile. Lo stare bene con se stessi non ha direttamente a che fare con il dato anagrafico; o, se pure ce l'ha, solitamente equivale a un vantaggio non per le persone più giovani, ma per le quelle mature, le quali hanno avuto più tempo per farsi delle oneste domande e per darsi delle oneste risposte, giungendo a una autentica comprensione della propria verità interiore.
Sappiamo bene quale sia, generalmente, l'obiezione che muoverebbero, a questo punto, i sostenitori (e le sostenitrici) dell'importanza degli «aiuti» estetici al culto della propria immagine. Perché negare, essi dicono, l'importanza di tale aiuto, dato che non si è mai abbastanza belli da poter fare a meno di un po' di bellezza aggiuntiva? In pratica, costoro sostengono che anche una persona già bella, non ha motivo di disdegnare tutte quelle strategie che la possono rendere ancora più attraente, perché di bellezza non ce n'è mai troppa.
Ahimé, questa è proprio la filosofia dell'incontentabilità che precipita migliaia e migliaia di ragazze verso il baratro dell'autodistruzione. Non soddisfatte di quanto sono magre per natura (e, magari, lo sono già fin troppo), vorrebbero esserlo ancora di più, sempre di più, fino a diventare pressoché trasparenti. Incominciano così a sottoporsi a diete scriteriate che le inducono a maturare un vero e proprio rifiuto per il fatto alimentare, sino a spingerle nel tunnel dell'anoressia.
Si dirà che questi sono degli eccessi da evitare; ma che l'eccezione non smentisce la regola, ossia che la diffusione dell'anoressia non contraddice, di per sé,  il «naturale» desiderio di perfezionare la propria immagine esteriore, attraverso la ricerca di una figura sempre più sottile.
Ora, a parte la piatta dipendenza dai canoni di bellezza corporea vigenti, ma sempre effimeri, proposti ed imposti dalla società dell'immagine (solo cinquant'anni fa, il tipo fisico femminile da tutti ammirato era ben diverso da quello odierno), resta il fatto che la maturità di una persona si rivela anche attraverso la capacità di accettarsi, interiormente ed esteriormente, per quello che è, spezzando il circolo vizioso di una ricerca indefinita di perfezione.
Tutti siamo perfettibili; ma solo le persone immature e profondamente insicure inseguono all'infinito, con spasmodica ostinazione, un ideale di perfezione che hanno imparato ad invidiare attraverso la pressione dell'immaginario sociale.
Prendiamo, ad esempio, il caso di una donna non più giovane (ma il discorso vale anche per gli uomini…) che, ad un certo punto, decida di dichiarare guerra al proprio dato anagrafico e si trucchi, si vesta, si atteggi a ragazzina. Per un poco, la cosa può anche andare; tuttavia, mano a mano che passano gli anni, ella non tarderà a rendersi ridicola: perché è vero che l'età di una persona è quella che lei si sente di avere, ma è altrettanto vero che una persona equilibrata non cancella il principio di realtà e non si pone degli obiettivi impossibili, come quello di fermare il tempo.
Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: c'è un modo maturo e perfino affascinane di portare le proprie rughe, e c'è un modo pietoso e grottesco. Chi non è riuscito ad elaborare una filosofia dell'accettazione di sé, e quindi anche delle trasformazioni del proprio corpo, finirà per negare il principio d realtà: il che significa che, ad ogni nuova ruga che compare sul viso o sul collo, dovrà rispondere raddoppiando lo strato di cosmetico per nasconderla, in una rincorsa che si farà non solo più affannosa, ma anche più antiestetica, col passare del tempo.
La verità è che il nostro corpo non mente, non ne è capace, per quanto noi possiamo sforzarci di renderlo sempre meno naturale e sempre più artificiale.
Il nostro modo di stare in piedi o seduti, di camminare o di correre, di guardare o di riposare, dicono per noi anche quello che non vorremmo dire a parole, tradiscono i nostri segreti più intimi e rivelano di che stoffa siamo realmente fatti e a che punto siamo giunti con il processo di maturazione e di accettazione del nostro vero Sé.
