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Gabbie salariali? Olio di serpente spacciato per panacea

di Uriel - 14/08/2009

Fonte: Wolfstep

 

 
Gabbie salariali? Olio di serpente spacciato per panacea
 

Finalmente arrivano dei dati coerenti sulla crisi, o perlomeno arrivano dati coerenti con quanto si sapeva. Non è che i dati siano buoni (non lo sono per nulla) ma almeno ora è possibile fare qualche previsione.
Sul Pil tendenziale a -6%, misurato nel periodo di giugno, cioè nel periodo più nero della crisi, c’è poco da dire. Era ampiamente prevedibile e non è nemmeno così terribile come ci si aspettava. Si tratta di un dato essenzialmente tendenziale e, peraltro, di un dato complessivo dall’inizio della crisi (giugno dello scorso anno) al periodo più buio, e ci dice quanti danni abbia fatto: il 6% del nostro Pil è sfumato perché qualcuno di questi meravigliosi saggi, etici e astuti anglosassoni ama giocare al casinò con la finanza mondiale.
Se esistesse una class action internazionale, quello che succederebbe sarebbe che ogni nazione citerebbe in tribunale gli Usa e chiederebbe i danni per il casino provocato, ma sugli Usa una simile cosa non si potrà fare. In linea di principio, però, se fossimo in un mondo ordinato con un diritto comune, Uk e Usa dovrebbero venire trascinati in tribunale e costretti a pagare il conto di questo disastro: non vedo perché un paese come l’Italia che proibisce per legge di creare roba disastrosa come i subprime americani(le regole di monitoraggio sui rischi di credito bancario in Italia impediscono di erogare i mutui in quelle condizioni) debba pagare con il 6% del PIL il fatto che i signorini di Wall Street e della City abbiano deciso di giocare al casinò col mondo.
Il dato del -21% della produzione industriale invece è quello in linea con le previsioni, e oggi che arrivano i dati sul mondo reale si vedono i danni veri. Fine del sogno, gente.
Su una sola cosa non è possibile essere in accordo con la lettura di Confindustria, ed è riguardo all’energia: non possiamo continuare a chiedere alle aziende di risparmiare e tagliare gli sprechi, a Terna di investire nella rete, alla gente di installare elettrodomestici AAA, lampadine a basso consumo, di rinunciare all’aria condizionata, e poi dare troppo peso ad un calo del 2% su base tendenziale. Se la popolazione rimane costante, e inizia a risparmiare o a rendere “green” i propri consumi, il calo degli energetici è scontato.
È interessante il fatto che ad un calo del 21% della produzione industriale corrisponda “solo” un calo del 6%, il che significa che la produzione industriale di per sé stessa pesi meno del 28% del Pil. Anche considerando un 42% medio di prelievo fiscale, che si riflette in spesa pubblica, rimane un 29% di Pil di “rendita”.
A questo punto è possibile azzardare una previsione: con una simile perdita percentuale nell’ultimo anno, pur con il “condono” delle rate dei prestiti, un 10-15% delle aziende italiane, le piccole e medie, ha i giorni contati, e chiuderà entro fine anno.
Anche supponendo che la redditività sia alta, un calo del 21% non è recuperabile in un anno, e neanche in due anni: nemmeno con il condono dei prestiti, che al massimo farà calare momentaneamente i tassi di interesse, è possibile recuperare così tanto. Le pmi “borderline”, quelle caratterizzate da una certa infrastruttura e quindi da costi fissi, chiuderanno con perdite e creditori alla porta.
Di conseguenza, ottimismi o meno, vedremo una certa crescita dei “fortunati”, cioè di quelli che lavorano, ma gli sfortunati faranno dei bei fuochi d’artificio entro fine anno, credo che la dimensione del fenomeno diverrà preoccupante e finirà sui media già ad ottobre. Se i media staranno zitti, beh: non è che un problema sparisca solo perché non ne parli.

