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Una pagina al giorno: Vivere in armonia con la natura, di Franco Tassi

di Francesco Lamendola - 17/08/2009


Del naturalista e studioso di ecologia Franco Tassi ci siamo già occupati, e sia pure di sfuggita,  nel recente articolo «Perché non amiamo la natura? Una riflessione sulle responsabilità della cultura contadina» (sempre consultabile sul sito di Arianna Editrice).
Nato a Roma nel 1938, è stato docente di Ecologia applicata presso la Facoltà di veterinaria all'Università di Napoli, e di Conservazione della natura all'Università di Camerino; nonché membro, per 20 anni, del Consiglio nazionale del WWF Italia.
Dal 1977 è stato promotore del Comitato Parchi nazionali e Riserve analoghe, patrocinato sia dal Ministero dell'Ambiente che da quello della Marina mercantile,  e che riunisce e coordina tutti i responsabili dei parchi nazionali italiani.
Per oltre trenta anni è stato direttore del parco Nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, venendone allontanato nel 2002 dal Consiglio di amministrazione dell'Ente parco, per essere venuto meno il rapporto fiduciario: ultimo atto di una intricata vicenda, anche giudiziaria, connessa ad interessi economici speculativi e all'inerzia dell'ambiente politico nei confronti del Parco stesso, ghiotto boccone da cogliere per quanti hanno a cuore più il perseguimento di obiettivi privati, anche illeciti, che la tutela della natura e i valori dell'ecologia.
Come scrittore, Franco Tassi è particolarmente conosciuto per avere redatto, in collaborazione con Fulco Pratesi, una nutrita serie di monografie dedicate alle varie regioni della Penisola, nella collana divulgativa illustrata «Guida alla natura d'Italia», pubblicata con successo dalla Casa editrice Mondadori nel corso degli anni Settanta del Novecento.
Ha scritto anche diversi altri libri di argomento naturalistico ed ecologico, che si segnalano tutti per la chiarezza didattica, per la limpidezza dello stile, per l'accuratezza e la precisione dell'informazione.
L'atteggiamento di Tassi nei confronti della questione ambientale è pragmatico, ma, al tempo stesso, ispirato a profondi valori filosofici, in sintonia con l'odierno recupero della cultura pellerossa del Nord America, di cui il Nostro si rivela - anche nel brano che abbiamo qui deciso di presentare - un fervido ammiratore.
Un altro aspetto di originalità, che testimonia l'apertura mentale e la disponibilità a confrontarsi anche con le tematiche di frontiera, è l'attenzione dimostrata da Franco Tassi per le questioni relative alla Criptozoologia, ossia la scienza degli animali non ufficialmente riconosciuti e classificati dalla scienza zoologica, ma della cui esistenza esistono tracce di vario genere e testimonianze attendibili di avvistamenti da parte dell'uomo.
A differenza della maggior parte dei suoi colleghi accademici, i quali - almeno in Italia, fanalino di coda  anche in questo campo - preferiscono scrollare le spalle e voltare la testa dall'altra parte, per il timore di farsi la fama di creduloni e di vedere così squalificata la propria «serietà» scientifica, Franco Tassi si mostra aperto su questo ramo poco frequentato della Zoologia, sia pure con le doverose cautele che vi si richiedono.
Alcuni suoi lavori in materia, che si segnalano anch'essi per la precisione e la ricchezza della documentazione, sono reperibili, oltre che nei volumi editi a stampa, anche su Internet; e, in essi, appaiono anche più evidenti le doti letterarie del Nostro, tali da renderne estremamente appassionante la lettura.

Dal libro di Franco Tassi «Animali a rischio. Salvare la fauna del mondo, un impegno per l'umanità» (Milano, Editoriale Giorgio Mondadori, 1990, pp. 7-9):