E questo indipendentemente dai tatuaggi, dai ciondoli, dalle collane, dagli orecchini, dall'acconciatura dei capelli, dall'abbronzatura più o meno naturale, dai tacchi a spillo e da qualsiasi altro ritrovato che possiamo escogitare per tentare di raccontare agli altri, e a noi stessi, una verità di comodo, che riguarda solo la nostra facciata.

Dal libro di Marie José Houareau «Ginnastiche dolci» (titolo originale: «Toutes les Gymnastiques Douces», Parigi, Retz-C.E.P.L., 1978; traduzione di Andrea Caizzi, Milano, Edizioni Red, 1980, pp. 54-60):
«Possiamo reprimere volontariamente ciò che sentiamo, nascondere la nostra vita interiore? In certa misura, è possibile; ma il corpo non sa mentire bene, contraddice sovente la parola, e dice la verità anche quando noi siamo menzogneri. I minimi moti della vita interiore si manifestano in atteggiamenti e movimenti forse impercettibili, ma più significativi delle parole. […]
A fora d'esagerare l'importanza della voce quale mezzo di comunicazione, si finisce per dimenticare che si comunica essenzialmente tramite il corpo. Sono queste le conclusioni di un ricercatore americano, Albert Mehrabian, che ha attribuito, nelle situazioni di comunicazione che ha studiato, il 7% del contenuto al senso delle parole, il 38% al modo di pronunciarle, il 50% all'espressione del volto. Quest'ultimo è dunque l'elemento più importante della comunicazione, ed il viso è, insieme allo sguardo, la lastra sensibile delle nostre emozioni.
Esistono altri studi, non meno convincenti, a proposito del ruolo svolto da altri sensi, come l'olfatto ed il tatto..
Gli occhi, il corpo, non sono capaci di menzogna. Le ricerche effettuate all'università di Chicago dal dottor Eckard Hess e dai suoi collaboratori hanno messo in luce che le pupille si dilatano di fronte a uno spettacolo piacevole, per effetto di un processo inconscio: sappiano approfittarne i giocatori di poker! Specchio dell'anima gli occhi lo sono perché variando di dimensione le pupille tradiscono le emozioni che proviamo, in altri termini servono a comunicare. Hess ha scoperto che le pupille di un uomo normale diventano due volte più dilatate di fronte all'immagine di una donna nuda; d'interesse ancora maggiore è il fatto chele donne preferiscano immagini di donne con pupille piccole, mentre gli uomini trovano più seducenti le immagini di donne con le pupille dilatate!
Esistono espressioni o gesti universali il cui significato è identico per tutti gli uomini, senza distinzione di razza, colore, religione o cultura?  Darwin rispondeva affermativamente: tutti gli uomini, qualsiasi sia la loro civiltà, esprimono le loro emozioni con la stessa mimica. È quanto asseriscono anche Ekmann e Friese (ricercatori all'istituto neuropsichiatrico Langley Porter, in California), secondo i quali tutti gli esseri umani sono provvisti di un medesimo programma nervoso e muscolare che lega una data emozione a movimenti determinati dei muscoli facciali: il nostro cervello sarebbe programmato in modo che, quando siamo felici, gli angoli della bocca si rialzino automaticamente, il contrario accade quando siamo scontenti, e così via per diverse altre situazioni.
L'interesse, la gioia, la sorpresa, la paura la collera, la tristezza, il disgusto, il disprezzo e l'odio sono fenomeni affettivi primari per i quali esiste un programma innato. Il lavoro dei ricercatori che abbiamo citato  tenderebbe insomma a dimostrare che certe reazioni fisiche fondamentali fanno parte della nostra dotazione genetica.
Se è vero che esistono espressioni universali, come sosteneva Darwin, non bisogna però minimizzare il ruolo spettante alla cultura. Esistono varianti nazionali nell'uso del corpo. Secondo Edward Hall, due arabi che conversano stanno normalmente alla distanza d'un avambraccio, mentre nel caso di due americani la distanza normale corrisponde alla lunghezza del braccio libero.