Le gabbie salariali

Con la crisi, puntualmente torna alla luce una vexata quaestio, che è quella delle “gabbie salariali”. Si tratta di una catastrofica visione, con la quale si pretende di usare una parte della nazione per fare social dumping, illudendosi che questo danneggerà la concorrenza straniera più che la rimanente metà della popolazione.
Le premesse viziate sono queste: dal momento che in alcune zone del paese il costo della vita è minore in maniera consistente, perché non adeguare al ribasso le retribuzioni allo scopo di rendere quelle zone attraenti agli investimenti?
Allora, prima di tutto metà della premessa non corrisponde al vero: è vero che il costo della vita sia mediamente più basso, ma è anche vero che le retribuzioni sono già più basse. Basta consultare le statistiche per notare una cosa: il reddito procapite medio di diverse regioni è diverso.
Per la Lombardia è di 32.126,7 euro per abitante (dato 2006).
Per l’Emilia Romagna è di 32.126,7 per abitante (dato 2006).
Per il Veneto è di 29.225,5 per abitante (dato 2006).
Per la Sicilia è di 16.531,5 per abitante (dato 2006).
Per la Calabria è di 16.244,1 per abitante (dato 2006).
Per la Basilicata è di 17.781,9 per abitante (dato 2006).
Dunque, la premessa è falsa: non c’è alcun bisogno di gabbie salariali, dal momento che il reddito procapite è già più basso: che senso ha lavorare per realizzare una gabbia salariale che esiste già?
L’operazione non è sbagliata solo sul piano logico, ma anche su quello economico: i prezzi che compongono il “costo della vita” sono prezzi di mercato, ovvero l’equilibrio di domanda e offerta. Se abbassiamo la domanda riducendo i redditi, l’equilibrio cambierà ancora, producendo magari la crescita di aziende che arrivano lì alla ricerca di manodopera a basso costo, ma le aziende locali verranno così distrutte, perché la nuova generazione di lavoratori avrà meno soldi in tasca.
Direte voi: ma anche le aziende beneficiano del minore costo della vita. Ni. Innanzitutto perché le carenze dei servizi di base (trasporti, etc.) pesano in termini di costo, in secondo luogo perché la pressione fiscale è uguale.
Ora, possiamo dividere la pressione fiscale in due parti: una pressione “percentuale”, qualcosa come l’Iva, che pesa in percentuale sul prezzo, e una pressione fiscale “assoluta”, cioè qualcosa come una tassa (un bollo sugli alcoolici, un’accisa, una tassa sul pane, etc.) i quali hanno valore assoluto, cioè sono per dire “tot euro per tot merce”.
La gabbia salariale, abbassando il reddito procapite, non fa altro che aumentare il peso relativo della pressione fiscale assoluta e delle spese fisse non percentuali, cioè accresce il peso dei balzelli come la tassa sull’adsl, il costo di ricarica, la tassa regionale, le tasse comunali a tariffa fissa, il costo dei servizi, lo stupido biglietto degli autobus, eccetera.
Allora, la domanda è: si intende rimodulare anche la pressione fiscale, oppure si intende lasciare i costi fissi di misura assoluta tali e quali per abbassare il reddito medio procapite? Se la risposta è come temo, cioè la seconda che ho detto, si otterrà che una più grande percentuale dei redditi finirà in spese fisse ed in balzelli di dimensione fissa, togliendo ancora potere d’acquisto.

Famiglie più povere

Il risultato saranno famiglie più asfittiche, aziende locali che risentono di minore domanda, aziende non locali che arrivano con investimenti di breve termine, i quali non offrono vere prospettive di sviluppo.
L’idea delle gabbie salariali sarebbe fattibile se si intendesse rimodulare tutto il fisco locale, sbilanciando così la politica vi versamenti da una regione all’altra e dalle regioni al centro, e se si intendesse rimodulare tutti i “costi fissi” cioè se fosse possibile un controllo del mercato molto più potente di quello in atto in Italia: per chi guadagna di meno tutto è più caro, e questo produce ancora contrazione dei consumi e asfissia le pmi locali a favore di colonizzatori di breve termine.
Ma la concorrenza fiscale e la concorrenza salariale tra regioni sono dei disastri assoluti come politiche: sebbene le si possa pensare come fattibili nel breve termine, esse producono il risultato di aggravare i problemi che intendevano risolvere, e quando il problema si aggrava tali politiche vengono spesso attuate ancora più in profondità, fino a quando non arriva il politico che ha il coraggio di abrogarle.
Dico “il coraggio” perché una volta creata la gabbia salariale si è creato un bel business di aziende che sfruttano la gabbia per investimenti di breve termine: creato il business, chi chiude il rubinetto deve farci i conti in termini elettorali. Se cioè le gabbie salariali funzionano allora diventano un circolo vizioso che richiede gabbie sempre più forti, mentre se non funzionano si limitano ad abbassare il reddito procapite senza nemmeno portare investimenti.
Le gabbie salariali, oltre ad essere inutili e controproducenti, si basano sull’assunto che a diverso costo della vita corrispondano redditi uguali, cosa che non è. Magari è vero nel mondo del pubblico impiego (che al Sud è forte) e della grande industria (che al Sud è debole) ma non è vero nella globalità dell’economia, che invece mostra redditi procapite dimezzati rispetto al nord, e quindi vive già in una gabbia salariale.
Si tratta del solito olio di serpente spacciato per panacea, e non capisco se sia una sparata da governo balneare oppure una fesseria leghista d quelle che a forza di ripeterla diventa vera: il reddito procapite di quei posti è già più basso, le gabbie salariali esistono già, e non è che diano tutti questi vantaggi.