Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La questione "Agnelli"

La questione "Agnelli"

di Gianfranco La Grassa - 17/08/2009


BENE MA SON SOSPETTOSO
Il 14 agosto u.s. Libero – seguito ma a “rispettosa” distanza da Il Giornale – dedica le prime tre
pagine, e un editoriale comunque “piacevole” di Belpietro, ad un attacco non leggero alla famiglia
Agnelli, ma anche di fatto alla Fiat, per il (presunto) tesoretto che si (presume) portato all’estero per
evitare “fastidi” fiscali. Nell’editoriale si ricordano fra l’altro gli errori marchiani commessi
dall’Avvocato in tema di gestione aziendale, primo fra tutti quello del 1988 quando, nello scontro
tra Ghidella (notevole manager industriale ed esperto di settore auto) e Romiti (un puro manager
finanziario), egli diede ragione al secondo mettendolo al vertice dell’azienda con quel che ne seguì:
le ridicolaggini della “qualità totale” (cantata dai nostri ultrarivoluzionari “operaisti”, veri lacchè
del grande capitale), i disastri industriali e finanziari con grandi quantità di soldi succhiate allo Stato,
il quasi fallimento con rovina di tanti piccoli risparmiatori in seguito a crolli azionari e obbligazionari,
infine il “miracolo” su cui si stende ancora un velo (e perché?). Si ricordano inoltre, in altri
articoli, le continue sovvenzioni statali all’azienda, di cui si dice esplicitamente che “pubblicizzò le
perdite e privatizzò i profitti”. Belpietro constata inoltre come tutti gli altri giornali, in specie di sinistra,
abbiano messo la sordina al fatto, domandandosi – immagino retoricamente, dato che si sa
chi ancora possiede o finanzia questi giornali (di sinistra e antiberlusconiani) – come mai il potente
di un tempo, ormai morto da 6 anni, incuta ancora timore.
Tutto bene, ma sono sempre un po’ sospettoso – nessuno me ne voglia – e mi lancio in considerazioni
forse un po’ fuori tema perché più generali, magari troppo generali, per poi arrivare a pormi
qualche domanda. Chiariamo che sono un marxista da non confondere con quelli che magari attribuiscono
a Marx l’affermazione di Proudhon: “la proprietà è un furto”. So bene che il capitalismo
non ha prosperato, e sinora sempre vinto malgrado tutte le chiacchiere contro, sulla base dei furti.
Va comunque ricordato che è ineliminabile il dualismo – tipico della forma mercantile – tra prodotti
(merci appunto) e denaro necessario a comprarle. Poiché il capitalismo nemmeno prospera sul consumo
bensì sulla produzione, che esige investimenti cioè compera dei fattori produttivi per poterli
organizzare e ottenere prodotti e profitti, il settore finanziario, quello che tratta e commercia il denaro
(ed equivalenti), è del tutto indispensabile. Piaccia o non piaccia, ne conseguono sempre due ineliminabili
fenomeni: l’autonomizzazione di tale settore (che a un certo punto crede nel denaro che
“produce” altro denaro) e la sua crescita dunque abnorme con il logico corteggio di autentici furti o
comunque imbrogli e malversazioni vari (Madoff è solo la punta dell’iceberg; non raccontiamoci
favole sull’“eccezione criminale”).
Al contrario dei “marxisti” scolastici – purtroppo questi sono stati la norma nello sviluppo di tale
corrente di pensiero – penso la crisi (che nel capitalismo inizia sempre dalla finanza e i suoi “eccessi”;
rigorosamente tra virgolette!) come un “salasso”, una grossa “malattia di risanamento”, certo
attuata a spese di tutta la collettività. Essa non fa però crollare nessun sistema organizzato sulla base
dell’impresa e del mercato. La crisi è l’occasione per l’intervento di “dottori” – spesso gli stessi che
fino ad un momento prima negavano che potesse scoppiare, ma con l’aggiunta di qualche altro un
po’ più intelligente e “fino” – con le loro proposte di “moralizzazione” degli affari, di una stretta
regolamentazione e controllo della finanza, di comminare eventuali punizioni, ecc. Talvolta, in concomitanza
con questi interventi, si effettuano pure mosse in contrasto con l’evasione fiscale; altrettanto
inevitabile in quanto fenomeno magari da ridursi a più modeste proporzioni, colpendo perfino
grossi ricconi (tipo appunto gli Agnelli), per dimostrare che il capitalismo è “riformabile”
dall’interno.
