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Il miracolo di Giovannino Guareschi

di Marco Ferrazzoli - 19/08/2009

Fonte: L'Osservatore Romano

L'elogio di Guareschi scritto da un autorevole intellettuale come Claudio Magris per "Il Corriere della Sera" (23 luglio) è un altro importante tassello del processo che, da alcuni anni e grazie soprattutto alle iniziative svolte per il recente centenario dalla nascita, sta risarcendo l'autore del Mondo piccolo dopo l'emarginazione e le discriminazioni a lungo subite a opera dell'establishment intellettuale e politico. Magris, scrivendo che Giovannino Guareschi "è stato un vero scrittore popolare", ricorda appunto come sia stato "messo in disparte da molta critica":  per "ragioni ideologiche" e "per una concezione falsamente sofisticata" della letteratura, per "un pregiudizio supponente nei confronti di ciò che appare facile e popolare".
Queste parole non possono che far piacere a chi ama questo grande autore e a chi - come il sottoscritto - ha dedicato all'impegno politico guareschiano alcuni anni di studio e un paio di saggi (Guareschi, l'eretico della risata e il più recente Non solo Don Camillo. L'intellettuale civile Giovannino Guareschi, edito da L'uomo libero, www.luomolibero.it) che hanno l'unico, involontario merito di essere tra i purtroppo pochissimi su tale aspetto. L'attenuazione dell'ostracismo verso questo scrittore tanto amato dai lettori e dal pubblico, infatti, non ha ancora lasciato spazio a un'adeguata attività critica e filologica.
In tal senso, anzi, qualche passaggio dell'editoriale di Magris rischia di avallare alcuni luoghi comuni che inficiano la doverosa valorizzazione di Guareschi come "intellettuale civile", secondo la definizione che ho voluto provocatoriamente darne:  sentendosi dare dell'"intellettuale", scrive ironicamente Marcello Veneziani, il Nostro avrebbe probabilmente sporto querela.
In particolare, l'articolo avalla e aggrava il fraintendimento secondo cui le storie del Mondo piccolo sarebbero un'anticipazione del "compromesso storico", del "dialogo tra cattolici e comunisti", dell'"inciucio permanente, del consociativismo", della "letteratura cattocomunista", come hanno sostenuto, con espressioni variegate ma convergenti, da Giulio Andreotti a Giovanni Mosca, Baldassarre Molossi, Alberto Giovannini, Carlo Fruttero, Mario Missiroli, Enzo Biagi, fino allo stesso Veneziani.
Rispetto a tale equivoco, Magris si spinge oltre e giunge a dire che nei racconti "sono i comunisti a incarnare quell'umanità vitale, generosa, animata da sentimenti schietti e perenni, in cui Guareschi stesso si riconosce". Che "Peppone è molto più buono e umanamente più caldo" di Don Camillo. Nel "bipolarismo" del Mondo piccolo, il suo artefice starebbe insomma dalla parte del sindaco Pci.
Intanto, come spesso accade, tale schematizzazione dimentica un terzo, fondamentale personaggio della saga:  il Crocifisso, che interviene in ben 154 racconti e viene inequivocabilmente definito da Guareschi come "la voce della mia coscienza". Poiché Don Camillo è l'unico a parlare col Cristo, è chiaro che Giovannino dichiara così maggiore affinità con il prete.
Certo, come Magris osserva opportunamente esiste una netta differenza di registro tra il Mondo piccolo e il Candido delle "espressioni più aggressive, talora viscerali" rivolte ai "trinariciuti", ai "comunisti beoti e truci". Non a caso, i racconti di Peppone finirono sul Candido per una mera casualità - l'antivigilia di Natale del 1946, trovandosi in ritardo con la tipografia, il direttore vi pubblicò il primo episodio - ma erano nati per l'assai meno politicizzato settimanale "Oggi". Lì Guareschi voleva originariamente compiere quello che egli stesso definì il proprio "miracolo":  "rendere simpatico un comunista". Battuta peraltro pronunciata nel corso di un dibattito infuocato con il Pci reggiano, nel quale non mancarono scontri di piazza e si sfiorarono incidenti ancora peggiori.
Ai comunisti l'autore si preoccupò però di chiarire che la "simpatia" intendeva solo indurli a "ritirare il cervello dall'ammasso del Partito comunista", un obiettivo che non è esagerato chiamare "conversione".
L'aspetto essenziale è difatti questo:  la sensibilità umana usata da Guareschi verso Peppone deriva dalla distinzione cristiana predicata e praticata da don Camillo, "Odiare il male, ma amare il malato", e ispirata allo scrittore dalla sua profonda religiosità e, in particolare, dal monito di Giovanni xxiii su "errore ed errante". Va ricordato che Papa Angelo Roncalli fu un acceso ammiratore dello scrittore, al quale avrebbe persino carezzato l'intenzione di affidare una nuova edizione del catechismo.
Solo se illuminato da tale sentimento cristiano si può condividere il titolo del "Corsera", "l'anticomunista che amava i compagni". Il Mondo piccolo non sconta nulla al "peccato confessato" - per usare il titolo di un racconto - dell'ideologia politica:  se Peppone si salva è solo perché "tra le direttive del partito e la direttiva della sua coscienza (...) alla fine ascolta sempre la voce della sua coscienza".
Ripetiamo:  il Candido è molto più duro nella sua propaganda anticomunista, quando se la prende sia con i sovietici, sia contro il Pci, come nelle elezioni del 1948 per le quali Guareschi realizza il celeberrimo manifesto:  "Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no". Ma anche i racconti di don Camillo sono pieni di riferimenti alla violenza politica e al "triangolo della morte" emiliano nel quale, durante il dopoguerra, si consumarono decine di omicidi politici, molti dei quali ebbero per vittime dei sacerdoti.
Nella saga si svolgono numerose azioni armate, don Camillo si salva da un tentato omicidio, la processione del paese viene sabotata a raffiche di mitra, nella locale sezione comunista figurano famigerati assassini (...) Lo stesso Peppone è definito "un uomo rozzo e violento", trattenuto per un pelo dal commettere attentati sanguinari, e una delle faide che segnarono il tragico prolungamento della guerra civile in Emilia chiude il primo volume di don Camillo e apre la raccolta successiva, inanellando "una dannata catena di odio che neanche voi riuscite a spezzare", come dice al Cristo il prete, straziato dal dolore.
C'è da chiedersi, davanti a un messaggio narrativo così netto, come mai l'equivoco amplificato da Magris sia tanto comune. Tra gli autori che prima di lui hanno contribuito a diffonderlo, indicativamente, abbiamo citato anche diversi ammiratori e persino dei collaboratori e degli amici personali di Giovannino, a significare che il fraintendimento non è stato indotto solo in malafede, per sminuire la valenza politico-culturale di questo grande scrittore e "intellettuale civile", ma anche a causa della confusione tra l'autore di don Camillo, i suoi racconti e i film che ne furono tratti mediante una mirata edulcorazione dei contenuti.
In tale mistificazione, duole dirlo, ebbe parte anche una certa stampa clericale. Per questo è necessario ricordare che Guareschi non fu "solo don Camillo".


(©L'Osservatore Romano - 17-18 agosto 2009)