«Quando la nave della "pace verde", cioè l'intrepida imbarcazione della ben nota organizzazione  ecologista Greenpeace, venne affondata nell'estate 1985 sulle coste neozelandesi da qualcuno interessato a far proseguire indisturbati gli esperimenti nucleari francesi, molti si chiesero come mai essa portasse lo strano nome di "Rainbow Warrior", e cioè Guerriero dell'Arcobaleno.
Quel nome fantasioso ha una storia non meno suggestiva delle imprese di Greenpeace, la cui peculiare combattività, consistente nell'opporsi allo scempio ambientale non a parole, ma con i fatti - benché sempre con azioni del tutto pacifiche - ha consentito agli ambientalisti di vincere molte importanti battaglie. Esso trae ispirazione dalla cultura naturalistica dei Pellerossa americani, oggi in via di riscoperta e di rivalutazione da parte dei discendenti degli stessi coloni che un tempo li perseguitarono e li sterminarono.
Come diceva Dan George, capo degli Indiani Capitanos, "nel nostro tempo le persone parlavano alle cose della natura, come se avessero un'anima", e nella natura sta la vera ricchezza del mondo: "l'uomo deve essere circondato dalla bellezza, se si vuole che la sua anima diventi più grande". Anche la "canzone che guarisce", una sorta di nenia notturna dei Navajos, invocava infatti: "Possa esserci bellezza tutt'intorno a me…".
La cultura pellerossa aveva persino previsto che, un giorno, sugli animali avrebbe potuto incombere la minaccia di scomparire totalmente, distrutti dall'egoismo e dalla stupidità dell'uomo. A chi sarebbe allora toccato il compito di salvarli? "Quando gli animali della Terra saranno stati cacciati fin quasi all'estinzione, un Guerriero dell'Arcobaleno, ornati dai più fantastici colori - così narra la leggenda degli Indiani delle Montagne Rocciose riferendosi alla "visione" apparsa a due di loro - scenderà dal cielo e li proteggerà sottraendoli al loro nefasto destino." Udito questo messaggio, continua la storia pellerossa, tutti guardarono verso Oriente e videro un grande arcobaleno fiammeggiare nel cielo, dov'era passato il temporale. "L'arcobaleno è un segno da parte di colui che è tutte le cose - disse un vecchio saggio - è il segno dell'unione di tutti i popoli come una grande famiglia. Vai alla cima della montagna, figlio della mia carne, e impara a essere un Guerriero dell'Arcobaleno: perché è soltanto diffondendo amore e gioia agli altri che l'odio su questo mondo può essere trasformato in comprensione e gentilezza, e che guerra e distruzione finiranno".
È noto del resto che i Pellerossa vivevano in mirabile armonia con la natura, prelevando soltanto ciò che occorreva per sopravvivere, in nome dell'altro sacro principio - "Con tutti gli esseri e con tutte le cose noi saremo fratelli" - che li faceva guardare a ogni altra creatura vivente con amore vivissimo e con profonda sensibilità.
Un'immagine ben diversa, dunque, da quella che ci è stata tramandata dalla pseudocultura "western" e da una certa tradizione dei pionieri colonizzatori. E del resto la nobile risposta del Capo Sealth dei Duwanish, al presidente degli Stati Uniti d'America, che voleva acquistare le terre degli Indiani nel 1855: "Come si possono comprare e vendere il cielo e il calore della Terra?"-, è rimasta giustamente famosa, degna di figurare come perla in ogni antologia "verde". E la filosofia dei "selvaggi" Pellerossa ha, ancor oggi, moltissimo da insegnare al mondo occidentale oppresso dai propri miopi egoismi e avviluppato nella perversa spirale della violenza contro la natura, che torna fatalmente a danno della stessa umanità.
"Tutte le cose sono connesse: tutto ciò che accade ala Terra, accade anche ai suoi figli - affermava ancora il Capo Sealth un secolo fa - non è l'uomo che ha tessuto la trama della vita! egli ne ha soltanto il filo. Tutto ciò che egli fa ala trama, lo fa a se stesso". […]
Aggrovigliate in mille intricatissimi e misteriosi rapporti, milioni di specie diverse di piante e animali popolano la biosfera, vale a dire quel sotto le strati del nostro pianeta dove, tra terra, aria e acqua, è possibile la vita. Nel regno zoologico, le entità più numerose, largamente diffuse e persino invadenti, sono senza dubbio la mosca domestica e l'uomo. Se si dovesse un giorno stabilire a quale delle due attribuire il primato di specie più dannosa per tutte le altre, la scelta risulterebbe piuttosto imbarazzante e difficile… ma solo in apparenza: perché, certamente, il ruolo di "nemico numero uno" verrebbe infine aggiudicato alla mosca (anche in considerazione del fatto che, a decidere in proposito, non potrebbe essere che l'uomo).
Ma la storia dell'unico pianeta privilegiato dalla vita, se un giorno sarà scritta, documenterà invece una realtà profondamente diversa. E dirà di centinaia di specie di animali splendidi e preziosi, annientate dalla cecità di un essere che, ritenendosi centro e despota dell'universo, si muoveva nel cuore di delicati ecosistemi con la grazia sguaiata di un pachiderma bendati e ubriaco, collocato all'interno della più fragile cristalleria. I naturalisti degli anni Sessanta calcolavano a 3 milioni le specie zoologiche viventi, poco più di metà delle quali soltanto finora descritte e conosciute per la scienza (per la stragrande maggioranza, insetti). Ma oggi si pensa che in realtà gli animali viventi sulla Terra siano molti di più, e gran parte di loro rischia purtroppo di scomparire silenziosamente per sempre, prima ancora di essere stata individuata e conosciuta. Secondo molti studiosi, infatti, vi sarebbero nel mondo oltre 10 milioni di entità diverse di viventi, con una concentrazione estrema nelle zone equatoriale e specialmente nelle foreste tropicali: ma il ritmo di distruzione è tale che, già oggi, scompare e una specie al giorno, e non è lontano il tempo in cui l'estinzione mieterà le proprie vittime al ritmo di una ogni ora. Un quarto di tutti gli animali viventi potrebbe essere così annientato entro la fine del secolo.
Estinzione è per sempre, avvertono gli ambientalisti, e questa potrebbe essere l'ultima generazione a vivere in un mondo ricco di specie. Una triste "Lista nera" registra le vittime più illustri - almeno 284 mammiferi e 177 uccelli estinti dal 1600 a oggi -, mentre una "Lista rossa" segnala quelle più vulnerabili e minacciate. Quest'ultima, nella sua più aggiornata versione, include tra gli animali a rischio 4.589 specie diverse: 555 mammiferi, 1.073 uccelli, 186 rettili, 54 anfibi, 596 pesci e 2.125 invertebrati. Ma si tratta di un elenco limitato soltanto dalla scarsezza di adeguate conoscenze, e destinato purtroppo ad allungarsi ogni giorno di più.
È la strana, assurda guerra globale che una sola specie, "Homo sapiens", ha sferrato contro le altre creature del mondo, e, com'è ormai evidente anche ai più disratti, c'è poco da dubitare su chi ne uscirà vincitore. Come ha scritto l'ambientalista Nicholas Georgescu-Roegen, "geni atavici molto resistenti fanno dell'uomo un animale fondamentalmente aggressivo ed egoista". Sta proprio qui il suo successo su ogni altra specie vivente: ma si tratta di una vittoria di Pirro di cui c'è poco da rallegrarsi, se nel destino futuro dell'uomo non si dovesse scorgere altro che un crescente deserto creato da lui stesso sul proprio camino. La vera intelligenza dell'umanità consisterà quindi nel continuare ancora su questa strada, o nel percepire per tempo il proprio tallone di Achille, decidendo al più presto di cambiare rotta?»