Il capitalismo o forse i capitalismi sono società di un certo tipo, con le loro trasformazioni (più o
meno profonde e irreversibili) attraversate da cicli, che non sono affatto solo economici ma di mentalità,
di tendenze “degenerative” o “rigenerative”, di allentamento “morale” e poi a volte di nuovo
“rigore” (ma in forme ormai mutate), ecc.; il tutto sempre virgolettato, poiché relativo ai diversi
punti di vista possibili. Tali misure non sono sempre effettuate (spesso solo tentate) per semplice
furbizia tesa ad ingannare “il popolo”; pur se certamente le mosse di Obama – a partire dalla nomi2
na a Segretario al Tesoro proprio di Geithner, grande “amico” delle banche americane, che stanno
riprendendo il loro abituale tran-tran così tanto criticato durante la fase acuta dello sconquasso finanziario
da derivati, subprime, ecc. – lasciano pensare ad una qualche “mala fede”
nell’indignazione per le pratiche seguite dai finanzieri. Tuttavia, l’indignazione è spesso sincera e la
volontà di mettere ordine pure. E’ però come il predicare delle varie chiese – la nostra ai primi posti
– intorno alla bontà, generosità, fratellanza, ecc. fra gli uomini; con richiesta di sincero pentimento
per ogni atto che, costantemente e ripetutamente, contravviene a simili comportamenti, e successiva
concessione del perdono (sicuro), soprattutto non appena il peccatore muore. E’ tassativo che le
chiese svolgano una simile (predic)azione, e non si tratta affatto (non sempre comunque) di ipocrisia;
tuttavia gli uomini continueranno a “peccare”, e guai per le chiese se così non fosse, avrebbero
terminato il loro compito.
In definitiva, nessun particolare scandalo per come procede il nostro sistema sociale, nessuna
convinzione sciocca che esso stia per “tirare le cuoia”; quasi certezza invece che siamo comunque
ad un trapasso d’epoca – e credo appena cominciato, tenuto conto della lunghezza di tali fasi nella
storia – in cui si manifesterà in forme radicalmente diverse una “sostanza” che resta più o meno la
stessa o assai simile; con riferimento non soltanto al sistema sociale definito, con perfino eccessiva
generalizzazione, capitalistico, ma anche a tutte le altre forme sociali precedenti. Circa le future, mi
consento di non pensarle nemmeno poiché ho abbastanza fantasia, non tanta però da precorrere i
secoli e millenni. Sono impegnato da anni, e continuerò finché possibile, a riflettere sul capitalismo(
i), cercando di recuperare un po’ del tempo perso ad elucubrare intorno a questo soggetto insieme
ad altri sclerotici “pensatori” denominati (sbadatamente) “marxisti” o quanto meno economisti
e sociologi “critici critici” della nostra società. Torniamo adesso a considerazioni di più breve
momento.
*****
Ho iniziato sostenendo di essere sospettoso circa questo duro attacco agli Agnelli, e apparentemente
alla Fiat, da parte di convinti assertori della bontà del capitalismo, soprattutto se lasciato alle
“leggi” del libero mercato; si è addirittura usata una formula – “pubblicizzazione delle perdite e privatizzazione
dei profitti” – largamente, e solitamente, usata dai sunnominati “marxisti” e “critici
critici”. Il primo sospetto è che si voglia sostenere la “illiceità” di ogni intervento dell’autorità statale;
illiceità nel senso che verrebbe impedito il raggiungimento del massimo soddisfacimento dei
consumatori, conseguibile esclusivamente qualora si lascino apertamente scatenarsi gli animal spirits
imprenditoriali. Tutto sommato, questa ideologia liberista sarebbe un “peccato” (di scorretto
pensiero) dello stesso livello di gravità di quello dei soliti “marxisti” e “critici critici”. L’importante
è che non ci sia qualcosa di aggiuntivo e allora peggiorativo.