"Una volta che si abbia imparato a leggerle - osserva Alexander Lowen - non v'è parola che sia altrettanto chiara delle espressioni de linguaggio corporeo. L'Io di chi sta curvo non può essere altrettanto forte di quello di un individuo che tiene la schiena diritta. Spalle incassate sono indice di collera repressa, spalle alate di paura, spalle accasciate di cedimento di fronte alle responsabilità. La relazione tra gli stati emozionali e la loro manifestazione psichica è indiscutibile, ed il  linguaggio corporeo - il modo di camminare, sedersi, muoversi - è il riflesso degli stati d'animo.
Non v'è struttura affettiva o tensione fisica che non si rifletta nel corpo, né espressione visibile del volto che non esprima un morto interiore. Il corpo smentisce o conferma il linguaggio parlato, e la verità si fa strada nei gesti.
Fra i vari metodi di cui disponiamo per difenderci, v'è quello di nasconderci dietro una maschera. Ogni giorno ci controlliamo minuziosamente, nel timore che il corpo non proclami messaggi che lo spirito desidera occultare; in generale il viso e il corpo sono sottomessi a rigida disciplina.
Del resto, i manuali di galateo contengono l'elenco delle maschere prescritte in società. Alla lunga, però, i sentimenti finiscono per influenzare il funzionamento del corpo, rendendone sclerotiche certe parti cui impongono precise caratteristiche.
La persona preoccupata prende l'abitudine di aggrottare le sopracciglia, ed essa gli diventa connaturata; la storia finisce per iscriversi sul corpo. Un altro modo di difendersi consiste nel cercar di modificare la propria immagine corporea.
Nessuno è soddisfatto della propria immagine del corpo, quasi che gli esseri umani si sentissero coartati e a disagio nella loro immagine corporea: è certo comunque che si tenta di cambiarla in tutti i modi possibili, modificando la propria apparenza grazie ai tatuaggi, al rossetto, ai cosmetici, alle sopracciglia false, ai cappelli, ai tacchi a spillo, alle spalle imbottite, tingendosi i capelli, ed anche seguendo scrupolosamente la moda. In questa ricerca d'uniformità va visto forse il segno di un desiderio inconscio di distrarre l'attenzione dal corpo reale: speriamo di valorizzarci ed apparire diversi dando di noi stessi un'immagine lusinghiera e soddisfacente. […]
Su rilegga la chiara spiegazione di W. Reich: "Il piacere e la gioia di vivere sono inconcepibili senza lotta con se stessi…Ogni rigidità muscolare contiene la storia e il significato della sua origine; dissolvendosi, essa non libera soltanto l'energia… ma riporta alla memoria la situazione infantile che ha dato origine alla rimozione.»

Concludendo, forse sarebbe ora che la smettessimo di rincorrere l'ultimo grido della moda e l'ultimo ritrovato della cosmesi, per tentare di piacere di più a noi stessi ed agli altri.
Forse, sarebbe ora che riscoprissimo l'antica verità che il modo più sicuro per piacersi, e quindi per piacere anche agli altri, è quello di essere quanto più possibile naturali, leali, trasparenti.
Chi possiede una bella anima, irradia un fascino sottile e irresistibile, che conquista le persone profonde e capaci di sentimenti autentici.
Chi non ha da offrire allo sguardo altrui che un bell'involucro di carne, ma assolutamente vuoto, non emana alcun fascino, ma solo una bellezza brutale e cadaverica, che potrà bensì attirare la concupiscenza e il desiderio interessato, ma solo da parte di individui altrettanto poco evoluti, altrettanto immaturi ed egoisti, pronti a gettarlo da parte, dopo averlo conquistato ed usato a proprio piacimento.
È opportuno che tanti uomini e donne incomincino ad uscire dal proprio narcisismo infantile e a riflettere seriamente su tutto ciò, domandandosi a  quale dei due destini preferiscano andare incontro: se quello di star bene con se stessi, ed essere apprezzati dagli altri a un livello profondo, oppure quello di suscitare fugaci vampate di desiderio ed essere poi respinti, ogni volta, nella propria solitudine (che può essere anche molto affollata) e nel proprio senso di inadeguatezza.