Per la maggior parte delle persone un po’ di vacanza è già trascorsa; ancora una manciata di giorni, e si torna a casa. Come impiegare al meglio il tempo che resta, evitando la «sindrome da vacanza insoddisfacente» che perseguita al ritorno una parte consistente di vacanzieri?
La proposta dello psicoterapeuta è banale, ma precisa: non cercate di migliorare la situazione, di lanciarvi in nuove iniziative, tra le mille proposte del mercato. Fermatevi, riposate, fate finalmente vacanza. Una parola che fin dall’origine latina rimanda a un tempo di vuoto, di assenza, di impegni mancanti, tolti dalla routine della vita quotidiana. Mentre poi nel nostro modello di cultura, sovrabbondante di oggetti, di impegni, di consumi, di presenze, di attività, anche questo periodo si è riempito di moltissime cose: viaggi, sport, avventure sentimentali, incontri di mille tipi.
Anche le vacanze dei cosiddetti Vip, perlomeno come vengono raccontate, assomigliano a delle corvée: incontri e rotture sentimentali, viaggi, presenze “dove non si può mancare”. Ansia e iperattività proposte come modello contagioso anche al comune mortale, che non ha nulla da guadagnarci e tutto da perdere.
Questo ideale di vacanza come “sequenza di eventi”, più o meno smaglianti e grandiosi, trasforma la vacanza da vuoto (vacatio), se non in un vero e proprio lavoro (come è per molti personaggi dello spettacolo), perlomeno in un’attivismo mai interrotto.
Così la vacanza si dilegua, e quando è finita abbiamo l’impressione che non ci sia neppure stata.
Ci si presenta allora alla ripresa del lavoro, se non più stanchi, certamente neppure riposati.
Il passaggio dall’impegno al riposo, dalla programmazione alla vita giorno per giorno non è avvenuto. In realtà non siamo mai usciti dal tempo pieno e non abbiamo goduto l’effetto rigenerante (anche se leggermente straniante) del tempo vuoto, che è appunto quello della vacanza.
Meglio profittare dei giorni che restano per non lasciarci mancare l’indispensabile: l’esperienza ormai inedita, e quindi preziosa, del vuoto. La “vacuità” dei buddisti, con la loro ripetuta pronuncia dell’”Om”, l’”Amen” solenne e liberatorio dei cristiani, l’uscita dall’ansia del fare per affidarci (almeno per un po’) a quel ciclo vitale che non siamo noi a controllare e dirigere, ma in cui ci troviamo comunque.
E’ l’occasione per diminuire gli interventi e le iniziative, e “lasciar fare” appunto alla vita: la natura, il ritmo sonno-veglia, quello della fame e del suo soddisfacimento.
Una vacanza dalle complicazioni, e un ritorno all’esistenza semplice, elementare. Rigenerante.