Il mercato capitalistico è libero quanto lo è un gatto di amare il topo, quanto lo sono io di centrare
infine il 6 al superenalotto con una schedina da euro 2,50. Come ho detto, da anni sto riconsiderando
la nostra società e mi sono ampiamente accorto del mascheramento attuato – non sempre con
il deliberato intento di ingannare – dalle correnti ideologiche dell’economia dominante (non solo
liberista). Un errore duplicato da quel “marxismo” che si è rifatto a Marx trattandolo come fosse un
povero guitto da avanspettacolo, con piroette da principiante su traballanti assi “matematiche”. I
dominanti capitalistici – quelli che prendono infine la supremazia – sono strateghi molto seri che
sanno quali mosse azzeccare, con quali strumenti agire, quali finalità mettere in primo piano, ecc.
La loro lotta, quanto più si fa acuta, e “multipolare”, produce scombinamenti gravi dei vari assetti
sociali, mettendo comunque in moto dinamiche complesse, di cui quelle economiche sono eclatanti,
spesso dannose per la vita quotidiana delle “genti”, non però certo quelle realmente decisive per
vincere nella lotta per la supremazia. Occorre la politica – applicata ampiamente nella stessa sfera
economico-finanziaria, ma non affatto in questa soltanto – poiché si tratta della principale attività
quando si debbano realmente spostare i rapporti di forza fino a “farli pendere” dalla propria parte.

La Fiat è sempre stata la capofila di gruppi dominanti (finanziari e industriali, la GFeID) pronti a
servire lo straniero non appena ciò risultasse loro conveniente; essi fanno insomma parte di quello
spirito particolare delle classi “dirigenti” (si fa per dire) italiane (aggettivo del tutto improprio in tal
caso) sempre coadiuvanti le scorribande e imprese di “armate” pronte ad invadere e devastare il nostro
paese, lasciando qualche misera compartecipazione ai “traditori” che hanno “aperto le porte”.
Ove la compartecipazione non basti, ecco scattare allora anche la “pubblicizzazione delle perdite”,
il succhiare le risorse della nostra collettività produttrice tramite uno Stato governato da gruppi politici
compiacenti. Craxi fu spesso in urto con la Fiat (però soprattutto con gli Agnelli) e anche per
questo, probabilmente, favorì la nascita di gruppi – fra cui il principale divenne quello guidato da
Berlusconi – che giocassero un ruolo di contraltare rispetto alla GFeID capeggiata dall’azienda torinese.
Comunque, gli equilibri nei rapporti di forza furono tali che in definitiva – come durante il fascismo,
che dovette tenersi questa serpe in seno fino all’aperto voltafaccia di Fiat & C. nel 1943 – simili
gruppi dominanti parassiti hanno continuato nel loro andazzo. Dopo il crollo del vecchio centrosinistra
Dc-Psi (e già ho detto molto su Mani Pulite, il panfilo Britannia, le privatizzazioni, ecc.),
il predominio dei gruppi in questione rischiò di divenire totale e di sprofondare il paese in una dipendenza
dallo straniero di tipo medievale (o comunque pre-Unità d’Italia). Per motivi che non conosco
– non parlo di quelli momentanei ed evidenti, vorrei capire quelli più profondi e strutturali –
l’entrata in campo Berlusconi, non a caso odiato quanto Craxi, impedì di fatto il pieno successo degli
(s)venduti allo straniero (Usa). Si è tentato di tutto – arrivando ad un degrado della polemica e
diffamazione solo personale e antipolitica di cui vergognarsi (ma la sinistra non ha nemmeno più la
minima dignità per vergognarsi) – pur di liberarsi del “parvenu”. Se questi ha resistito, non può essere
per semplici meriti personali, ma per la struttura socio-economica (e culturale) italiana, sulla
cui analisi siamo in forte difetto.