Sono evidenti, in questo brano, le caratteristiche peculiari della scrittura di Franco Tassi: la limpidezza stilistica, la pacatezza ma anche la stretta consequenzialità dell'argomentazione, la puntualità dei dati e dei riferimenti, la concretezza e l'urgenza del problema ambientale, che è soprattutto una questione di cultura e, quindi, di educazione.
Fino a quando non si riuscirà ad apportare un significativo cambiamento negli indirizzi culturali della società odierna, fino al punto di rendere persuasa la maggioranza dei suoi membri, o almeno una quota significativa di essi, che la sopravvivenza dell'ambiente naturale, delle piante e degli animali, è indispensabile alla sopravvivenza dell'uomo stesso, non vi è da sperare che le attuali, distruttive modalità di approccio dell'uomo nei confronti dell'ambiente, subiscano una apprezzabile battuta di arresto.
Non vi è dubbio che l'unica specie vivente altamente pericolosa per tutte le altre sia quella umana, specialmente ora che essa possiede i mezzi tecnici per procedere molto più speditamente nel proprio cammino di devastazione, come abbiamo già avuto occasione di ribadire nel nostro recente articolo «Un mondo senza più esseri umani sarebbe migliore  peggiore dell'attuale?»; così come avevamo ricordato il ruolo insostituibile svolto dalle ultime foreste equatoriali, nelle quali si concentra quasi tutta la biodivesità sinora sfuggita alla rapacità e alla insensata distruttività umane, nell'articolo: «Difendere le ultime foreste del pianeta per salvare il bene inestimabile della biodiversità» (entrambi reperibili sul sito di Arianna Editrice).
«Che cos'è l'uomo senza gli animali?», si domandava il capo pellerossa Sealth; e rispondeva, con una saggezza che dovrebbe far riflettere profondamente noi uomini moderni e "civili": «Se tutti gli animali scomparissero, l'uomo morirebbe di una grande solitudine di spirito. Poiché qualunque cosa capiti agli animali, presto capita anche all'uomo».
Ci sembra che un libro come «Animali a rischio» di Franco Tassi - che è, oltretutto, molto ben scritto - potrebbe e dovrebbe essere adottato quale libro di testo nelle scuole medie e superiori dai docenti di Scienze naturali e anche, perché no?, da quelli di Italiano, quale testo di lettura che sottopone al giovane studente dei problemi estremamente importanti, con i quali la nostra società deve imparare a fare i conti, prima che sia troppo tardi.
Secondo Franco Tassi, noi ci troviamo alle prese con una nuova versione dell'antica storia biblica dell'Arca di Noé, con la sola differenza che, questa volta, l'immane distruzione che si sta abbattendo sul mondo dei viventi è provocata solo ed esclusivamente dall'egoismo e dalla cecità degli esseri umani.
Anche oggi, come allora, è necessario pensare al modo di mettere in salvo le specie viventi, che costituiscono la ricchezza incomparabile del nostro pianeta; ed è necessario farlo in fretta, perché ormai il tempo stringe e la distruzione sta procedendo, inesorabile, al ritmo di parecchie specie vegetali ed animali che scompaiono ogni giorno.
Possibile, si domanda Tassi, che l'uomo del terzo millennio non sia in grado di arrivare ad un livello di consapevolezza ambientale comparabile a quello di uomini come il capo indiano Sealth, che ammoniva il presidente degli Stati Unirti d'America, alla metà del XIX secolo, circa la impossibilità e la follia che l'uomo si consideri proprietario della terra, del cielo, delle acque e delle specie viventi che popolano il nostro mondo?