La Fiat – e non in quanto proprietà della famiglia Agnelli ma quale capofila della GFeID – non è
riuscita a riprendere in mano la situazione come sperava e credeva, malgrado questo blocco parassitario
abbia il controllo dei media (che non è affatto di Berlusconi come dicono i mentitori di sinistra)
e di quasi tutte le forze politiche, di cui però la sua “preferita”, la sinistra tutta (anche gli ultrarivoluzionari,
i più verminosi), è in pappe. La Confindustria ha cambiato tattica e, alla Obama, usa
quella serpentesca. Con “l’altra mano” però cerca, nella sua disperazione attuale, di servirsi dell’Idv
e altre forze, magari minoritarie ma di scasso, al fine di creare situazioni pericolose di sfascio istituzionale
e di disgregazione sociale, sperando evidentemente in un possibile intervento di “corpi speciali”
cresciuti con la Nato e con l’“occidentalismo” per “rimettere un po’ d’ordine”, servendosi pure
degli scherani del centrodestra, che sono senz’altro più numerosi dei “berlusconiani” doc; questi
ultimi, al momento, resistono solo per il seguito che ha il “capo”, non certo perché esista una vera e
ben strutturata rete di potere: né politico né mediatico né culturale.
Le grandi imprese ancora semipubbliche non cedono agli attacchi – tipo quelli che vogliono separare
la rete di distribuzione dell’energia dall’Eni – e chiedono maggiore rappresentatività dentro il
covo degli avversari, la Confindustria. I manager di tali imprese mostrano una certa sicurezza e decisione
nel rintuzzare le provocazioni degli avversari (servi di sinistra in testa), ma non ho alcun elemento,
né tanto meno informazioni, per capire da dove esse provengano. In ogni caso, sono ormai
mesi che la Fiat, in difficoltà per il fatto di non poter controllare adeguatamente il Governo una volta
finito quello di Prodi, ha compiuto la solita manovra tipo “luglio 1943”, dandosi di nuovo ai “liberatori”,
questa volta impersonati da Obama. Le operazioni Chrysler, Opel, ecc. sono sicuramente
finanziate dagli Usa, che rinsaldano ad arte l’impressione del miracolo del “mago Marpionne”. Appunto
qui si inserisce l’ideologia del “libero mercato”, che tenta di far passare il tutto come una
semplice lotta concorrenziale nella contrattazione per l’acquisto di aziende automobilistiche con
proprie risorse (ma dove mai le trova la Fiat? Non fateci ridere).
*****
4
I reali obiettivi – del tutto statunitensi – riguardano il campo della produzione e distribuzione di
energia: Nabucco contro Southstream e Northstream dove il campo della lotta si dipana tra Italia
(bisogna far fuori Berlusconi e l’Eni) e Germania (bisogna far fuori i socialdemocratici di Schroeder).
Ecco perché si cerca di ritardare l’operazione Magna-Gm per l’Opel in attesa della prevista
settembrina sconfitta elettorale dei socialdemocratici tedeschi (e vittoria di quei laidi servitori dello
straniero che sono i verdi, i “difensori dell’ambiente”). Sullo sfondo, ma come obiettivo ancor più
decisivo, le varie operazioni per cercare di portare nella UE (altro organismo dello straniero statunitense)
Georgia e Ucraina, di non perdere ogni influenza in Caucaso, di migliorare le scadenti prestazioni
dei “democratici” iraniani, ecc.
Il quadro può sembrare vasto, ma è in questo che si inseriscono anche i “piccoli fatti”. La Fiat è
un nemico giurato del nostro paese, e vuole favorire – medievalmente, pre-unitariamente – l’arrivo
delle “armate straniere” in Italia; questa la sua ancora di salvezza assieme alla GFeID che ancora
calca, insudiciandole, le nostre scene. Solo una simile “calata straniera sul nostro suolo” può ormai
consentire ai parassiti, utilizzando dall’interno forze eversive che scardinino istituzioni e ordine sociale,
di liberarsi di Berlusconi e di ridurre all’impotenza – forse anche completandone la privatizzazione
(e dunque l’opera iniziata nel 1992 dai Ciampi, dagli Amato, dai Draghi, ecc.) – le aziende
ancora semipubbliche.
Dato che una erede degli Agnelli ha scoperchiato una (presunta) cloaca, allora al limite la si ripulisca.
Si buttino pure a mare gli Agnelli, tanto cascano in piedi ricchi come sono; e poi non sappiamo
forse che il fango si lava presto nella smemorata “opinione pubblica”? L’importante è salvare
la Fiat in quanto finzione di successo italiano nel “libero mercato” dell’auto, e reale canale privilegiato
per far tornare lo straniero a completare quell’opera, progettata sul “panfilo Britannia” e iniziata
con Mani Pulite, che quel rompiballe di Berlusconi ha parzialmente rovinato. Questo il mio
maligno sospetto quando vedo liberisti sfrenati attaccare con tanta virulenza una (vecchia) famiglia
di potenti. Certamente, sempre meglio dell’atteggiamento di servilismo tipico della sinistra; d’altra
parte è risaputo che i nuovi servi non sanno tenere un comportamento adeguato all’importanza dei
loro servigi.
Bisogna però concedere un po’ di buona fede a tutti. Allora mi aspetto da Libero – pur non rinunciando
ai suoi principi liberisti (sarebbe però meglio essere più liberali che liberisti) – non il
semplice attacco al (presunto) tesoretto degli Agnelli e ai metodi eventualmente usati per accumularlo.
Nemmeno il semplice attacco alla Fiat (di un tempo) per la “pubblicizzazione delle perdite”.
Se in qualche caso vengono dati opportuni sovvenzionamenti a nostre grandi imprese (pubbliche o
private fa lo stesso) per metterle in grado di resistere nella competizione – strategica, a tutto campo,
e non meramente concorrenziale; insomma politica e non soltanto economica, non nel mercato ma
nelle diverse aree della geopolitica e dei rapporti di forza a livello mondiale – non c’è nulla di
scandaloso e non si contravviene a nulla di “virtuoso” del tipo della soltanto ideologica “mano invisibile”.
Si deve però trattare di imprese attive nel campo dei nuovi settori trainanti, quelli delle fonti
energetiche (possibili e ancora strategiche, non i “bei propositi” delle “pulite”, “solari”, ecc.) e delle
innovazioni d’avanguardia.
Si deve attaccare la Fiat perché ha solo mangiato immani risorse per produrre beni “maturi” –
attività che crea certo occupazione, ma non impedisce affatto l’arretramento del paese e l’accumulo
di un ritardo incolmabile rispetto agli altri – e continua, anzi accentua oggi, la sua funzione di “testa
di ponte” ai fini della subordinazione ad uno straniero prepotente e debordante, tutto teso a sabotare
appunto i nostri possibili settori di punta per favorire se stesso e i suoi vari sicari nel mondo. Bisogna
dirlo con chiarezza (e Berlusconi, come ho mostrato in un recente post in questo stesso blog,
non lo fa!). Questa è la battaglia utile. Non rispondo nemmeno ai mascalzoni – la loro buona fede
non è più ammissibile – del “tutti sono dominanti”, tutti da combattere allo stesso modo. Avesse
ragionato in tal modo osceno l’ultimo degli Orazi, si sarebbe fermato e avrebbe “eroicamente” affrontato
i tre Curiazi tutti insieme, con risultato scontato. Così vorrebbero i farabutti, alcuni dei qua5
li osano ancora definirsi “comunisti”, che fu la denominazione di Lenin e Mao (e Giap e altri), ben
consci di come si affrontano i nemici, distinguendoli e distanziandoli fra loro. Sono certo pochi, ma
potrebbero mettersi al servizio – quali manipoli di violenti (e ancor peggio) – degli “sconquassatori”
mossi dalla GFeID (Fiat in testa) per tentare un altro colpo di mano dopo quello solo parzialmente
riuscito del 1992-93.
Contro la Fiat a tutto campo, non per i tesoretti nascosti (forse). Magari anche per questi e per
sputtanare ulteriormente le Procure, che “non vedono” ancora elementi atti a procedere giudizialmente
(fosse stato Berlusconi, sarebbero stati più che sufficienti a scatenare un putiferio); non è però
questo l’essenziale. Bisogna opporsi a tutti coloro che vedono la propria salvezza nella “calata
di armate straniere” in Italia.